La pandemia è finita? Forse sì, ma per uscirne dobbiamo ancora metabolizzare (e ci vuole tempo)

Sono passati due anni dal decreto legge dell’8 marzo con cui ci veniva imposto il lockdown. Oggi siamo quasi fuori dalla pandemia ma, oltre essere passati da un’emergenza ad un’altra (una guerra), forse non siamo preparati, come vorremmo, a ritornare a quella che era la quotidianità prima del Covid. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Silvia Nava, psicologa.
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Gaia Cortese 8 Marzo 2022
Intervista a Dott.ssa Silvia Nava Psicologa

Due anni fa, con il decreto legge dell’8 marzo firmato dall’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, entravano in vigore delle misure restrittive per contrastare la diffusione del nuovo Coronavirus: chiudevano le scuole, ma anche i cinema, i teatri e i ristoranti, veniva promosso lo smart working e soprattutto veniva istituito lo stop a tutti gli spostamenti fuori casa.

"Non ci sarà più una zona rossa, non ci saranno più zona uno e zona due, ma un’Italia zona protetta. Saranno da evitare gli spostamenti salvo tre ragioni: comprovate questioni di lavoro, casi di necessità e motivi di salute”: sono state queste le parole usate dal premier Conte la sera precedente all'entrata in vigore del decreto. Da quel momento parole come "lockdown", "quarantena " e "distanziamento sociale" si riversavano nelle nostre vite.

Sono passati due anni e, grazie ad una maggiore conoscenza di questo virus e soprattutto ad un’estesa campagna di vaccinazione, la possibilità che si possa tornare a vivere, lasciandoci alle spalle un periodo nero, si fa sempre più concreta.

Quello che fa male è osservare che le notizie sulla pandemia e sulle vittime provocate dal Covid hanno lasciato spazio alle notizie di una spietata guerra in atto tra Russia e Ucraina e alle sue inevitabili vittime. Mai avremmo immaginato questo, di passare da una pandemia a una guerra così vicina, ma questa è la situazione attuale.

Una realtà non facile per chi è stato messo fortemente alla prova a livello psicologico negli scorsi due anni. Oggi c'è da chiedersi se davvero si possa voltare pagina e ritrovare con spensieratezza tutta  la speranza e l'ottimismo di cui ci sarebbe bisogno, oltretutto in una realtà sporcata da una guerra in atto in Europa.

“In verità c’è anche un’esagerazione nel volersi riproiettare immediatamente nel futuro, nel voler raggiungere un obiettivo come questo, fin da subito. Manca tutto il pezzo di digestione di questi due anni passati nell’emergenza – spiega la Dottoressa Silvia Nava, psicologa -. Oltretutto non è finita. Siamo passati da un'emergenza ad un'altra, e questa guerra in corso ha riattivato paure molto simili a quelle provate in pandemia. Sono stati d’animo che tornano e non si presentano su ferite curate e guarite, ma su ferite ancora aperte, ancora in piena emorragia”.

E' vero. Siamo tornati inevitabilmente a provare il senso della privazione, quello provocato in pandemia per l'impossibilità di vivere il quotidiano liberamente e di stare vicino alla persone più care; a questo si aggiunge il senso della morte, non più causato da un virus molto pericoloso, ma da veri e propri atti bellici.

Non sorprende che per la prossima settimana l'agenda della dottoressa sia piena: i pazienti che incontrerà, mi spiega, sono tutti giovanissimi, con un'età che non supera i vent'anni, a cui si aggiungono anche un paio di famiglie. Tutte persone che probabilmente avevano già delle proprie fragilità che, alla luce dei fatti di cronaca, sono diventate più profonde. Perché chi è sopravvissuto allo scossone della pandemia, forse ora non sopporterà quello provocato dalla guerra. C'è un modo per uscirne?

“È innanzitutto fondamentale portare tutto il rispetto necessario verso ogni esperienza dolorosa di vita – spiega la Dottoressa Nava -. Oggi guardare al futuro crea non poca ansia, ma dall’altra parte non ci si può fermare a guardare il telegiornale e non guardare avanti. Come uscirne o limitare l'ansia? Quello che può aiutare è avere un pensiero il più razionale possibile. Ad oggi quello che possiamo fare per non subire lo stress da Covid è mantenere un comportamento consapevole e di prevenzione, e prendere le distanze dalle continue notizie generate dai media. Quello che può essere utile è chiedersi: nel mio quotidiano quanto mi limita ancora il Covid? Questo può aiutare a rendere più oggettivo possibile il contesto in cui ci muoviamo e, solo in presenza di un malessere forte e prolungato, diventa appropriato rivolgersi a un esperto”.

"Abbiamo cambiato trauma, ma Covid e guerra richiamano le stesse fragilità umane: senso della solitudine e paura della morte".

Dott.ssa Nava

“Il Covid ha toccato in maniera trasversale ogni sfera della nostra vita: il lavoro, la salute, le relazioni. È questo che oggi è difficile da rimettere insieme. Qualcosa poi che ci porteremo sicuramente dietro è l’asocialità: il Covid ha potenziato tantissimo un isolamento che era già in atto, non si può nascondere. Basta pensare alle relazioni già mutate tra genitori e figli, o tra gli adolescenti che hanno sperimentato sulla loro pelle un vero e proprio cambiamento nel modo di comunicare".

"Abbiamo proprio perso l’aspetto collettivo che è fondamentale in una società – continua la Dottoressa Silvia Nava -. Condividere un’esperienza, un dolore o una paura con l’altro permette di non sentirsi soli ad affrontare tutto il carico emotivo. Da sempre siamo una società troppo individualista e purtroppo la pandemia non ha aiutato: questo aspetto sociale della collettività si è perso e va ritrovato".