In Veneto il primo caso europeo di febbre Oropouche: altro indizio che la crisi climatica sta alterando anche la geografia delle malattie

Al Negrar di Verona è stato individuato il primo caso europeo di febbre Oropouche, una malattia tipica delle regioni amazzoniche che si origina da un virus trasmesso all’uomo attraverso moscerini e zanzare. La paziente ha una storia recente di viaggi in zone dove la malattia è endemica e non sarebbe quindi un caso autoctono ma la sua scoperta fa riflettere una volta di più su come la crisi climatica stia alterando anche la geografia delle malattie per come la conoscevamo.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Kevin Ben Alì Zinati 14 Giugno 2024
* ultima modifica il 14/08/2024

Il Veneto è sotto i riflettori dell’Europa. Sì, perché nei laboratori del Dipartimento di malattie infettive tropicali e Microbiologia dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Verona è stato individuato il primo caso europeo di febbre Oropouche.

Se non ne hai mai sentito parlare è perché si tratta di una malattia tipica delle regioni amazzoniche che si origina da un virus trasmesso all’uomo attraverso vettori come moscerini e zanzare.

Ti fermo subito: già prontamente segnalato alle autorità sanitarie e alla ASL di competenza della Regione Veneto, il caso riguarda una donna con una storia recente di viaggi nella regione tropicale caraibica.

Non si tratterebbe di un’infezione autoctona, contratta dunque in Italia dalla puntura di una zanzare (o un altro insetto) ormai di casa nel nostro Paese ma saremmo quanto piuttosto di un caso importato.

Il dettaglio per ora rassicura ma l’arrivo alle nostre latitudini di un caso di febbre Oropouche riaccende una volta di più l’attenzione su quella che abbiamo ribattezzato come una «rivoluzione della geografia delle malattie» innescata dalla crisi climatica.

Il suo funzionamento è lineare: aumentano le temperature, le popolazioni di zanzare migrano e trovano climi adatti alla proliferazione in quelle zone prima sfavorevoli. Di conseguenza le malattie di cui sono vettori si spostano con esse, conquistando territori prima inesplorati.

Il caso veneto di febbre Oropouche ribadisce insomma che dobbiamo abituarci a confrontarci e convivere con malattie fino ad oggi mai viste qui e solo sentite nominare.

“È fondamentale essere sempre preparati a rispondere all’emergenza di patogeni che non sono abitualmente diffusi nella fascia mediterranea – hanno spiegato gli esperti del Negrar di Verona – e sotto questo aspetto l’essere riusciti ad isolare il virus OPOV ci fornisce un’arma in più per affinare la diagnostica e la ricerca. La diagnosi tempestiva e la sorveglianza costante, unite a interventi di salute pubblica come le disinfestazioni, rimangono lo strumento principale per contenere questi rischi”.

Da tempo ti raccontiamo dei vari incontri ravvicinati con malattie «nuove» registrati negli ultimi anni tra Italia ed Europa: dalle infezioni di Zika e chikungunya fino ai casi di dengue, non si può escludere che virus un tempo confinati nella fascia tropicale possano diventare endemici anche alle nostre latitudini.

Il nuovo nome sulla lista è dunque quello della febbre Oropouche, arbovirosi causata dall’omonimo virus (OROV) scoperto nel 1955 nel sangue di un lavoratore forestale di Trinidad e Tobago e tra le più diffuse del Sud-America: da allora ad oggi si contano oltre 500mila casi, un numero probabilmente sottostimato a causa delle limitate risorse diagnostiche disponibili in quelle zone.

La malattia si manifesta con sintomi che compaiono di solito dopo 3-8 giorni e in gran parte sovrapponibili a quelli di altre febbri virali tropicali come dengue, Zika o chikungunya. Vale a dire febbre altamal di testa, dolore retrorbitale, malessere generale, mialgia, artralgia, nausea, vomito e fotofobia.

Sono stati inoltre registrati sporadici casi di interessamento del sistema nervoso centrale, come meningite ed encefalite.

Il caso di febbre Oropouche, isolato nel laboratorio BSL3 del Dipartimento, oggi rappresenta il primo passo per poter iniziare a sviluppare test diagnostici specifici e innescare studi per indagare la capacità delle zanzare di veicolare il virus.

Allargando lo sguardo, rappresenta però l’ennesima tirata d’orecchi perché impariamo una volta per tutte che viviamo in un ecosistema interconnesso in cui non siamo soli e isolati e più lasciamo che il clima (italiano e non solo) cambi e diventi sempre più simile a quello di paesi tropicali, più ci troveremo ad affrontare ondate di caldo ma anche malattie con cui non siamo abituati ad avere a che fare.

Fonte | AdnKronos

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.