Hervé Barmasse e la passione per la montagna: “L’alpinismo nasce dall’esplorazione”

Tra le montagne trova il suo senso di pace, la sua quiete mentale. Solo sensazioni positive. Hervé Barmasse scala le vette delle montagne più alte, senza ossigeno, fedele allo stile alpino che una volta faceva la differenza. Quando ancora la montagna non era invasa dalla presenza dell’uomo.
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Gaia Cortese 12 Dicembre 2019

Nato e cresciuto ai piedi del Cervino, classe 1977, Hervé Barmasse è un alpinista sui generis. Non è un fanatico, non è fazioso. La sua passione è semplicemente scalare le montagne. Esplorare. E se riesce a farlo aprendo vie nuove tanto meglio. Sostenitore dello stile pulito e preoccupato per come l'uomo sta portando sempre più degrado sulle cime scalate. Quello che invoca è un cambio di cultura. Solo questo permetterebbe una vera svolta per la salvaguardia dell'ambiente.

Che età avevi quando hai scalato per la prima volta il Cervino?

Avevo 16 anni. Ho scalato in compagnia di mio padre, che voleva in qualche modo incitarmi a riprendermi da un grave infortunio che avevo avuto sugli sci.

Che tipo di ragazzo eri?

Ero giocoso, felice, vitale. Prima dell’incidente, ma anche dopo. Ho sempre avuto tanta passione per quello che facevo. Ero un grande sognatore.

La tua vita è cambiata in seguito a quell'incidente sugli sci. Hai dei rimpianti nella tua vita?

L'incidente è stato un po' uno Sliding doors della mia vita. Ero considerato un talento dello sci Nazionale. Quello è uno dei pochi rimpianti, forse è l’unico. Credo però che si debba sempre ragionare sul presente, per avere nuove prospettive per il futuro. Si deve essere un po' malleabili, sia di testa che di fisico.

In occasione della serata “A tu per tu con i grandi dello sport” organizzata da DF Sport Specialist in collaborazione con The North Face, Hervé Barmasse riceve da Sergio Longoni, Presidente DF, una piccozza come simbolo di progressione, in segno di stima e amicizia.

Cosa provi ogni volta che raggiungi una vetta?

In realtà la vetta più che un traguardo è un giro di boa. In genere io sono molto sereno e tranquillo. Quando scalo raggiungo un senso di pace, un senso di quiete soprattutto mentale. È una bella sensazione, quando ci si sente bene con se stessi. Sugli Ottomila, ma anche sulle Alpi, hai tempi limitati per rimanere in vetta; devi pensare anche a quella che sarà la fase della discesa, una parte della scalata in cui spesso si fa meno attenzione, tendi a rilassarti e sei comunque più stanco. In una casistica generale gli incidenti avvengono più frequentemente sulle vie più facili e in discesa, mentre in salita è piu difficile.

C'è più soddisfazione nell'aprire una nuova via rispetto a percorrerne una già conosciuta?

Aprire una nuova via è incredibile, stupendo, non ha tanti paragoni. È qualcosa di diverso e certamente più difficile. L’alpinismo nasce con l'idea di esplorare e quando apri una via nuova è così. L’esplorazione di un amatore, di un principiante avviene naturalmente anche su tracciati di altri. Ma per chi è più esperto o lo fa di professione, l'esplorazione è fondamentale. C’è quell’idea che non sai come andrà a finire una scalata; quando sei lì che scali, che non conosci la via e non hai indicazioni, è davvero un bel gioco!

Meglio una spedizione in solitaria o con altri alpinisti?

Scalare in solitaria in cordata o in solitaria è differente. Scalare da solo è un salto di qualità, dal punto di vista sportivo è una soddisfazione maggiore, tutto è più difficile, tutto ricade su di te, non puoi confrontarti con nessuno. Per andare da solo devi essere pronto fisicamente e mentalmente. La scalata in solitaria è ancora per pochi, ma è la maggiore espressione dell’alpinismo. Io tuttavia, giudicando dalle emozioni, trovo che la condivisione in cordata ti regali ancora qualcosa di differente. Ho fatto entrambe le cose, c’è un momento per fare una cosa e uno per fare l’altra.

Come si sceglie un buon compagno per un'impresa di questo tipo?

Per me l’importante è che l’obiettivo sia comune. Se trovi una persona che vuole fare la tua stessa cosa, allora si impegnerà come te e darà il massimo. La motivazione è la prima cosa. Lo stesso obiettivo condiviso diventa un forte collante perché le cose finiscono sempre per andare bene. Poi davanti a una salita magari uno è più in forma dell'altro, può anche capitarti di dover essere più disposto al sacrificio, insomma, fa parte anche questo dello scalare in cordata.

Che rapporto hai con la paura?

La paura è necessaria, è un campanello di allarme. In realtà un alpinista che non ha paura e già morto. Paura che però non deve essere panico. Se non controlliamo i nostri stati emotivi, anche nella vita di tutti i giorni, è più facile che commettiamo passi sbagliati. Questo stesso panico, in montagna lo paghi molto di più che nella vita quotidiana.

Come ha cambiato la tua vita l'alpinismo?

Completamente perché l’alpinismo mi ha dato la possibilità di viaggiare e di incontrare altre persone, culture diverse, Paesi con usanze differenti. Già per questo aspetto, l'alpinismo mi ha regalato tanto. Se poi diventa anche un lavoro come nel mio caso, allora ti accorgi che hai unito la cosa che ami di più a un mestiere e che hai realizzato un desiderio comune a molte persone.

Che progetti hai per il futuro?

Ho sempre progetti dietro casa, ma il prossimo anno l'idea è quella di aprire una nuova via sul Cho Oyu (8.201 metri), o Dea Turchese. Seguo quello che ho sempre fatto, esplorare itinerari differenti e se possibile aprire vie nuove. Così, anche in questo caso, mi piacerebbe farlo. Non sta a me dirlo, ma mi sono sempre distinto per l'ecletticità che mi caratterizza.

Un'altra tua caratteristica è che scali seguendo il cosiddetto "stile pulito"…

Si tratta dello stile alpino, o anche chiamato "stile pulito" perché in scalata non hai aiuti. Non ho ossigeno, non ho portatori, non attrezzo la via con le corde fisse e non lascio rifiuti. È uno stile che si differenzia da quello hymalaiano che prevede le soste ai vari campi, le corde, gli sherpa: per fare questa cosa non solo impieghi molti giorni, ma una volta arrivato in cima tutto il materiale che hai usato viene abbandonato. Quindi mi sono chiesto come volevo scalare le montagna, e lamia idea è quella di partire dalla base alla montagna con il minimo necessario.

Una volta lo stile alpino faceva la differenza, oggi invece non c'è più la volontà di preservare le montagne. La presenza di rifiuti sulle vette scalate è molto peggio di quello che si possa immaginare. E molti esempi negativi arrivano anche da alpinisti professionisti.

Oggi la sfida è cercare di cambiare la nostra cultura. Se sei un alpinista, ami la montagna, ma anche se non scali e sei un amante della natura, puoi fare qualcosa. Sono le scelte della massa che cambiano il mercato, quindi anche l'utente singolo può fare molto. Questa sarebbe la svolta, ma occorre una presa di coscienza globale.

Credits foto in evidenza: Damiano Levati