“Il CBD non può essere considerato uno stupefacente”, il professor Costantino ci aiuta a capire i problemi del nuovo decreto

Le pratiche qui descritte non sono accettate dalla scienza medica, non sono state sottoposte a verifiche sperimentali condotte con metodo scientifico o non le hanno superate. Queste informazioni hanno solo un fine illustrativo.
Il cannabidiolo è uno dei due principi attivi della cannabis e lo si estrae dalla canapa sativa, le cui destinazioni d’uso sono soprattutto industriali e terapeutiche. Il decreto del Ministero della Salute che entrerà in vigore il 30 ottobre potrebbe avere ripercussioni su aziende che producono integratori e altri prodotti a base di CBD.
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Giulia Dallagiovanna 28 Ottobre 2020
Intervista al Prof. Gabriele Costantino Docente di Chimica Farmaceutica e direttore del dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell'Università degli Studi di Parma

Il 15 ottobre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un decreto del Ministero della Salute a proposito della cannabis terapeutica. Secondo il provvedimento, a partire dal 30 ottobre le "composizioni per la somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis" verranno considerate farmaci e inserite nella sezione B della tabella due. Il problema è che quello spazio è riservato "all’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope". La decisione da parte del governo è stata presa in occasione dell'immissione in commercio dell'Epidiolex, un farmaco a base proprio di CBD e prodotto dalla GW Pharmaceuticals, che sta per essere approvato dall'Aifa, dopo aver ricevuto il via libera dall'Ema, l'ente corrispettivo a livello europeo. Il medicinale viene utilizzato per i pazienti affetti dalla sindrome di Dravet e da quella di Lennox-Gastaut, due forme severe di epilessia.

Il risultato è che se tutti i prodotti a base di CBD verranno ritenuti medicinali con effetti stupefacenti, non potranno più essere venduti senza l'autorizzazione da parte dell'AIFA, l'Agenzia italiana del farmaco. Vietata quindi anche la loro commercializzazione sotto forma di integratori, per uso ricreativo o come ingrediente all'interno di altri prodotti. Un'intera filiera produttiva che rischia di subire danni economici davvero ingenti. E poi, se l'estratto verrà considerato in questi termini, che ne sarà invece delle infiorescenze dalle quali si ottiene la cannabis light?

L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha però preceduto di due giorni il decreto, con una stretta ancora più mirata: "I legali rappresentanti degli esercizi di vicinato, delle farmacie e delle parafarmacie che esercitano o intendono esercitare l’attività di vendita al pubblico dei prodotti da inalazione senza combustione, costituiti da sostanze liquide, con o senza nicotina, sono tenuti a presentare un’autocertificazione, resa ai sensi della D.P.R. n. 445/2000, contenente anche l’impegno a non vendere foglie, infiorescenze, oli, resine o altri prodotti contenenti sostanze derivate dalla canapa sativa".

A questo punto, la domanda sorge spontanea: ma il cannabidiolo è davvero uno stupefacente? Lo abbiamo chiesto al professor Gabriele Costantino, docente di Chimica Farmaceutica e direttore del dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell'Università degli Studi di Parma.

"Quello che manca è una definizione giuridica accettata di ‘sostanza stupefacente' – ci spiega. – Ma se con questa espressione intendiamo un composto che possa alterare la percezione di se stessi nell'ambiente circostante, abbassare la soglia di percezione del pericolo o rallentare i riflessi, allora bisogna concludere che il CBD non è tra queste. Allo stato attuale delle conoscenze non presenta infatti alcuna proprietà di questo tipo, mentre è dotato di spiccate azioni rilassanti, distensive e antidistoniche. Non e’ certamente più psicoattivo di nicotina o alcool etilico, per far riferimento a due sostanze molto note".

CBD e THC

Tanto per essere chiari, il CBD di cui stiamo parlando è uno dei due principali principi attivi presenti nella cannabis, il secondo è il THC o delta-9-tetraidrocannabinolo. Entrambi agiscono sui recettori endocannabinoidi che si trovano nel tuo cervello e che hanno il compito di regolare il tuo stato psicologico e il sistema immunitario. Queste sostanze possono controllare l'eccitabilità dei neuroni e calmarli, producendo così un effetto rilassante e di benessere. La differenza è che il cannabidiolo viene impiegato soprattutto in ambito terapeutico, mentre il tetraidrocannabinolo è più direttamente legato allo scopo ricreativo. "Il THC della cannabis indiana deve essere senz'altro considerato stupefacente perché altera in modo significativo la percezione che si ha di sé e dell'ambiente – precisa il professor Costantino. – Se ci si mette alla guida, ad esempio, si rischia di produrre un danno a se stessi o al prossimo, oltre ad effetti a lungo termine sulle funzioni cerebrali".

Il CBD invece viene estratto dalla cannabis sativa che, a differenza di quella indiana (o indica), ha come prima destinazione il settore industriale. Solo in un secondo momento può essere utilizzata a scopo ricreativo e venire commercializzata legalmente anche in Italia a patto che i livelli di THC non siano superiori allo 0,2%.

Le infiorescenze e gli estratti

Nel decreto si parla di "estratto", cioè un composto che deriva dalla pianta di canapa sativa. Siccome in questo articolo ho fatto riferimento anche alla cannabis light, ovvero quella legale venduta a scopo esclusivamente ricreativo, è bene fare una precisazione: quest'ultima si ricava dalle infiorescenze, cioè dal raggruppamento di fiori che si trovano al termine dei rami. "Se durante la produzione sono state rispettate tutte le regole – interviene il professor Costantino, – l'estratto è puro. Contiene cioè solamente il principio attivo in una determinata dose. Per quanto riguarda le infiorescenze è invece importante che derivino dalla canapa sativa, approvata dalla legislazione italiana in quanto non stupefacente, e che sia sempre controllato il titolo (la quantità) di THC che deve esser entro i limiti di legge".

Ma cosa significa stupefacente?

Il punto è sempre quello: non possono venire immesse liberamente in commercio sostanze con effetti stupefacenti. Resta quindi anche il problema: la mancanza di un'indicazione rispetto a cosa si intenda con questo termine. Almeno, in ambito giuridico: "Quando si utilizzano lemmi come droga, sostanza d'abuso, sostanza ad azione psicotropa e così via, bisogna sapere che non gli è stato attribuito un significato univoco o una definizione operativa. Vengono quindi considerate tali tutte quelle contenute nelle tabelle del ‘Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza', cioè la legge 309 del 1990 e sue successive modifiche", prosegue il professor Costantino.

Il CBD non può essere considerato stupefacente perché non produce un'alterazione della percezione

Il cannabidiolo non dovrebbe essere incluso in questa lista perché non produce alcuna alterazione della percezione. "Inoltre – aggiunge il professore, – in farmacologia l'effetto dipende dal dosaggio. Se assunto in quantità normali, il CBD induce solo uno stato di benessere, che rappresenta poi il suo valore".

Una questione di dosi

Forse non lo sapevi, ma la differenza tra un integratore alimentare e un farmaco la fa il dosaggio e non il principio attivo. I produttori di cannabis industriale vendono appunto integratori. "Anche una farmacia che dispone di questi prodotti potrebbe andare incontro a inadempimenti – ci spiega Giorgia Massaro, consulente legale di Enecta, una tra le maggiori aziende che producono estratti di cannabis, – e quindi preferirà evitare, perché diventerebbe un impegno troppo oneroso". Per chi produce poi il via libera dovrebbe arrivare direttamente dal Ministero della Salute, "ma ci sono dei limiti annuali al rilascio di autorizzazioni", aggiunge Massaro.

Un problema per tutti, anche per chi lo utilizza per scopi puramente scientifici. "Il cannabidiolo può essere naturalmente considerato un farmaco per specifiche indicazioni – chiarisce il professor Costantino, – ma devono essere specificate le quantità, al di sotto delle quali non deve più intervenire l'Aifa. Il problema è che il CBD in quanto tale è stato inserito nella tabella degli stupefacenti e a questo punto diventa impossibile impiegarlo in altri settori in qualsiasi dosaggio. Ora avremo difficoltà a reperirlo anche per scopi di ricerca".

Di norma di questo principio attivo si sfruttano soprattutto le proprietà rilassanti e la blanda azione antidolorifica. Viene insomma acquistato da persone che soffrono di mal di testa o di schiena, magari derivanti dallo stress e dalla tensione accumulata sul lavoro. "Esiste una porzione importante della popolazione che ne fa uso per evitare di ricorrere subito ai medicinali di fronte a un dolore persistente – aggiunge Marco Cappiello, tra i fondatori di Enecta. – Questo provvedimento dunque penalizzerà anche loro, che magari sono semplicemente persone di mezza età che sfruttavano questo aiuto per i loro disturbi". Se poi si vuole guardare al solo scopo ricreativo, che ha portato da qualche anno alla diffusione anche in Italia dei negozi di cannabis light, il problema restano le dosi, proprio come accade per l'alcol. Non è stato invece documentato ancora alcun tipo di tossicità. "Secondo la mia personale lettura del decreto, sono stati male interpretati i dati scientifici a disposizione", conclude il professore.

E soprattutto è stata fatta molta confusione. Dal 30 ottobre, cioè da quanto il provvedimento entrerà in vigore, l'estratto di cannabidiolo verrà paragonato alla morfina. A questo punto ti renderai conto da solo di quanto risulti sproporzionato l'accostamento. Inoltre, cosa si intende per somministrazione ad uso orale? Le capsule, probabilmente, certo, ma uno spray? "Sono giorni che discutiamo di questo decreto, perché ci sono alcuni passaggi poco chiari. È anche per questo motivo che ancora non possiamo stimare quale impatto avrà sulla nostra azienda", sottolinea Cappiello.

Insomma, le buone intenzioni c'erano: riconoscere un farmaco a base di cannabis come medicinale a tutti gli effetti. Ma il risultato finale è frutto di una leggerezza che potrebbe costare cara.