È morto Ian Wilmut: chi era il papà della pecora Dolly e perché questa scoperta è stata rivoluzionaria

Aveva 79 anni e da tempo lottava contro il Parkinson. Era uno dei più celebri scienziati britannici, noto per aver fatto nascere Dolly, il primo mammifero clonato da una cellula adulta. Il lavoro di Walmut e del suo team ha dato un contributo fondamentale alla medicina rigenerativa e allo studio di terapie per trattare patologie neurodegenerative.
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Giulia Dallagiovanna 12 Settembre 2023

Ian Wilmut, uno dei più famosi scienziati britannici, si è spento domenica 10 settembre 2023 all'età di 79 anni. Da tempo lottava contro le conseguenze del Parkinson. Biologo ed embriologo, Wilmut era celebre soprattutto per aver dato i natali alla pecora Dolly, il primo mammifero al mondo clonato da una cellula adulta, nel 1996. Una scoperta rivoluzionaria sulla quale si baseranno poi tantissimi studi nel campo della medicina rigenerativa, tra cui quelli sulle patologie neurodegenerative. "Un titano del mondo scientifico", lo ha definito l'Università di Edimburgo di cui fa parte il Roslin Institute, dove lavorava Wilmut. "Sir Ian – continua l'annuncio – sarà ricordato a lungo per il suo fondamentale contributo alla Scienza e alla nostra Università. Ci mancherà molto". Ma perché viene tuttora ricordato come il papà della pecora Dolly?

Wilmut nasce nel 1944 vicino a Stratford-upon-Avon, la città che ha dato i natali a Shakespeare, e già nel periodo del liceo si appassiona alla biologia. Studia le Scienze Animali all'Università di Nottingham e nel 1966 entra a far parte del team del professor Christopher Polge a Cambridge, impegnato nello studio della crioconservazione di sperma ed embrioni. Il loro lavoro porterà ad esempio alla nascita di Frostie, il primo vitello nato da un embrione congelato.

Getta dunque le basi per il momento più importante della sua carriera, quando andrà a lavorare all'Animal Breeding Research Organisation in Scozia, che oggi è appunto il Roslin Institute. Guiderà qui un team che si concentrerà sulla creazione di una pecora geneticamente modificata affinché produca latte con proteine specifiche per la cura di alcune malattie che colpivano l'essere umano. È nell'ambito di questo progetto che emergerà la necessità di sviluppare tecniche più sofisticate per ottenere questo ovino: la clonazione.

La pecora Dolly nasce a partire da una cellula adulta e da una madre surrogata che ha ospitato l'embrione. La cellula somatica differenziata, cioè una cellula portatrice dei tratti corporei dell'animale adulto, fu prelevata dalla ghiandola mammaria di una pecora con il muso bianco. Dolly infatti – che come forse saprai deve il suo nome alla cantante Dolly Parton -, verrà alla luce con un musetto bianco molto diverso da quello della pecora che l'ha invece partorita, di razza Blackface. Dolly sarà identica alla madre biologica. Il suo clone.

Una scoperta che solleverà meraviglia, critiche e dibattiti nel mondo scientifico e non. Il pensiero, e allo stesso tempo il timore, dell'opinione pubblica infatti era che dopo una pecora si potesse passare alla clonazione degli esseri umani. Ma non era lo scopo di Wilmut e del suo gruppo.

Dolly infatti ha permesso di scoprire, negli anni successivi, che esistono cellule che non diventano mai differenziate e che vengono trasmesse di generazione in generazione. Ha dimostrato che il patrimonio genetico è reversibile e che si può quindi agire su determinate cellule per trattare malattie come il Parkinson o il diabete. Come un nastro che si riavvolge, infatti, anche una cellula adulta può essere riportata indietro nel tempo per tornare allo stato indifferenziato e svilupparsi in direzioni differenti, con esiti differenti. Il lavoro di Wilmut ha dato un contributo fondamentale a quella che oggi chiamiamo medicina rigenerativa e verso la quale stiamo tendendo.

Sicuramente la vicenda di Dolly, oggi, risveglia anche il dibattito sulla sperimentazione animale e sui limiti che dovrebbe porsi. E questo è un tema che non può essere ignorato. Allo stesso tempo, però, non possiamo dimenticare che la sua storia non è semplicemente quella di una curiosa creazione ad opera di qualche scienziato strambo che si è spinto un po' troppo oltre. È una scoperta rivoluzionaria di cui ancora oggi ci serviamo. E il principale artefice di tutto questo è stato proprio Ian Wilmut, un uomo che credeva così tanto nella ricerca scientifica da mettersi completamente a disposizione di questa una volta ricevuta la diagnosi di Parkinson.