Ci sono muri e finestre, rampe di scale e sedie, computer e macchinari, colleghi e superiori, clienti e pazienti. Per molti però il luogo di lavoro è qualcosa di più.
Se consideriamo anche il tempo che ci si trascorre, che per moltissimi rappresenta la maggior parte della giornata, non esagero se dico che per certi versi il luogo di lavoro diventa una parte della propria vita.
Come tale, va quindi tutelato. Protetto. Spesso lo si dimentica o si finisce con il sottovalutarlo, ma salute e sicurezza sul lavoro sono elementi imprescindibili: diritti garantiti da ogni datore di lavoro e responsabilità individuali del singolo lavoratore.
Anche perché, come ci a spiegato il dottor Gabriele Pellicciotta, primario dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Preventiva dell’ospedale San Raffaele di Milano, “la salute non è solo la mancanza di una malattia”.
Dottor Pellicciotta, facciamo un passo indietro. Che cosa si intende quindi per “salute e sicurezza” sul luogo di lavoro?
Il concetto inteso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è molto più ampio perché associato a uno stato di benessere bio-psico-sociale. Ognuno di noi deve lavorare in un luogo che rispetti la sua biologia, ovvero il suo corpo, la sua psicologia e il contesto. Deve esserci, cioè, una comunità lavorativa priva di conflitti e e caratterizzata da un clima disteso e collaborativo. Se questi criteri non sono rispettati si va incontro a uno stato di elevato stress. Non sto parlando del cosiddetto “eu stress”, ovvero quello positivo che ci porta a voler raggiungere un obiettivo, ma del “distress” provocato da un ambiente che incide negativamente sulla salute fisica e psichica portando a malattie da stress lavoro correlato e spingendoci a portare a casa gli effetti di ciò che facciamo al di fuori di casa. Una persona stressata sul luogo di lavoro, infatti, finisce spesso per caricare il suo malessere sulla famiglia. Sul luogo di lavoro bisogna dunque trovare un equilibrio tra la salute, così intesa, e la sicurezza. Che, tradotta, significa lavorare in maniera tale da non farsi male e ridurre i rischi fisici e mentali.
A livello normativo come siamo messi?
Oggi abbiamo diverse leggi che tutelano la salute sul lavoro. Le prime norme, orientate più alla tutela della salute che alla sicurezza sul lavoro, risalgono addirittura all’inizio del secolo scorso. Nel 1992 uscì il decreto 277, una normativa che recepiva anche norme comunitarie riguardo aspetti particolari della salute come l’amianto o il rumore fino ad allora poco considerati. Poi arrivarono il decreto 626 e l’81 del 2008: quest’ultimo è l’unico testo in materia di salute sul lavoro in Italia. Comprende tutti i rischi sul luogo di lavoro esposti in un documento aggiornato una volta all’anno. Mi riferisco, ad esempio, alla movimentazione dei carichi, all’impiego dei videoterminali, all’utilizzo di sostanze pericolose e potenzialmente cancerogene o al rischio biologico per contatto con batteri e virus.
Che responsabilità ha il datore di lavoro?
La novità del decreto 81 del 2008 è che obbliga il datore di lavoro ad organizzare la presenza di due figure: il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico di lavoro. Questi due soggetti analizzano congiuntamente la situazione lavorativa dal punto di vista della sicurezza e della salute e creano un documento sui potenziali rischi.
Mantenere la sicurezza e la salute sul lavoro spetta anche allo stesso dipendente, che ha una responsabilità verso se stesso e gli altri.
Per questo esiste la figura del rappresentante del lavoratori il quale presenta al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, al medico del lavoro e al datore di lavoro eventuali situazioni in cui i lavoratori possono trovarsi in difficoltà. In più, il suo ruolo è anche quello di aiutare il datore di lavoro affinché vengano applicate correttamente le norme vigenti. Anche il lavoratore singolo, tuttavia, deve fare prevenzione. Se venisse riscontrata una malpractice in caso di infortunio sul lavoro, le assicurazioni non possono né tutelare né proteggere un lavoratore che non abbia seguito le norme.
Quali sono secondo lei le situazioni più diffuse ma meno popolari che possono mettere a rischio la salute di un lavoratore?
Le situazioni più critiche sono quelle in cui il soggetto sottovaluta l’attività che sta svolgendo. Abituati per routine a compiere determinati gesti non si pone attenzione se si sta lavorando bene o male e questi incidenti alla lunga lasciano il segno. Un evento di questo genere che ricorre spessissimo in ospedale è la puntura di ago. Le siringhe si utilizzano quotidianamente per fare iniezioni intramuscolo o endovena o per fare prelievi di sangue e spesso, nel momento dell’estrazione dell’ago, per distrazione, si finisce col pungersi. Anche la movimentazione di pesi è molte volte causa di incidenti sul lavoro. Basta sollevare un peso mettendo le ginocchia e/o la colonna vertebrale in una posizione sbagliata ed ecco che si può incorrere nel blocco lombare acuto conosciuto come “colpo della strega”.
Nel caso di un ufficio, che è la realtà che molti di noi condividono più frequentemente, secondo lei come si potrebbe costruire un luogo di lavoro sicuro e sano?
Intanto il medico del lavoro in questi casi analizza l’ambiente e, se chiamato nella progettazione, fornisce alcuni input agli ingegneri. In generale comunque serve una certa umidità nell’aria, occorre che ci siano un certo irraggiamento, una temperatura di un certo tipo climatizzata estate-inverno. Inoltre, non ci devono essere moquette perché sono portatrici di acari e altri allergeni che possono scatenare crisi di asma o allergie in soggetti suscettibili.
Dottore, sfatiamo una volta per tutte il mito e ci sveli il giusto comportamento da tenere di fronte al computer.
La postura è fondamentale e infatti serve che le sedute siano ergonomiche e rispettino gli standard voluti dalla norma: alcune possono sembrare scomode all’apparenza ma sono invece studiate per mantenere la colonna nel modo più corretto per lavorarci sopra. Altrettanto importante è la posizione dello schermo del computer. Erroneamente, si tende sempre ad addomesticare il computer alla nostra postura e non il contrario. L’occhio di norma deve stare a circa 70cm dallo schermo, però sono molto frequenti atteggiamenti sbagliati come assumere posizioni sbagliate sulla sedia che allontanano dallo schermo. In questi casi anziché cambiare posizione si avvicina lo schermo ma è sbagliato. Il computer finisce per non essere più ortogonale al piano del tavolo creando distorsioni alla vista, che così non andrà più diretta sullo schermo ma dovrà muoversi in continuazione. Alla fine della giornata ciò comporta secchezza degli occhi, lacrimazione e dolore ai bulbi oculari.