Berta Cáceres, la guardiana della Natura che diede la vita per il “suo” fiume in Honduras

La più importante battaglia ambientalista di Berta Cáceres fu quella per la tutela del fiume Gualcarque, preziosissima fonte di acqua e cibo per le popolazioni locali dell’Honduras. Fu anche la sua ultima poiché dopo 10 anni di lotta da eco-eroe, fu brutalmente assassinata da un gruppo di criminali ingaggiati dall’ex presidente della società che voleva sfruttare il corso del fiume per costruirci quattro dighe idroelettriche.
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Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
3 Marzo 2022

Consacrò i propri sforzi agli altri, al mondo e al Pianeta. Berta Cáceres lottò per difendere il suo Honduras e in particolare il fiume Gualcarque, preziosissima fonte di acqua e cibo per le popolazioni locali. Combatté da eco-eroe per tutta la vita, finché i suoi oppositori non trovarono altro modo per fermarla se non ucciderla brutalmente.

Nel cuore della notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016 una donna si trovava nella sua casa a La Esperanza, in Honduras. Aveva sparecchiato la tavola in cucina, sistemato i piatti nel lavabo ed era quasi pronta per infilarsi sotto le coperte e godersi qualche ora di riposo.

La giornata era stata intensa, quasi massacrante e la sua anima, più che il corpo, ogni giorno di più ne portava le cicatrici. Va così quando trasformi la battaglia per la difesa dell’ambiente nella tua vita.

Ma per lei, Berta Cáceres, non era mai stato diverso. Fin da quando era giovane i suoi sforzi erano sempre stati più sbilanciati verso gli altri, il mondo, il Pianeta. Dalla prima linea nelle lotte studentesche era passata poi a sfidare imprese e governi per fermare le deforestazioni e le estrazione minerarie o a combattere per la parità di genere nella politica internazionale.

Consapevole che dentro la propria voce si mescolavano quelle di milioni di altri honduregni, Berta nel 1993 aveva anche fondato il Consiglio delle organizzazioni popolari ed indigene dell’Honduras, un’organizzazione pensata al solo scopo di tutelare i diritti umani dei popoli indigeni del suo paese.

E poi era figlia di sua madre, una deputata divenuta presto paladina dei diritti delle donne indigene e dei rifugiati politici in fuga dai conflitti civili. Che altro avrebbe potuto fare, Berta?

Siccome le mele, come si dice, non cadono mai troppo lontane dall’albero, da oltre 10 anni la donna aveva scelto la propria battaglia: difendere il fiume Gualcarque, un corso d’acqua di quasi 4 chilometri che come una gentile ruga del tempo solca il volto antico e provato dell’Honduras.

Al contrario di quanto lo possa sembrare, il Gualcarque non è solo un fiume o una preziosissima risorsa per l’approvvigionamento di acqua. Per le popolazioni degli indigeni Lenca, lontani parenti dei Maya e tra le più antiche del Paese, il Gualcarque è un’entità sacra, al pari di una divinità.

Quando nel 2006 il loro fiume si trovò di fronte all’incombente minaccia della costruzione di quattro dighe idroelettriche da parte della Desa, un gruppo di imprese, aziende, ricchi e potenti, per i Lenca, che da sempre si sentono i guardiani ancestrali dei fiumi, fu come se il cielo avesse preso fuoco.

Lo sbocciare di più di uno di questi mostri di cemento avrebbe richiesto la deviazione del suo corso ma soprattutto avrebbe messo seriamente a repentaglio un libero e facile accesso all’acqua e al cibo oltreché il reperimento di altre materie alla base di diversi farmaci.

L’impresa, tra l’altro rea di aver violato il diritto internazionale poiché in fase di progettazione le popolazioni locali non furono mai contemplate, non era nemmeno scevra da danni ambientali. Le dighe idroelettriche spesso portano con sé inondazioni o prosciugamento dei corsi d’acqua. Quell’idea rischiava insomma di condannare la sopravvivenza dei Lenca.

Berta Cáceres non potè rimanere immobile né tantomeno zitta e insieme alla comunità dei Lenca organizzò un strenua linea di difesa. Fu lei ad avviare la campagna di protesta e a dare il la a un’azione legale che portò la voce del popolo Lenca fino ai tavoli della Commissione interamericana per i diritti umani.

Berta consacrò la sua vita alla difesa del sacro fiume Gualcarque. E come lei tutti i membri del Consiglio delle organizzazioni popolari ed indigene dell’Honduras, che per un decennio combatterono al suo fianco per fermare l’avida fagocitazione delle terre hondurgne da parte di progetti economici spietati.

Da eco-eroe locale Berta Cáceres diventò l'emblema di un leader ambientalista di livello internazionale, al punto che nel 2015 le fu assegnato il Goldman Prize, il premio ambientale più prestigioso al mondo. Berta ormai era diventata una guida illuminata a cui ispirarsi per mettersi in prima linea e lottare per il cambiamento di tanti parlano ma per il quale pochi si espongono davvero.

Poi arrivò la notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016. Uno di quei momenti che, come direbbe Franklin Delano Roosevelt, resterà per sempre macchiato dall’infamia. E dal tradimento. Quella notte Berta Cáceres venne brutalmente uccisa.

Un gruppo di tre sicari fece irruzione nella sua casa di La Esperanza e le svuotò più di un caricatore di proiettili addosso. Come qualche anno più tardi sarebbe capitato a Joannah Stutchbury, anche Berta fu uccisa per il suo impegno ambientalista.

A due anni di distanza dalla sua morte, giustizia in parte fu fatta. Il coraggioso lavoro della famiglia di Berta e della rete del suo Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras portò all’arresto e alla condanna dei tre assassini e di altri tre vigliacchi che avevano partecipato al complotto.

Sei anni dopo l’omicidio, anche la mente dell’operazione fu scovata e incarcerata. L’ultimo fuggiasco era David Castillo Mejía e la sua condanna indignò l’Honduras intero quasi quanto la notizia della morte di Berta.

Sul curriculum di David Castillo Mejía, oltre alla carriera da ufficiale nell’intelligence dell’esercito honduregno e una vita militare insieme ai berretti verdi, le forze speciali statunitensi, spiccava il suo ultimo incarico professionale di presidente esecutivo della Desa: la società decisa a costruire le quattro dighe idroelettriche sul fiume Gualcarque.

Con i dati del Global Witness sotto mano, che nel 2021 parlavano di ben 227 ambientalisti uccisi nel mondo e di cui ben 17 in Honduras, alcuni hanno sostenuto amaramente che la morte di Berta Cáceres altro non fu che la classica pianta crollata nella foresta. L'ennesima dimostrazione di un'epidemia incontrollabile.

Noi però non siamo d’accordo. Tutti hanno sentito quel roboante e profondo tonfo. Che poi altro non fu che il suono del silenzio di un’altra voce zittita. Sta a noi però rialzarle il volume, sta a noi proteggere e diffondere l'eredità di Berta.

E a chi considera ancora le uccisioni degli eco-eroi come un’epidemia, ricordiamo cosa abbiamo fatto contro le pandemie passate e quelle presenti: abbiamo trovato un modo per debellarle.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…