La malattia di Pompe, di cui sono affette solo 10mila persone in tutto il mondo (300 in Italia)

La malattia di Pompe viene chiamata anche glicogenosi di tipo 2 ed è provocata dal deficit di un enzima che, di fatto, impedisce ai muscoli di sfruttare la riserva energetica dell’organismo. Di conseguenza non avranno forza sufficiente per permettere anche i movimenti più banali, come camminare o respirare.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Rubrica a cura di Giulia Dallagiovanna
14 Dicembre 2020

La malattia di Pompe, chiamata anche glicogenosi di tipo 2, è una malattia genetica ereditaria provocata dal deficit di un enzima e dal mancato smaltimento del glicogeno, ovvero la riserva di energia che hanno i tuoi muscoli. Di conseguenza una persona che ne soffre mostrerà un indebolimento progressivo, che potrebbe anche degenerare nel non riuscire più a camminare o, addirittura, a respirare. Purtroppo infatti capita di frequente che un bambino affetto da questa patologia non superi il primo anno di vita. Tra l'altro è davvero poco diffusa: in tutto il mondo si contano solo 10mila casi, di cui 300 in Italia.

La Malattia di Pompe

Cos'è

La malattia di Pompe è, appunto, una glicogenosi, ovvero una miopatia metabolica che interessa in particolare un enzima che si occupa del metabolismo del glicogeno, l'acido alfaglucosidasi. Il glicogeno è un polimero del glucosio e serve come riserva energetica per il tuo organismo. Non venendo smaltita, questa molecola non potrà fare altro che accumularsi e in particolare sosterà nei lisosomi, degli organuli presenti nelle tue cellule all'interno dei quali avviene la degradazione di diversi tipi di molecole, tra le quali dovrebbe esserci appunto anche il glicogeno. In poche parole, è come se tu avessi un piatto che ogni giorno viene riempito con le stessi identiche pietanze: una mela, una bistecca e un po' di insalata. Tu mangi con gusto sia la carne che la verdura, ma non riesci a riconoscere cosa sia quella specie di sfera rossa. La volta successiva dunque le mele saranno due, e poi tre e così via. Alla fine non saprai più come gestire questa quantità in eccesso.

Esistono tre forme di malattia di Pompe che si distinguono in base alla gravità, ma soprattutto all'età in cui insorgono:

  1. Forma classica: è la più grave di tutte e compare subito dopo la nascita del bambino. Purtroppo di solito non riesce a sopravvivere oltre il primo anno di vita, perché si verificheranno complicanze come cardiomiopatia ipertrofica (un ispessimento delle pareti dei ventricoli che provoca una riduzione della loro cavità), cardiomegalia (un aumento della massa del cuore dovuto all'ispessimento delle sue pareti) e insufficienza respiratoria. Inoltre, il neonato non sarà in grado di camminare e farà fatica a proseguire nel classico percorso durante il quale dovrebbe imparare a muovere tutti i suoi arti.
  2. Forma non classica: si manifesta tra il primo e il secondo anno di vita e in questo caso la prognosi è variabile. Molto dipende dalla gravità con la quale compaiono i sintomi e dalla rapidità con la quale si arriva a una diagnosi.
  3. Forma tardiva: tra tutte è la meno grave. Può comparire già dopo il primo anno di vita e a qualsiasi età successiva. La sua progressione infatti è lenta ed è dunque più facile intervenire in tempo per cercare di lenire i sintomi più invalidanti. I muscoli diventano piano piano più deboli, ma il cuore spesso non viene interessato dalla patologia che si spinge al massimo fino a intaccare le capacità respiratorie. Una persona non riesce a camminare senza aiuto e potrebbe aver bisogno anche di ventilazione assistita, attraverso un ventilatore meccanico.

Le cause

La causa della glicogenosi di tipo 2 purtroppo è genetica ed ereditaria. Il gene sul quale puntare l'attenzione è il GAA: i genitori potrebbero essere portatori sani della mutazione e non saperlo. In questo caso, la trasmissione avviene con modalità autosomica recessiva. Significa che sia il padre che la madre biologici devono presentare il gene alterato perché ci sia la possibilità che il figlio sia affetto dalla malattia di Pompe. Più nello specifico, a ogni gravidanza il rischio è del 25% di generare un neonato con la patologia, del 25% che il bambino sia di nuovo portatore sano e del 50% che invece sia sano. Non c'è invece differenza tra uomini e donne rispetto all'incidenza.

I sintomi

I sintomi della malattia di Pompe possono essere confusi con quelli di altre malattie. Come avrai capito quello principale è una progressiva perdita di forza e tonicità dei muscoli, che può arrivare a coinvolgere quelli delle gambe, impedendoti di camminare, quelli del torace, rendendo difficile la respirazione e, nei casi più gravi, anche il muscolo cardiaco. Dal punto di vista dell'aspetto fisico potrebbe manifestarsi con una generale riduzione della massa muscolare e un assottigliamento degli arti e del resto del corpo.

La diagnosi

Non è semplice diagnosticare la malattia di Pompe, proprio perché si rischia di scambiarla per altre patologie. Inoltre, come potrai immaginare, più un problema è raro e più è difficile trovare lo specialista in grado di trattarlo. Lo strumento più efficace è una misurazione dell'attività enzimatica della GAA che permette di valutare non solo la presenza della glicogenosi di tipo 2, ma anche di capire di quale forma si tratti. In quella più grave, ad esempio, questa attività è praticamente inesistente. Naturalmente, prima si arriva a dare un nome al problema che accusa tuo figlio e prima si può intervenire con le terapie a disposizione per cercare di ridurre la progressione. Se esiste un dubbio di gene alterato nei genitori, si può individuare la malattia di Pompe già durante la gestazione, attraverso un'amniocentesi o una villocentesi.

La cura

Come potrai immaginare, non esiste una cura che permetta di guarire in tutti i casi dalla malattia di Pompe. Al momento si ricorre a una terapia enzimatica sostitutiva, nell'intento di riprodurre proprio l'enzima mancante. Viene iniettato periodicamente, ovvero una volta ogni due settimane. Per fortuna questo approccio sembra funzionare molto bene nelle forme infantili e discretamente in quelle tardive. Può infatti portare a una stabilizzazione e, in alcuni casi, anche a un miglioramento della prognosi. È poi in corso di sperimentazione una tecnica di terapia genica mirata.

Fonti| Telethon; Osservatorio malattie rare

Questo articolo fa parte della rubrica
Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…