Eparina ai pazienti Covid-19: a Piacenza si sperimenta con risultati positivi una nuova terapia

L’eparina è un farmaco molto usato come anticoagulante, ma meno noto è il suo effetto anti-infiammatorio. Il dottor Marco Stabile l’ha sperimentato con successo su alcuni pazienti affetti da Covid-19 nell’ospedale di Castel San Giovanni, alle porte di Piacenza. Fai molta attenzione: la somministrazione del farmaco avviene esclusivamente in una struttura sanitaria, sotto stretto controllo medico.
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Federico Turrisi 9 Aprile 2020
* ultima modifica il 22/09/2020
Intervista al Dott. Marco Stabile Primario del reparto di chirurgia plastica ricostruttiva dell'ospedale di Castel San Giovanni - AUSL Piacenza

Come ben sai, dobbiamo ancora aspettare diversi mesi prima che venga messo a punto e poi distribuito un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2. Nel frattempo, medici e ricercatori stanno sperimentando anche nuovi percorsi di cura per trovare terapie più efficaci, soprattutto per i pazienti colpiti da Covid-19 con più gravi complicanze.

Il dottor Marco Stabile, primario del reparto di chirurgia plastica dell'ospedale di Castel San Giovanni – AUSL Piacenza, diventato lo scorso 29 febbraio il primo ospedale Covid-19 in Italia, ha avuto un'intuizione: perché non usare l'eparina per spegnere l'infiammazione polmonare causata dal coronavirus? I risultati, verificati su decine di pazienti, sono stati più che incoraggianti. Ma prima di spiegare nel dettaglio in che cosa consiste questa innovativa terapia, occorre fare un passo indietro.

L'eparina è un farmaco molto conosciuto, usato soprattutto come anti-coagulante. Per esempio, dopo un intervento ortopedico potrebbero esserti prescritte dal medico iniezioni sottocutanee di eparina per prevenire il rischio di trombosi. Conoscono bene questo farmaco anche i cardiologi, che possono prescrivere l'eparina in caso di fibrillazione atriale o di problemi di coagulazione del sangue, così da evitare la formazione di trombi.

"Non tutti però conoscono l'effetto antinfiammatorio dell'eparina", racconta il dottor Stabile. "Io lo conoscevo perché 12 anni fa al Centro Grandi Ustionati dell'Ospedale di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Cisanello di Pisa, dove lavoravo, l'abbiamo sperimentata su alcuni pazienti ustionati e abbiamo riscontrato dei risultati sorprendenti. Quando un paziente si ustiona bisogna dargli tanti liquidi, altrimenti va in shock e muore. L'eparina diminuiva la quantità di liquido da dare, in pratica la formula di Parkland veniva dimezzata. Questa cosa non me la sono inventata io, ma l'avevo ascoltata a un congresso mondiale sulle ustioni in Brasile, nel 2006, dal professor Saliba di San Diego, che illustrava gli effetti benefici dell'eparina sottocute e spray sulla pelle ustionata. Sono rimasto impressionato. Dopo due anni siamo partiti con la sperimentazione in Italia e i risultati sono stati strabilianti".

Che cosa c'entra tutto ciò con una sindrome respiratoria come il Covid-19? Adesso ci arriviamo. Nei casi gravi, dopo essere entrato nell'organismo, il coronavirus determina un'infiammazione legata alla risposta del sistema immunitario del paziente. Del resto, la polmonite (come tutte le patologie che terminano con il suffisso -ite) è un'infiammazione. "In questo caso ci troviamo di fronte a una polmonite interstiziale, un'infiammazione cioè che interessa l'interstizio tra gli alveoli e i vasi sanguigni, che devono entrare in contatto per lo scambio di ossigeno e anidride carbonica", spiega il dottor Stabile. Quando l'interstizio si ispessisce a seguito dell'infiammazione, impedisce agli alveoli di espandersi completamente durante l'inspirazione. Comincia a mancare l'ossigeno e il respiro si fa affannoso.

"Abbiamo poi notato nei pazienti affetti da Covid-19 delle vasculiti, ossia delle infiammazioni dei vasi sanguigni, che portano alla formazione di microtrombi. Inoltre, dalle autopsie effettuate in questi giorni è emerso che molte persone presentavano dei microtrombi. Di più, stanno venendo in pronto soccorso qui da noi pazienti positivi al coronavirus che hanno avuto un'embolia polmonare. Vuol dire che in questa malattia ci sono anche delle problematiche connesse all'ipercoagulabilità del sangue. Tant'è che abbiamo visto che il d-dimero, una molecola che permette di comprendere il grado di coagulabilità del sangue, di questi pazienti era elevatissimo. Il che significa avere una certa predisposizione alla trombosi". 

Allora lo scorso 16 marzo, nel pieno dell'emergenza, durante la consueta riunione tra professionisti all'ospedale di Castel San Giovanni, al dottor Stabile si accende una lampadina: sui pazienti ustionati l'eparina si è rivelata uno strumento efficace per ridurre l'infiammazione, perché non testarla anche sui pazienti Covid-19? "L'eparina ha in questo caso un duplice effetto: prima di tutto, antinfiammatorio, cioè contribuisce a bloccare la cascata antinfiammatoria. In secondo luogo, risolve la vasculite, nel senso che fa passare più sangue nei vasi perché è un anticoagulante, se si formano dei microtrombi li scioglie".

Dopo aver ottenuto l'approvazione della dottoressa Daniela Aschieri, primario di cardiologia all'ospedale di Castel San Giovanni, e del comitato etico dell'ospedale, il dottor Stabile e il suo team sono partiti con la sperimentazione. I primi risultati sono stati molto positivi. "Certo, non è una cura risolutiva, ma è di sicuro un grande aiuto per trattare i pazienti colpiti più duramente dal coronavirus. Con la combinazione di eparina, cortisone e idrossiclorochina abbiamo risolto numerosi casi. La novità principale è la capacità dell'eparina di combattere l'infiammazione".

Bisogna sottolineare un passaggio molto importante: l'eparina viene utilizzata dal personale medico a un dosaggio un po' più alto per avere un effetto antinfiammatorio, ed è per questo motivo che la sua somministrazione va eseguita soltanto in ospedale e assolutamente non a casa.

I risultati ottenuti dal'uso di eparina per risolvere casi gravi di Covid-19 rappresentano senza dubbio una buona notizia. Il trattamento ha dimostrato di funzionare su oltre 150 pazienti. La ricerca adesso deve andare avanti. "Mi hanno scritto anche dal reparto di nefrologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli. Loro hanno trattato solo pazienti dializzati, ma hanno notato gli stessi effetti benefici con l'utilizzo di eparina. Mi hanno chiesto: perché non mettiamo insieme i dati? L'unione fa la forza, soprattutto in campo scientifico".

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