La vita dopo il virus: “Il Long Covid oggi è una vera sindrome. Serve più sensibilizzazione”. Intervista alla dottoressa Brugliera

Dopo la guarigione, per 3-4 mesi molti pazienti possono continuare a soffrire dei sintomi da Covid-19 come fatica, spossatezza, mialgie o dispnea. Senza dimenticare poi tutti gli effetti psicologici, come la sindrome post traumatica da stress, o quelli cognitivi rappresentati da augesia o parestesie agli arti.
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Kevin Ben Alì Zinati 17 Luglio 2021
* ultima modifica il 17/07/2021
Intervista alla Dott.ssa Luigia Brugliera Responsabile dell’Unità di Riabilitazione Specialistica Motoria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano

Non c'è ma si fa comunque sentire. Con il Covid-19 a volte va così. Puoi averlo sfidato, battuto e cacciato ma in qualche modo riesce lo stesso a restare agganciato al tuo corpo e dire la sua nella tua vita. La scienza e la medicina lo chiamano Long Covid: quella condizione in cui "si ha la persistenza di sintomi o l’esordio di nuovi dopo circa 2 mesi dalla negativizzazione degli ultimi tamponi". Anzi, secondo la dottoressa Luigia Brugliera, medico fisiatra specialista in Neuroriabilitazione e Terapia del Dolore e responsabile dell’Unità di Riabilitazione Specialistica Motoria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, oggi il Long Covid ormai non è più solo una “condizione, ma è è diventata una vera e propria sindrome riconosciuta. Soprattutto perché la casellina dei pazienti, guariti e liberi da Sars-CoV-2 ma ancora sgambettati dai suoi effetti, continua a riempiersi giorno dopo giorno.

Dottoressa Brugliera, il Long Covid quali tipi di pazienti coinvolge? Solo chi ha avuto il Covid-19 in forma grave?

Si tratta di una patologia che può manifestarsi sia nei pazienti che in fase acuta hanno sviluppato una malattia in forma importante sia in quelli che hanno avuto un decorso paucisinomatico. È una condizione che abbiamo ritrovato indipendentemente dalla gravità della malattia nella fase iniziale.

La dottoressa Luigia Brugliera, responsabile dell’Unità di Riabilitazione Specialistica Motoria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano

Quali sono i sintomi più frequenti?

La sintomatologia è abbastanza varia ma in questi mesi siamo riusciti a delineare una sorta di quadro clinico. Il sintomo che accomuna molti pazienti è l’astenia, ovvero una sensazione di spossatezza importante che prima dell’infezione non avevano. Ci sono poi mialgie e artralgie spesso debilitanti. In altri casi il quadro diventa un po’ più sistemico, con sintomi più invalidanti come cefaela, parestesie diffuse e dispnea, la famosa “fame d’aria”. Non dimentichiamo poi i sintomi legati alla sfera psicologica, fra tutti il disturbo post traumatico da stress, ansia e depressione.

In tanti oggi non sanno di aver contratto il virus perché la malattia si è manifestata in modo poco sintomatico o del tutto silenziosa e quindi ne stanno pagando le conseguenze senza tuttavia saperlo. Quale di questi sintomi deve fare da campanello d’allarme?

Nonostante i sintomi siano vari e aspecifici, l’anosmia e l’ageusia, quindi la perdita dell’olfatto e del gusto, sono gli unici un po’ più precisi e dettagliati che una persona difficilmente può aver sviluppato senza un’infezione da Sars-CoV-2 pregressa. In realtà anche l’astenia è un tratto su cui porre molta attenzione, soprattutto perché è talmente invalidante che i pazienti che ne soffrono non riescono più a svolgere le stesse attività della normale vita quotidiana. Si tratta di una condizione di fatica fisica molto importante, spesso associata anche a mialgie. Quando vengono da noi, la prima cosa che raccontano è tutto ciò che riuscivano a fare prima e ora non più.

Quanto può durare il Long Covid?

La persistenza dei sintomi varia da paziente a paziente. Finora, pensando a quelli della prima ondata che abbiamo avuto modo di valutare per un arco di tempo più lungo, i sintomi sembrano durare per 2-3 mesi. In altri pazienti, tuttavia, si ha una persistenza ancora più lunga. Solitamente però il perdurare della sintomatologia del Long Covid è strettamente correlato alla condizione clinica di base di ciascun paziente. Ne abbiamo alcuni, per esempio, con patologie sistemiche come il diabete o l’ipertensione nei quali i sintomi tendono a durare più a lungo rispetto a un soggetto sano di partenza. A questo proposito uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, che ha analizzato circa 4000 pazienti guariti da Sars-CoV-2, ha stimato che per il 13% dei pazienti coinvolti, i sintomi duravano oltre 28 giorni, nel 5% per più di 8 settimane e nel 2% più di 12 settimane. Queste percentuali corrispondono a quanto vediamo noi con i nostri ricoveri e monitoraggi.

Parliamo di prognosi: si guarisce dal Long Covid? 

Sì, i pazienti si riprendono. Devo dire che i sintomi che persistono per più tempo e richiedono un monitoraggio specifico sono quelli legati alla sfera psicologica. Soprattutto il disturbo post traumatico da stress, che deve essere trattato da più figure specialistiche e con un training di supporto neuropsicologico dal momento che impatta pesantemente sulla qualità della vita. Gli altri sintomi, più di natura organica, svaniscono nell’arco di 2 mesi. È importante però che vi sia una presa in carico di questi pazienti, un po’ come abbiamo fatto al San Raffaele di Milano.

Come si tratta?

Nei nostri ambulatori di follow up abbiamo utilizzato le stesse strategie messe in campo nella fase acuta della malattia. Abbiamo quindi creato un percorso riabilitativo che prevedesse sia una parte di riabilitazione motoria (ti avevamo raccontato la storia del dottor Clavario e degli allenamenti in montagna) per far fronte alle mialgie, all’astenia, alle artralgie e alla spossatezza sia una di riabilitazione respiratoria per tutti quei pazienti in cui la dispnea restava il sintomo più persistente. Abbiamo poi predisposto un training di supporto neuropsicologico per chi presentava sintomi della sfera psicologica o cognitivi. Ci sono pazienti, infatti, che hanno sviluppato deficit dell’attenzione o della memoria a breve termine: trattare sintomi come l’anosmia, l’augesia o le parestesie diffuse ai 4 arti e i deficit della sensibilità richiede molto più tempo rispetto a sintomi di altra natura.

Ci sono pazienti che dopo i trattamenti non sono ancora guariti? 

Sì. Nonostante ci sia stata una presa in carico immediata, ancora oggi gestiamo pazienti con sintomi magari attenuati ma comunque presenti. Al momento abbiamo dei farmaci sintomatici o delle supplementazioni con complessi multivitaminci o integratori ma per ora non esiste una terapia farmacologica precisa. Lo standard terapeutico lo stiamo imparando sul campo, giorno dopo giorno. L’abbiamo fatto nella fase acuta, quando abbiamo imparato a gestire pazienti nuovi, lo stiamo facendo adesso con la sindrome Long Covid.

Questa condizione così in continua e rapida evoluzione quanto è preoccupante?

Non è da sottovalutare perché, tra le altre cose, comporta una spesa sanitaria non indifferente. Soggetti che fino a qualche mese fa erano performanti e sani oggi si ritrovano ad avere una disabilità a tutti gli effetti, con impatti anche dal punto di vista lavorativo.

A questo proposito, oggi il Long Covid è riconosciuto anche fuori dall’ambito sanitario? Le aziende prevedono qualche tipo di indennizzo, agevolazione o esenzione per chi ne soffre? 

Al momento non c’è nulla. Quando il paziente è negativo e quindi fuori dalla fase acuta della malattia è considerato guarito, perciò molto spesso non viene dato grande peso a questi sintomi, che invece sono molto invalidanti.

Che cosa serve, secondo lei, per smuovere le acque?

Maggiore sensibilizzazione. Al San Raffaele c’è stata una presa in carico importante di questi pazienti anche perché durante le fasi critiche della pandemia siamo stati un centro di riferimento dove sono arrivati tanti pazienti. Non tutti gli ospedali hanno vissuto e vivono la nostra stessa realtà quindi credo servirebbe una sensibilizzazione più attenta. Che parta prima dal medico di base e arrivi a tutti gli specialisti.

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