
Immagina di allontanarti per un periodo o addirittura per sempre dal caos della metropoli e di cominciare una vita diversa, più semplice, immersa nella natura, in compagnia di tante altre persone con i tuoi stessi valori e convinzioni. Immagina di condividere davvero il tuo tempo, di mettere in pratica le tue competenze al servizio di una comunità di persone in cui ciascuno dà quello che può senza chiedere nulla in cambio. Immagina di non essere più costretto a compare cibo, acqua, beni di prima necessità, perché tutto ciò di cui hai bisogno lo produci da solo.
È vero, sembra una vera e propria utopia. Ma al mondo ci sono migliaia di persone che hanno scelto di vivere in modo diverso, lontano dalla società contemporanea, in luoghi immersi nella natura in cui stare insieme senza la pressione che la vita urbana impone, luoghi chiamati ecovillaggi. Pensi che stia parlando di qualcosa di estremamente lontano da te e dal tuo modo di vivere? Sappi che potrebbe essercene uno ad appena qualche chilometro da casa tua. Fossi in te, andrei a darci un’occhiata.
La realtà dell’ecovillaggio si potrebbe definire con l’espressione comunità sostenibile. Si tratta di un gruppo di persone che scelgono di vivere “a misura d’uomo”, fuori dai canoni della società contemporanea, seguendo uno stile di vita comunitario, basato sulla condivisione e sulla partecipazione, in totale armonia con la natura, forte di tempi e spazi totalmente diversi da quelli dell’ambiente urbano. Gli ecovillaggi sono tantissimi e tutti diversi, ma presentano anche numerose caratteristiche comuni, che rendono ogni specifica realtà parte di qualcosa di più grande. Sono infatti attive diverse reti che raccolgono e mettono in comunicazione i villaggi di tutto il mondo, come il Global Ecovillage Network (Gen) o la Rete Italiana Villaggi Ecologici (Rive).
Tutte le realtà identificate come ecovillaggi, impostano la propria gestione su principi di sostenibilità e, soprattutto, sulla condivisione: condivisione di stili di vita, idee, valori, competenze e, talvolta, anche denaro. Capita infatti che i membri di una comunità mettano il proprio stipendio a disposizione degli altri, portando avanti l’idea di voler crescere e migliorare insieme. Negli ecovillaggi, inoltre, si tende all’autosufficienza, a una vita che possa iniziare e concludersi all’interno della comunità, sfruttando i doni offerti dalla natura, senza dipendere da realtà esterne, e tutto in totale armonia con l’ambiente circostante. Alimenti e beni di consumo vengono prodotti con tecniche che non possano in alcun modo danneggiare l’ecosistema, e allo stesso modo avviene la costruzione delle abitazioni. Inoltre, vivendo nella comunità si finisce per esserne parte attiva, quindi si partecipa alle decisioni che la riguardano, così come alle celebrazioni e ai rituali.
Le comunità ecologiche hanno radici ben più antiche delle città in cui attualmente viviamo. Ma per quanto riguarda l’epoca contemporanea, si può far risalire la loro nascita al 1971, quando un docente di inglese e semantica di San Francisco, Stephen Gaskin, acquistò grazie una colletta comune 850 ettari di terreno in Tennessee e diede vita a The Farm, la comunità in cui sarebbe stato possibile vivere secondo gli ideali hyppie che lui stesso appoggiava fermamente durante le sue lezioni. In pratica, il primo ecovillaggio contemporaneo al mondo. Partita da 250 abitanti, nel corso degli anni ’80 The Farm arrivò a ospitare fino a 1.500 persone. La comunità sviluppò un proprio metodo decisionale, mise in campo iniziative, corsi e laboratori di vario genere, aiutò attivamente popolazioni colpite da disastri ambientali o crisi umanitarie. E così tante altre dopo di lei.
Il termine ecovillaggio è però stato introdotto per la prima volta nel 1991 da Robert e Diane Gillman nel libro Eco-Villages and Sustainable Communities, e da quel momento indica genericamente tutte le realtà con queste caratteristiche.
In tutto il mondo esistono migliaia di comunità ecologiche grandi e piccole. Solo alla rete Gen se ne sono registrate circa 900, ma ce ne sono tante altri che non fanno parte del network. Si stima infatti che solo in America siano presenti almeno duemila comunità, di cui il 90% concentrato negli Stati Uniti. Ma sono presenti comunità anche in Australia, India, Sri Lanka, Marocco.
In Europa ce ne sono più di cento: da Christiania, la città libera di Copenhagen attiva dal 1971, in cui vivono circa 800 persone tra cui 150 bambini, alla Findhorn Foundation in Gran Bretagna, alla tedesca Lebengarden con i suoi 109 residenti stabili, fino addirittura all’ecovillaggio siberiano Tiberkul, che conta 5000 famiglie distribuite in 50 villaggi nella Taiga, ciascuna con la propria casetta e il proprio orto. Le esperienze sono le più disparate, e le pratiche di vita variano da villaggio a villaggio. La cosa certa, è che in tutti questi luoghi la parola d’ordine è condivisione.
In Italia, la maggior parte degli ecovillaggi fa parte del Rive, a cui possono iscriversi tutte le comunità riconosciute come tali. Di seguito, ecco un breve elenco di alcuni ecovillaggi presenti in Italia: