Il vaccino fa la differenza, il dottor Vergallo: “Il 90% di chi finisce in terapia intensiva non si è immunizzato”

Il Presidente Nazionale dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica ha spiegato che nei reparti di TI solo il 10-15% dei ricoverati è vaccinato e che perlopiù si tratta di persone fragili con più patologie o con un sistema immunitario compromesso. Ha spiegato poi che per fronteggiare la situazione sarebbe bene introdurre l’obbligatorietà vaccinale almeno in tutti gli ambiti di lavoro e di contatto sociale extralavorativo.
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Kevin Ben Alì Zinati 8 Ottobre 2021
* ultima modifica il 08/10/2021
Intervista al Dott. Alessandro Vergallo Presidente Nazionale AAROI-EMAC

Vaccinarsi contro il Covid-19 o scegliere di non farlo fa la differenza. Lo dicono i virologi e gli immunologi ma lo certificano soprattutto i numeri: più freddi forse delle parole e degli occhi di un esperto ma decisamente più sicuri quando devi orientarti in un mare zeppo di ambiguità, dubbi, paure, fake news, certezze, speranze. C'è un dato in particolare che più degli altri funziona come bussola e l'ha confermato anche il dottor Alessandro Vergallo, Presidente Nazionale dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica: l’identikit delle persone ricoverate nei reparti di terapia intensiva.

Presidente Vergallo, proviamo a fare un resoconto dell’efficacia del vaccino. Oggi che siamo praticamente a ridosso della protezione dell’80% della popolazione over12, qual è la fascia di cittadini che finisce in terapia intensiva? 

I pazienti ricoverati nelle Terapie Intensive sono oggi per l’85-90% persone non vaccinate o che per qualche motivo non hanno completato il ciclo vaccinale. Il numero dei ricoverati in Terapia Intensiva è relativamente basso, con la tendenza in questi ultimi giorni ad un leggero calo. I vaccini hanno quindi avuto ed hanno efficacia sia sulla riduzione della circolazione virale, sia sull’incidenza della malattia Covid grave.

È possibile invece fare una stima di quanti pazienti vaccinati entrano in questi reparti?

La nostra stima è oggi di circa 10-15% di vaccinati, perlopiù persone fragili con più patologie o con un sistema immunitario compromesso. È una casistica che nelle ultime settimane si è innalzata lievemente soprattutto per il cosiddetto “effetto paradosso” spiegabile con la progressiva diffusione delle vaccinazioni. L’efficacia del vaccino tenderà però a calare nel tempo e perciò sarà importante il richiamo vaccinale da iniziarsi al massimo – sulla base dei dati finora disponibili – entro 12 mesi dal completamento del primo ciclo, con priorità per le persone più a rischio e subito dopo per i professionisti sanitari, che sono stati vaccinati per primi ad iniziare da gennaio di quest’anno.

Quale forma mutata del virus è la più diffusa in questi ricoveri?

In Italia circola a tutt’oggi in prevalenza la variante Delta, la cui maggior contagiosità e capacità patogena rispetto ad altre varianti ha naturalmente inciso e continuerà ad incidere anche sui ricoveri, sempre che non avvengano nuove mutazioni virali, che ad oggi non possiamo prevedere se si aggiungeranno o meno a quelle già note.

Che tipo di sintomatologia sviluppano i non vaccinati? Il Covid-19 si manifesta ancora nelle forme gravi cui abbiamo assistito ad inizio pandemia oppure è più lieve e diversa? 

I pazienti che necessitano di ricovero in Terapia Intensiva sono pazienti gravi che presentano una malattia severa non differente da quella che abbiamo visto nei mesi passati. Le caratteristiche della malattia covid non sono cambiate. La differenza oggi è che abbiamo una barriera rappresentata dal vaccino.

E i pazienti ricoverati e vaccinati come stanno?

I pazienti che pur vaccinati necessitano di ricovero, sia in rianimazione, sia nei reparti ordinari, sembrano – in base alle prime osservazioni cliniche che siamo in grado di poter considerare – avere un decorso della malattia Covid apprezzabilmente più favorevole e più rapido fino alla guarigione, il che è ragionevole poter spiegare con una copertura vaccinale che pur non avendo impedito la malattia nei pochi casi osservati è stata comunque in grado di aumentare la protezione immunitaria contro i suoi effetti patogeni.

Secondo lei, cosa serve per convincere i più scettici a vaccinarsi? 

Un’informazione corretta e accurata è sicuramente uno degli strumenti principali perché sappiamo bene che moltissime persone non sono ancora vaccinate oppure hanno deciso di aderire alla campagna vaccinale in ritardo perché semplicemente rese timorose nei confronti del vaccino da un susseguirsi di disinformazioni diffuse in modo incontrollato. Su queste persone l’informazione può sortire apprezzabili effetti di convincimento. Ma le disinformazioni finora avvenute hanno favorito convinzioni ostili al vaccino in strati di popolazione che si sono aggiunti a quelli no-vax preesistenti al Covid. Questa popolazione è più difficile da convincere, e perciò fermo restando il nostro agreement al Green Pass riteniamo sia ormai giunto il momento di pensare ad introdurre l’obbligatorietà vaccinale almeno in tutti gli ambiti di lavoro e di contatto sociale extralavorativo.

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