Aver scoperto il punto di inizio questa volta può davvero significare trovarsi a buon punto, quasi a metà strada.
Fuori di metafora: oggi potremmo essere un po’ più vicini allo sviluppo di terapie più mirate ed efficaci contro il medulloblastoma, un tumore maligno tipico dei bambini che colpisce il sistema nervoso centrale.
Grazie a un lavoro coordinato con altri istituti di livello internazionale, un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento è riuscito a individuare la cellula del cervello dalla quale può avere origine la neoplasia.
Si tratta di cellule che esprimono Notch1/S100b e rappresentano uno dei protagonisti assoluti nell’insorgenza, nella progressione e nella prognosi di questo grave cancro cerebrale pediatrico.
Forse non lo sapevi, ma il medulloblastoma è uno dei tumori maligni del sistema nervoso centrale più frequenti nei più piccoli e uno dei più infausti: la sopravvivenza a cinque anni, una volta ricevuta la diagnosi, si aggira attorno al 70%.
Come hanno descritto sulla rivista Science Advances, per approfondire la comprensione di questa grave patologia gli scienziati hanno sfruttato una serie di organoidi realizzati in laboratorio.
Costruiti a partire da cellule della pelle o del sangue, gli organoidi assomigliano a delle sfere di forma irregolare e sono un insieme di cellule specializzate e organizzate con il compito di riprodurre in maniera più semplificata e miniaturizzata un organo reale.
Questi modelli tridimensionali possiedono praticamente tutte le caratteristiche del tessuto di partenza e permettono agli scienziati di fare ricerca senza dover intervenire sull’organo vero.
Gli organoidi sono spesso sfruttati per ricreare dei tumori in laboratorio e rappresentano una grande passo in avanti per la ricerca perché consentono di produrre artificialmente una grande quantità di tumori a costi ridotti ed effettuare più agevolmente sperimentazioni di nuovi farmaci e terapie personalizzate.
Fonte | "Notch1 switches progenitor competence in inducing medulloblastoma" pubblicato il 23 giugno 2021 sulla rivista Science Advances