"Passi tutto il tempo davanti al cellulare". Se hai meno di trenta anni te lo sei sentito dire almeno una volta, se ne hai di più forse sei tu che lo dici spesso ai tuoi figli o nipoti. In realtà, a differenza di quanto si pensi, la dipendenza da smartphone non riguarda solo i più giovani, ma qualsiasi fascia d'età.
Social e chat, ma anche shopping online e giochi di ogni tipo. Lo smartphone è una finestra sul mondo virtuale, che può però trasformarsi in un buco nero in grado di attrarre e letteralmente sostituirsi a qualsiasi aspetto della nostra vita, dai rapporti sociali agli impegni lavorativi.
Il disturbo è così diffuso che è stato coniato un termine ad hoc per indicarlo: la "nomofobia" ovvero "no mobile phone phobia". Questa fobia, detta anche "sindrome da disconnessione", consiste "nella paura di rimanere sconnessi dal contatto di rete di telefonia mobile", ovvero dal mondo del web.
Condannare la tecnologia però, oltre che anacronistico, potrebbe rivelarsi piuttosto inutile. Serve piuttosto saper tracciare i confini in modo tale da non superare il labile confine che separa l'uso sano dalla dipendenza. Vediamo quali sono i consigli dell'esperto per riuscirci.
"Quello delle dipendenze tecnologiche – spiega Giuseppe Lavenia, psicologo e presidente dell'Associazione Nazionale Di. Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo) – è un problema che riguarda tutte le fasce di età, non solo gli adolescenti. Gli adulti non ne sono immuni, anzi sono proprio loro che rischiano di finire più facilmente in questa trappola. Questo perché rispetto ai giovani gli adulti sono meno abituati alla tecnologia rispetto e per questo più soggetti al suo potere attrattivo".
Ti basta pensare che questo tipo di dipendenza colpisce anche gli anziani: secondo un sondaggio dell'associazione Di.Te. il 22% degli over60 trascorre circa sette ore al giorno online sullo smartphone, un'ora in più rispetto alla media generale di circa sei ore al giorno.
La dipendenza dallo smartphone, e più in generale le dipendenze tecnologiche, non dipendono dalla nostra volontà, ma da veri e propri processi chimici. Con questo non vogliamo intendere che non abbiamo nessun potere di controllo sulle nostre abitudini, ma che finire nell'inganno della dipendenza tecnologica non è così difficile e soprattutto non dipende da una questione di merito/demerito. Vediamo che cosa succede nel cervello di chi sviluppo questo tipo di disturbo.
"Lo smartphone, così come altri dispositivi elettronici connessi – spiega lo psicologo – creano dipendenza perché possono di attivare processi dopaminergici. Si tratta di un vero meccanismo chimico in quanto lo smartphone, i social, ma anche altre realtà del web attivano la dopamina, un neurotrasmettitore che entra in gioco ogni volta che siamo in attesa di una risposta".
Facciamo un esempio per capire meglio: quando posti qualcosa sul tuo social, una storia o una foto, ma anche quando pubblichi un commento al contenuto di qualcun altro, entri subito in un stato di attesa, che sia di un like o di una risposta. È proprio quell'attesa che mette in funzione i neuroni dopaminergici creando quella tipica sensazione di piacere.
Per darti un'idea pensa che la dopamina è anche conosciuta come il "neurotrasmettitore del piacere". Questa particolare molecola viene immagazzinata nel cervello quando fai qualcosa che ti piace molto ed è responsabile della sensazione di benessere che provi ad esempio quando mangi il tuo piatto preferito. La controprova del ruolo che svolge questa molecola la si vede nel fatto che "si tratta dello stesso neurotrasmetitore – aggiunge Lavenia – che si attiva nelle tossicodipendenza o nella ludopatia".
Proviamo questa sensazione ogni volta che siamo in attesa di qualcosa. Ecco perché i dispositivi che ci permettono di restare connessi rappresentano rappresentano il luogo perfetto per sperimentarla.
La fruizione infinita di contenuti e l'illusione di trovare ogni volta qualcosa di più interessante è ciò che ci lega al nostro smartphone.
Giuseppe Lavenia, psicologo
La fruizione infinita di contenuti e l'illusione di trovare ogni volta qualcosa di più interessante è ciò che ci lega al nostro smartphone. Così come le app di messaggistica instantanea ci tengono avvinghiati perché non sappiamo mai chi ci scriverà e soprattutto cosa vorrà dirci: "Non riusciamo a resistere a quell'attesa, a prescindere dal contenuto del messaggio. Anche il giocatore d'azzardo – aggiunge l'esperto – la maggior parte delle volte perde i suoi soldi, infatti non è dipendente dalla possibilità di vincere, ma dall'attesa che prova mentre gioca".
L'arrivo dei social ha portato tutto questo all'ennesima potenza. Quante volte ti è capitato di trascorrere il tuo tempo – a volte anche ore – su Instagram o Tik Tok e renderti conto di esserti alienato completamente senza aver visto nemmeno nulla che ti piacesse davvero.
Il meccanismo dello "scroll infinito" ci lascia in attesa di vedere, leggere o provare qualcosa. Ma cosa?
Giuseppe Lavenia
Ecco in quel momento sei finito nella trappola dello "scroll infinito": "Questo meccanismo – spiega lo psicologo – si basa proprio sull'attivazione dei meccanismi dopaminergici: restiamo in attesa, post dopo post, storia dopo storia, di vedere, leggere, provare qualcosa. Ma cosa?". Purtroppo la risposta non è quasi mai all'altezza delle aspettative, eppure eccoci lì testa china e smartphone alla mano.
"Il passaggio sostanziale – spiega l'esperto – da un uso sano alla dipendenza si realizza quando si iniziano a mettere in secondo piano i rapporti sociali, ma anche lo studio o il lavoro, ovvero quando inizi a rinunciare alla tua stessa vita".
Non pensare che stiamo esagerando: c’è chi perde il lavoro perché trascorre le notti a chattare e non riesce a svegliarsi la mattina, così come c’è chi entra in difficoltà economica a causa dello shopping compulsivo o del gioco d’azzardo online.
Se ti stai chiedendo cosa c'entri il lavoro, pensa che "ogni volta che riceviamo una notifica impegniamo 64 secondi a recuperare la concentrazione su quello che stavamo facendo prima. Questo significa che in media perdiamo mezza giornata a settimana a recuperare la concentrazione. Ci basta questo per capire quanto tempo ci rubi lo smartphone", ragiona Lavenia.
Se ti rendi conto che anche tu stai camminando sul sottile confine che separa l’uso eccessivo dalla dipendenza puoi fare qualcosa per aiutarti a rompere il circolo vizioso che ti lega al tuo smartphone.
"La prima cosa da fare – consiglia lo psicologo – è darsi delle regole. Meglio ancora se sono condivise con le persone che fanno parte della tua quotidianità, come il tuo/la tua partner, il tuo migliore amico, ma anche i tuoi genitori o i tuoi figli".
Quali possono essere queste regole? Puoi sceglierle tu, ma la cosa è fondamentale è che limitino il tuo rapporto con lo smartphone. Un esempio può essere metterlo da parte durante i pasti o le uscite in compagnia oppure non usare la tecnologia durante i weekend.
Anche se a dirsi può sembrare facile, non lo è affatto. Ecco perché può essere necessario in alcuni casi chiedere l'aiuto di un professionista che possa aiutarti a recuperare un rapporto sano con la tecnologia e con lo smartphone.
A questo punto è chiaro che le dipendenze tecnologiche non riguardano solo gli adolescenti, nonostante la narrazione comune continui a dipingerli come le prime vittime del disturbo.
Tuttavia, anche se non è così, è importante riconoscere che gli adolescenti sono spesso i soggetti più fragili, ma anche quelli più predisposti ad assimilare il comportamento di chi li circonda. Ecco perché se sei genitore di un figlio che trascorre la maggior parte del suo tempo online, ci sono due cose che puoi fare:
Su quest’ultimo punto insiste lo psicologo: “Non bisogna imporre le regole dall’alto, ma stabilirle insieme ai ragazzi: siglare una sorta di contratto in cui entrambi rappresentino parti attive nella decisione”.
Fonte | Associazione Di.Te.