A poco più di 40 anni Monica Contrafatto ha già vissuto due vite. Una da Caporal maggiore dell’Esercito, impegnata in missioni di pace all'estero, e una da atleta vincitrice delle Paralimpiadi. A separarle un incidente, un attentato che le ha portato via la gamba destra nel 2012 durante la sua seconda missione in Afghanistan. Da quel momento ha messo tutta sé stessa nella corsa nel dimostrare al mondo cosa si potesse ottenere solo grazie a grinta e buona volontà. Dalle Palimpiadi di Rio 2016 fino ai Mondiali di Parigi 2023, Monica si è sempre aggiudicata il podio e ci confessa che la solidarietà e l’essere fonte di ispirazione per gli altri è ciò che la spinge a continuare nel suo impegno quotidiano, tanto nell’Esercito, per cui continua a lavorare nel ruolo d'onore, quanto nell'atletica. L'aver solo una gamba non è un limite, il vero limite è non guardare oltre alla disabilità fisica, giudicare qualcuno solo dall'apparenza. E questo la sua seconda vita gliel'ha spiegato bene.
Ciao Monica, ci racconti da dove nasce la passione per la corsa?
La mia passione per la corsa nasce in un ospedale. C'erano le Paralimpiadi di Londra 2012 e io, da un letto, dopo l’attentato di qualche mese prima che mi ha portato via una gamba, vedevo correre per la prima volta delle ragazze con protesi. Da quel letto mi sono ripromessa che appena avrei potuto, anch'io avrei voluto una protesi da corsa e la possibilità di partecipare alle Paralimpiadi di Rio 2016. Certo, l'allenamento è stato lungo. Appena l'Esercito mi ha procurato una nuova protesi ho iniziato a correre una volta a settimana, poi due. Gli incidenti non sono mancati perché, solo dopo un paio di mesi che mi allenavo, un giorno sono caduta e mi sono fatta male al ginocchio, l'unico sano che avevo. Non potevo permettermi di perdere anche quello e ho deciso di smettere. Ho ricominciato solo l'anno successivo perché mi ha convinto la mia allenatrice, mi ha fatto credere di nuovo in me stessa dicendo che se avessi continuato sarei andata alle Paralimpiadi. E in effetti così è stato.
Da quando ho iniziato, la corsa per me è stata una sorta di rivincita, di sfida con me stessa. Volevo dimostrare che nonostante "mi mancasse un pezzo", potevo fare anche meglio di quando avevo entrambe le gambe. Quando ho iniziato a partecipare alle prime gare vivevo la corsa come un gioco ma più arrivano le vittorie e più sono diventata competitiva. Mi sono accorta di quanto valessi e non si trattava solo di volontà di rivalsa, questa passione si è trasformata in un lavoro e ora il mio lavoro è cercare di essere la migliore di tutti.
Come vivi la competizione in atletica? La senti anche nell'Esercito?
Sono una persona molto competitiva quindi le gare le vivo intensamente, ho tutti i miei riti scaramantici. Nell’Esercito, invece, non ho il “problema” di prevaricare, di arrivare prima. É il mio lavoro e il mio obiettivo è stato sempre e solo quello di rendermi utile e aiutare chi magari alcune volte non ce la fa. Non c'è competizione perché tutto quello che faccio e facevo nasce in maniera del tutto naturale, lo vedo come un lavoro a fianco degli altri. É l'opposto di come vivo l'atletica, lì la competizione è contro me stessa, contro il tempo e contro gli altri.
Cosa unisce la corsa alla vita militare? Cosa ti attrae di entrambe?
La corsa e l’Esercito sono uniti da vari fattori comuni: la disciplina, l’impegno e lo spirito di sacrificio. Dell’Esercito mi attrae lo stile di vita, il fatto di poter rappresentare la mia Nazione all’estero con missioni di pace, ma anche con l’impegno che mettiamo nelle attività quotidiane sul territorio nazionale. Dell’atletica mi affascina il poter portare in alto il nome dell’Italia in un altro modo, attraverso lo sport. Nella vita militare sento più la fratellanza, è il mio primo amore fin da quand'ero piccola. Sono cresciuta vedendo la fotografia del Presidente Cossiga in classe, vivevamo in un certo rigore, cantavamo l'inno, sono nata con il senso del patriottismo.
Voglio dimostrare che la disabilità esiste solo negli occhi di chi guarda
Di cosa vai più fiera nella vita?
Vado fiera dell’aver capito e messo in atto il “cado e mi rialzo più forte di prima”. L’aver conosciuto la vera sofferenza, ma il non essermi arresa al primo ostacolo. Non ho nessun rimpianto o rimorso, forse solo in amore (ride, ndr). Ho perso una gamba ma alla fine sono stata fortunata perché ho scoperto un mondo che non conoscevo e che mi ha aiutato a capire alcune dinamiche che prima non comprendevo, ad esempio quando vedevo un disabile lo guardavo un po' con occhi pietistici. Da questo punto di vista ero più disabile prima. Anche perché il corpo è solo come la facciata di una casa, ciò che conta è scoprire cosa c'è dentro. Ora sono molto felice di essere, con le mie compagne, una sorta di "influencer" che ispira i giovani a continuare a lottare per perseguire un obiettivo.
Voglio dimostrare che la disabilità esiste solo negli occhi di chi guarda perché mi manca una gamba ma posso fare anche meglio di chi ne ha due, inconsciamente penso sia questo uno spunto che mi ha aiutato. Poi mi sprona il fatto che so di essere una fonte di ispirazione per gli altri, le persone mi scrivono e mi ringraziano dicendo che è merito mio se vedono la vita in un altro modo e il fatto di essere un esempio per gli altri aiuta anche me. Sono convinta che se ce l'ho fatta io ce la possono fare tutti.
Come ti vedi nel futuro? Più nell'atletica o più nell'Esercito?
Nel futuro mi piacerebbe essere innanzitutto ricordata per quello che sono diventata dopo l’attentato, come esempio di rinascita da una “perdita”. Vorrei che questo mio percorso possa essere un esempio per molte persone che credono di non farcela o che sono in difficoltà. In realtà il mio futuro me lo immagino diverso dall’Esercito e dall’atletica, ma legato a queste due cose…ovviamente non dico quale sarà fin quando non si avvererà. Di certo, per quanto riguarda l'atletica, fino a Parigi 2024 ci arrivo, poi vedremo. Nel frattempo nell'Esercito non posso più fare la vita operativa di prima, niente più missioni all'estero. Però vabbè, la vita mi ha dato tanto nell'atletica, qualcosa mi doveva pur togliere da un'altra parte.
L'incidente mi ha ricordato che la vita è bella per quella che è e che la perfezione non esiste, ce la creiamo noi.
Quale consiglio daresti ai giovani con disabilità che vogliono approcciarsi a uno sport agonistico?
Per cominciare consiglio di avvicinarsi allo sport perché salva sempre da molti dispiaceri, è inclusivo e soprattutto una valvola di sfogo. Non per forza devi farlo solo perché sogni di diventare qualcuno di grande, l'importante è iniziare con un’attività che ti faccia divertire e arricchire. Dovrai impegnarti tanto e fare sacrifici ma i risultati, se verranno, saranno la più grande conquista. Se questo poi non dovesse avvenire, l’importante è che tu ti sia divertito. Il mondo della paratletica ora è diverso rispetto ad anni fa, ora siamo visti come atleti veri, senza uno sguardo pietistico. Abbiamo grinta da vendere e delle storie da raccontare, gli atleti normodotati avranno sicuramente storie ma diverse dalle nostre. Per questo posso dire che l'incidente mi ha cambiato la vita. Mi ha ricordato che la vita è bella per quella che è e che la perfezione non esiste, ce la creiamo noi.