Dalle lettere sbagliate alla “erre moscia” fino alle frasi costruite male: quali sono i difetti di linguaggio più comuni nei bambini?

Il linguaggio è in costante costruzione ma quando siamo piccoli possono intervenire episodi o altri fattori in grado di alterarne la normale formazione. Insieme alla logopedista Ilaria Simeoni abbiamo indagato quali sono i difetti più diffusi nei bambini, le loro cause e quali sono i comportamenti che i genitori potrebbero assumere per prevenirli o trattarli.
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Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
30 Settembre 2021

Se non è un capolavoro, poco ci manca. Ci permette di comunicare con altri esseri umani, uguali ma anche diversi da noi. È lo strumento con cui evolviamo, attraverso cui misuriamo il mondo, con cui diamo forma al tempo e allo spazio ma anche all’intimo della nostra coscienza. Il linguaggio siamo noi e la parola è vita.

Accettando l’immagine dell’opera d’arte, allora posso dirti che il cantiere del nostro linguaggio è sempre aperto. Inizia quando siamo bambini e nel corso degli anni è in costante ampliamento: il vocabolario si ingrandisce e arricchisce, riflettendo l’evoluzione della cultura con cui veniamo in contatto.

Come per ogni opera d’arte, però, anche con il linguaggio può accadere qualcosa che agita i lavori. Specialmente quando siamo piccoli e la lingua non ha ancora una forma ben precisa ma resta in un limbo, come un tocco di argilla, in formazione e costruzione.

Quel qualcosa può incastrarsi con il risultato, rendendolo diverso rispetto all’idea comune che ognuno di noi ha su come dovrebbe essere il nostro linguaggio. Bada bene: ho detto diverso perché in questo ambito non si ragiona mai in termini di bello e brutto o di giusto e sbagliato (farlo è brutto e sbagliato).

I difetti e le difficoltà nella parola e nel linguaggio sono comuni. E come ci ha spiegato la dottoressa Ilaria Simeoni, logopedista che collabora con l’Istituto Clinico Città di Brescia, alcuni da semplici difetti possono trasformarsi in veri e propri disturbi per i quali può diventare necessario un percorso di correzione insieme a un professionista.

Ma anche questi elementi fanno parte di ciascuno di noi e contraddistinguono la nostra unicità, quanto i capelli rossi o gli occhi azzurri: per questo non devono rappresentare in alcun modo una fonte di discriminazione o stigamtizzazione.

Dottoressa Simeoni, quando possono cominciare a manifestarsi le difficoltà di linguaggio nei bambini?

Già a partire dai 12 mesi si possono cominciare a captare piccole difficoltà ma non si può parlare di disturbo del linguaggio prima dei 3 anni: tutto ciò che viene individuato prima è considerato solo un ritardo nel linguaggio. Questo perché i bambini sotto i 3 anni non hanno ancora sviluppato appieno il linguaggio, che è un’abilità con una grandissima variabilità e un’ampia tempistica che è strettamente correlata a ciascun bambino.

Ilaria Simeoni
La dottoressa Ilaria Simeoni, logopedista in collaborazione con l’Istituto Clinico Città di Brescia

Quali sono dunque i disturbi di linguaggio più comuni nei bambini?

Dobbiamo distinguere varie sottospecie. Ci sono per esempio i disturbi fonetico-fonologici che riguardano la sostituzione, l’omissione, l’aggiunta o la trasposizione di lettere all’interno della parola come per esempio “tole” invece di “sole” oppure “cimena” invece di “cinema”. In altri casi il bambino può avere una difficoltà articolatoria nella produzione di una singola lettera all’interno della parola: stiamo parlando della famosa “erre” moscia o la famosa zeppola. I deficit semantico-lessicale, invece, riguardano la parola in sé e il suo significato. In questi casi un bambino può non ricordarsi come si chiama una determinata parola e tipico di questo disturbo è la povertà di linguaggio. Ci sono poi i deficit morfo-sintattici, che comportano difficoltà nella costruzione frasale. Può verificarsi nella concordanza di nome, aggettivi e verbi, nel corretto ordine di costruzione della frase ma anche nell’omissione di parti della frase come le congiunzioni o gli articoli. Infine ci sono i deficit narrativi e pragmatici. Quelli narrativi riguardano appunto la narrazione delle attività quotidiane oppure il riassunto di una storia che gli è stata raccontata, quello pragmatico invece consiste nella difficoltà di fare inferenze del linguaggio, di cogliere i significati sottesi e ambigui, di seguire le normali regole della conversazione come il rispetto del turno.

E la balbuzie?

È un disturbo che riguarda il linguaggio per il quale però non sono ancora del tutto chiare le cause specifiche. Si sta studiando se si tratti di una difficoltà di organizzazione del discorso, di pensiero più veloce della parola e le relazioni con le componenti emotive e psicologiche.

Dietro ognuno di questi disturbi ci sono delle cause diverse e specifiche oppure si può riconoscere una ragione comune?

Le sottocategorie di cui abbiamo parlato finora rientrano tutte nel disturbo del linguaggio. In generale una causa specifica non si è trovata: diventa importante, piuttosto, capire se si tratta di un disturbo di linguaggio primario o secondario.

Che differenza c’è?

Quelli secondari sono legati ad altre problematiche come deficit cognitivi, neurologici, uditivi o connessi alla deprivazione ambientale: condizioni secondarie che dunque provocano il deficit linguistico. I disturbi primari, invece, riguardano una serie di multicause che ancora sono in fase di studio. Le principali sui cui è stata posta l’attenzione sono i fattori ambientali e genetici.

Ce li spieghi.

Con fattore ambientale si intende per esempio il tempo che un genitore dedica per giocare con il figlio oppure quello per cui viene esposto alla lingua all’interno della sua società, composta appunto dei genitori, dall’asilo o la scuola, dai coetanei. Dal punto di vista genetico, invece, sappiamo che c’è una certa familiarità per i disturbi specifici del linguaggio e dell’apprendimento. Se un genitore ne soffre è facile che le stesse difficoltà linguistiche, nel figlio possano diventare un disturbo conclamato. Al momento sappiamo che circa il 5-7% dei bambini sviluppano un disturbo specifico del linguaggio, con una maggior incidenza nei maschi.

Ha citato i genitori: quanto è determinante il loro ruolo?

Molto, non solo nella quantità di tempo che dedicano al figlio ma anche nella qualità. Spesso i genitori stanno insieme ai propri figli davanti alla televisione in totale silenzio. Ecco: questo non è un tempo speso qualitativamente bene perché non c’è interazione comunicativa. Affinché il figlio possa sviluppare le proprie abilità comunicative ci deve essere interazione e scambio di informazioni. È utile che il genitore si prenda del tempo, bastano anche 30 minuti, da dedicare ai figli. Via i telefoni, si deve giocare con i propri bambini, verbalizzare quello che sta succedendo intorno a loro e che cosa si sta facendo.

E la televisione?

La tv può rappresentare uno strumento utile per potenziare le abilità del bambini purché ci sia un genitore che verbalizza ciò che succede sullo schermo, altrimenti il bambino è solo uno spettatore che assorbe passivamente ciò che sta succedendo. Come quando noi vogliamo imparare una lingua nuova: non bastano i film e le canzoni, va messa in pratica.

Anche il modo e il tipo di linguaggio che i genitori utilizzano nei confronti dei più piccoli è importante. 

Bisogna adeguare il proprio modo di relazionarsi con un bambino alla sua età. I genitori molto spesso parlano con il bambino con espressioni come “brum brum” per indicare la macchina, o “bau” per il cane e “miao” per il gatto. Si è sempre fatto ed è normale. In realtà, però, fin dall’inizio sarebbe meglio dare il corretto nome alle cose per aiutare il bambino a sviluppare il proprio vocabolario e il linguaggio. Il modo in cui i genitori comunicano, poi, è molto importante. Quando è molto piccolo dovranno cercare di fare frasi semplici con parole facili per poi adeguarsi alle sue capacità arrivando ad ampliare e arricchire sempre di più frasi e vocabolario. I bambini sono dei ricettacoli e assorbono tutto ciò che succede attorno a loro.

Come si riconosce un disturbo del linguaggio e quando un genitore deve attivarsi? 

Un genitore prima dei tutto deve guardare l’intelligibilità del bambino, ovvero quanto il proprio figlio risulta comprensibile a livello di linguaggio. Bisogna fare attenzione perché ogni genitore tende sempre a capire il proprio figlio quindi diventano importanti i feedback degli amici, dei parenti o degli insegnanti. Se la sua comunicazione risulta poco comprensibile in maniera sistematica allora può scattare un primo campanello d’allarme. Inoltre mamme e papà come linee guida devono tenere in considerazione le normali tappe dello sviluppo fisiologico del bambino. A 12 mesi usa le prime parole, intorno 17 mesi si ha l’esplosione del vocabolario che può passare da 50 parole fino a 300 e poi, intorno ai 24 mesi, dovrebbe arrivare la prima combinazione di parole per formare delle frasi.

C’è un’età in cui è consigliabile cominciare un percorso di riabilitazione?

Diciamo sempre che prima è meglio è. Se un genitore avesse anche solo il dubbio che il proprio bambino abbia delle difficoltà è bene rivolgersi a un logopedista. Una valutazione precoce potrebbe per esempio riscontrare solo un ritardo del linguaggio e la visita dallo specialista diventerebbe una preziosa fonte di consigli per i genitori su come istruire ed educare al meglio il proprio figlio al fine di potenziarne le abilità linguistiche.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…