Una miniera era pronta a espandere le proprie attività a cielo aperto nella provincia di KwaZulu-Natal nel cuore del Sudafrica. Gli avidi sostenitori dei combustibili fossili era decisi a rubare sempre più censimenti verdi al nostro Pianeta ma sulla loro strada incontrarono Fikile Ntshangase, l'eco-eroe che lotta fino all'ultimo giorno per difendere la sua terra e l'ambiente dall'industrializzazione.
Un tempo la costruzione di una miniera non avrebbe destato grossi scandali. Anzi, spesso era addirittura salutata con entusiasmo.
Come fonte di carbone non era solo sinonimo di industria e progresso ma rappresentava anche una preziosa opportunità di lavoro.
È ciò cui ha pensato una larga fetta di popolazione di Ophondweni, modesto villaggio situato nella provincia di KwaZulu-Natal nel cuore del Sudafrica.
Qui il pascolo e l’allevamento di capre e bovini avevano sempre rappresentato l’unica fonte di sostentamento per le famiglie ma a causa dell’instabilità dell’attività e dalla sua scarsa resa, da risorsa si erano presto trasformate in una condanna per la sopravvivenza.
Quando la società Tendele Coal Mining aveva ottenuto i diritti per espandere l’area della miniera vicino a Somkhele, la possibilità di provvedere alla propria famiglia attraverso l’estrazione mineraria aveva dunque trovato il consenso di molti abitanti del villaggio di Ophondweni e della zona circostante.
Il resto della popolazione locale, tuttavia, vide la miniera per ciò che realmente avrebbe significato: un male insanabile.
Non solo perché avrebbe contribuito a mettere i bastoni tra le ruote alle ambizioni di decarbonizzazione cui aspira tutto il mondo, ma avrebbe giocato in favore della sopravvivenza dei combustibili fossili, l’altra risorsa divenuta ormai una condanna per il Pianeta, questa volta volta in senso letterale.
I confini della cava di carbone sarebbero arrivati fino alla riserva di caccia di Hluhluwe-iMfolozi. Le sue attività avrebbero dunque messo in grave pericolo la più antica riserva naturale dell’Africa che, tra le altre cose, ha un ruolo centrale anche nella tutela e conservazione del rinoceronte bianco, già minacciato del bracconaggio per il commercio illegale dei suoi corni e dalla frammentazione dell’habitat.
Il carbone avrebbe comportato poi seri problemi di salute per la popolazione, danni ambientali dovuti all’inquinamento delle risorse idriche potabili o l’erosione dell’ambiente naturale circostante con la conversione industriale delle terre e il prosciugamento di altre fonti d’acqua.
Denaro per sopravvivere contro tutela dell’ambiente: questo fu il delicatissimo equilibrio su cui si trovò a vivere, camminare e combattere Fikile Ntshangase.
Sessantacinque anni compiuti, ne ha passati una gran parte a lottare per rivendicare i diritti della sua comunità e a difendere l’ambiente che l’aveva vista diventare una delle più famose eco-eroi del mondo.
Quell’equilibrio già precario e assai delicato però si spezzò la notte del 22 ottobre 2020, quando Fikile Ntshangase venne brutalmente uccisa da un gruppo di 3, forse 4 sicari.
Erano circa le sette e mezzo, il sole stava ormai calando lasciando spazio alla buio della sera e Fikile si trovava nella sua casa di Ophondweni, seduta sulla sue sedia preferita a tagliare le cipolle per la cena.
Fuori, nel giardino di fronte, suo nipote di 13 anni ere immerso in avventure immaginarie insieme ai suoi piccoli amici quando degli uomini lo avvicinarono chiedendo se in casa ci fosse qualcuno.
Qualcuno riuscì a distrarre l’attenzione dei ragazzi, gli altre invece entrarono e fecero fuoco sulla donna, totalmente indifesa.
Fikile morì lì, nella sua casa, davanti agli occhi increduli, innocenti, pietrificati, inconsapevoli di suo nipote.
Come membro e vicepresidente della Mfolozi Community Environmental Justice Organization, Fikile Ntshangase fece la battaglia contro la Tendele Coal una delle sue ragioni di vita.
Non appena la società aveva annunciato la volontà di espandere le proprie attività minerarie a cielo aperto, Fikile Ntshangase mise in campo un’audace campagna di sensibilizzazione per denunciare l’impatto che una simile opera avrebbe comportato per la salute locale.
Fikile incastrò la società in una disputa legale cavillosissima, in modo da impedire che la miniera sottraesse altri centimetri al Pianeta e fagocitasse pure l’area tribale Mpunkyoni.
La donna sapeva bene che il peso dell’inquinamento provocato dalle polveri della miniera sarebbe stato di gran lunga maggiore rispetto ai presunti benefici legati all’attività economica.
La miniera sarebbe stata la causa di una indescrivibile distruzione di una grossa fetta di natura sudafricana, delle case e dei mezzi di sussistenza degli abitanti di Ophondweni e della vicina Somkhele, due piccoli tesori per la cui tutela le comunità avevano lottato avevano dato la vita.
In una notte di ottobre, però, qualcuno decise occuparsi una volta per tutte della faccenda e come un ostacolo sulla strada, il rullo dell’industria andò dritto per la sua strada.
A due anni di distanza, l’assassinio di Fikile Ntshangase resta ancora sotto inchiesta e senza giustizia, dal momento che non è scattato ancora nessun arresto. Lo stesso destino toccato purtroppo a più di uno dei 227 eco-eroi uccisi “in azione” in tutto il mondo nel 2020.
Forse Fikile Ntshangase vorrebbe che qualcuno venisse giudicato colpevole in un tribunale onesto o che il carcere accogliesse quei codardi di un gesto così riprovevole e meschino.
Forse però la giustizia cui vorrebbe assistere Fikile Ntshangase è diversa e in qualche modo ancora più alta. Ci piace pensare che Fikile vorrebbe vedere crescere un’altra lista di nomi. Quella, cioè, degli eco-eroi che come lei si battono per il nostro Pianeta.
Credit Cover Image: ROB SYMONS