
Molti dei bambini nati a partire dal 2010 potrebbero aver perso per sempre il diritto all'anonimato e non per loro scelta. Si tratta di una delle conseguenze del cosiddetto "sharanting", ovvero l'abitudine, ormai diffusissima, di pubblicare sui social immagini e foto dei propri figli.
Coniato negli Stati Uniti nel 2010 dalla fusione delle due parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità), questo termine è nato per segnalare un fenomeno che non riguarda solo influencer o persone famose, ma tutti – o quasi – i neogenitori, e che sta destando sempre più preoccupazioni per i rischi connessi alla sicurezza e al benessere dei più piccoli.
In Francia la questione è arrivata fino al Parlamento dove il deputato Bruno Studer ha presentato una proposta di legge per limitare la potestà genitoriale sul diritto all'immagine dei propri figli e restituirlo ai diretti interessati. Il testo, approvato nella prima lettura a inizio marzo 2023, ribadisce il diritto alla privacy del minore e punta a sensibilizzare l'opinione pubblica sui rischi connessi a questa pratica fin troppo sottovalutata.
In un mondo in cui la distinzione tra reale e digitale, offline e online, è sempre più labile, è diventata ormai una pratica comune condividere ogni aspetto della propria vita, anche quando questa riguarda altre persone, come amici e familiari. Finché si tratta di adulti consenzienti e coscienti, quest'abitudine può piacere o meno, ma non lede in nessun modo i diritti dell'altro.
Nelle società occidentali oltre il 40% dei genitori pubblica foto o video dei propri figli
Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation numérique
La questione si fa più spinosa quando la decisione di rendere pubblica la propria vita coinvolge un minore, che per definizione, non è ancora in grado di fare una scelta consapevole sull'uso della propria immagine.
D'altronde la privacy è un diritto non solo degli adulti, ma anche di bambine e bambine. Non lo dice il deputato francese, ma la Convenzione dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Gdpr).
Per sottolineare le dimensioni del problema Studer ha riferito nel testo di legge i dati contenuti nel rapporto realizzato nel 2018 dal Children’s Commissioner for England, secondo cui un bambino appare in media in 1.300 fotografie pubblicate online prima dei 13 anni, sui propri account, su quelli dei genitori o dei famigliari.
I responsabili di questa diffusione sui social di immagini di minori sono quasi sempre proprio i genitori: l’Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation numérique ha calcolato che nelle società occidentali oltre il 40% dei genitori pubblica foto o video dei propri figli.
I rischi connessi alla presenza incontrollata della propria immagine sui social può avere per il minore molteplici conseguenze, non solo sulla vita presente, ma anche sul proprio futuro, dal rischio di adescamento alla pedopornografia online. Ecco perché la proposta di legge francese introduce la nozione di "vita privata" del bambino nella definizione di autorità parentale del codice civile e l'obbligo per i genitori di rispettarla.
Il testo specifica inoltre che il diritto all'immagine del minore è esercitato congiuntamente dai due genitori, tenendo conto dell'opinione del bambino. In caso di disaccordo tra i genitori, il giudice potrà vietare a uno di essi "di pubblicare o trasmettere qualsiasi contenuto senza l'autorizzazione dell'altro".
Nei casi gravi di lesione della dignità, il testo apre la strada a una "delega forzata della potestà genitoriale", dando al giudice la possibilità di affidare l'esercizio dei diritti di immagine del minore a un terzo.
In sostanza, più che a uno scopo repressivo, la legge punta a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento, soprattutto su un punto: anche se è compito dei genitori tutelare l'immagine dei loro figli, quest'ultima non è un loro diritto assoluto.
La legge sullo sharenting rientra in un più ampio piano di intervento portato avanti dall'attuale esecutivo francese per tutelare la presenza dei minori sui social: tra le novità importanti, il parlamento francese sta lavorando a una legge per alzare la soglia d'età minima necessaria per accedere a un social a 15 anni, due anni in più rispetto agli attuali 13 anni previsti dal Gdpr (quest'ultimo ha fissato per l'Unione europea un limite minimo compreso tra i 13 e i 16 anni).
In Italia il decreto legislativo 101 del 2018 ha stabilito "il minore che ha compiuto i 14 anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione". Tuttavia si riconosce anche ai minori di 13 anni la possibilità di accedere a un social a patto che il consenso al trattamento dei dati personali "sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale".
Diffondere sui social immagini, foto e video di un bambino non solo compromette il suo diritto alla privacy, ma può danneggiarlo in più modi Save the Children ne sottolinea alcuni dei più pericolosi:
Sul rischio che l'immagine condivisa finisca sui siti di pedopornografia online bisogna essere infatti estremamente cauti. Non conta infatti il tipo di contenuto pubblicato: Save the Children sottolinea come con l’ausilio di semplici programmi di photo editing accessibili a chiunque si possono manipolare le immagini, trasformandole appunto in materiale pedopornografico.
Su questo punto hanno insistito anche i parlamentari francesi, che hanno sottolineato come il 50% delle fotografie scambiate sul forum di pedopornografia sono state inizialmente pubblicate dai genitori sui loro social network.
Ma anche, laddove non si finisca in situazioni estreme come quelle appena descritte, resta il tema della dignità del minore, che non può essere lesa in nessun modo. Purtroppo però non è sempre così: non sono rare challenge o contenuti che nel tentativo di diventare virali mettono i bambini in situazioni ridicole e di certo non rispettose della loro individualità di persone a tutti gli effetti.
Fonti | Gazzetta Ufficiale, Save the Children