“L’albero di Natale” più raro al mondo è in Italia: come sta l’Abete delle Madonie?

Soltanto 30 esemplari esistenti in natura ma i progetti di tutela e conservazione hanno prodotto un “esercito vegetale”. L’Abete delle Madonie è pronto a riconquistare le sue montagne?
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
7 Dicembre 2023 * ultima modifica il 12/12/2023
Intervista al Dott. Roberto Danti Ricercatore CNR dal 2001 è coordinatore del progetto LIFE4FIR Life18 Nat/It/000164 “Strategie innovative di conservazione in situ ed ex situ dell’abete delle Madonie (Abies nebrodensis) in Sicilia” 2019-2023

Con soltanto 30 esemplari esistenti, l’Abete delle Madonie (Abies nebrodensis) è in assoluto una delle conifere più rare al mondo. Anticamente noto come “arvulu cruci cruci”, letteralmente albero “croci-croci” per via della caratteristica forma dei rami, l’abete siciliano ha una storia incredibile che, partendo dall’ultima glaciazione, arriva ai giorni nostri per proiettarsi verso un futuro incerto ma pieno di speranza. Si tratta di uno dei casi botanici più interessanti tra le conifere che caratterizzano il patrimonio forestale europeo, sia per l’interesse scientifico che per la sua condizione di specie relitta, anche a causa dell’intervento dell’uomo che ne ha profondamente modificato l’habitat originario.

Considerato estinto

Secondo alcuni studiosi l’Abete delle Madonie deriverebbe dall’Abete bianco, da cui si sarebbe differenziato per isolamento geografico durante il periodo post-glaciale, secondo altri, invece, sarebbe il prodotto dell’ibridazione tra l’Abete bianco e l’Abete del nord Africa (Abies numidica). Una cosa è certa, nel passato Abies nebrodensis era certamente molto più diffuso sulle montagne siciliane anche a bassa quota, almeno fino al Medioevo (periodo compreso tra l’anno 100 d.C. e il 1000 d.C.).

La ricostruzione dell’areale di distribuzione, avvenuta per mezzo dello studio sulla diffusione dei pollini, delle testimonianze scritte nonché delle analisi dei materiali edili di vari manufatti siciliani, ha suggerito come un tempo questi abeti dovessero ricoprire anche i versanti dei Nebrodi, dei Monti Erei e dell’Etna almeno fino al XVII secolo. Il suo pregiato legname è stato ampiamente utilizzato per realizzare i tetti di diverse chiese di città e paesi in Sicilia, come per esempio la Cappella Palatina di Palermo e il Duomo di Cefalù, nonché per realizzare imbarcazioni. Gli incendi boschivi, poi, hanno fatto il resto. Una situazione che ha ridotto drammaticamente la popolazione degli abeti, tanto da essere a lungo ritenuti estinti.

Uno dei 30 esemplari di Abies nebrodensis nel Vallone Madonna degli Angeli, sulle Madonie (Sicilia). Ph. Prof. Rosario Schicchi

La riscoperta

Poi la sorpresa. Nel 1957, un gruppo di studiosi ha scoperto una popolazione superstite di Abies nebrodensis nel Vallone Madonna degli Angeli, nel territorio di Polizzi Generosa sulle Madonie. Trenta piante abbastanza distanziate e dislocate in un’area di circa 84 ettari sui crinali pietrosi dei monti della Quacella, ad oltre 1600 metri sul livello del mare. Per la grande importanza della scoperta, la specie è stata dichiarata protetta nel 1968, mentre l’area è stata prima sottoposta a tutela nel 1984, con l’istituzione di una riserva naturale protetta poi inglobata dal Parco Naturale Regionale delle Madonie, istituito nel 1989. L’area naturale di A. nebrodensis è inoltre inclusa nella Rete Natura 2000 come ZPS ITA 020050 e ZSC ITA 020004. Gli abeti ricadono oggi nella zona di massima protezione del Parco (zona integrale “A”) ma esistono alcuni esemplari in svariati orti botanici d’Europa e del mondo come Roma, Parigi o Ginevra.

A causa dell’esiguo numero di alberi in natura (appena 32) e del ridotto numero di piante in grado di produrre strobili fertili (appena 24), l’Abete delle Madonie è considerato in pericolo critico di estinzione tanto da essere inserito dall’IUCN nella lista rossa tra le specie gravemente minacciate. La sua conservazione è inoltre fortemente a rischio non solo per cause naturali come la proliferazione incontrollata degli ungulati nel Parco delle Madonie o gli effetti dei cambiamenti climatici in corso, ma anche antropiche come per esempio la terribile piaga degli incendi boschivi. Con il fine di tutelare gli esemplari esistenti e tentare il ripopolamento della specie, sin dal 2001, Ente Parco delle Madonie, Regione Siciliana e Università degli Studi di Palermo hanno promosso una serie di iniziative per promuovere progetti di conservazione e studio della specie. L’ultimo in ordine di tempo è il “LIFE4FIR”.

Il Progetto LIFE4FIR

Obiettivo primario del LIFE4FIR (tradotto in “Vita per l’Abete”), cui partecipano Ente Parco delle Madonie, Regione Siciliana, Università degli Studi di Palermo, CNR e Università degli Studi di Siviglia è proprio quello di aumentare la diversità genetica e migliorare lo stato di conservazione della popolazione degli Abies nebrodensis attraverso il raggiungimento di quattro obiettivi specifici tramite misure “in situ” ed “ex situ”, ovvero:

  • sostenere e proteggere gli alberi adulti rimanenti e le poche giovani piante della rinnovazione naturale direttamente nel loro habitat naturale;
  • ripristinare la struttura dinamica della popolazione tramite l’implementazione di un piano di rimboschimento;
  • conservare ex-situ a lungo termine semi, pollini, embrioni isolati e linee di callo embriogenico tramite una banca del seme e una criobanca;
  • identificare come sostenere le attività anche dopo la fine del progetto e definire una strategia per la futura applicazione della metodologia LIFE4FIR ad altre specie di conifere in via di estinzione in Europa.

La protezione delle 30 piante esistenti in natura sta avvenendo tramite la realizzazione di un perimetro di protezione degli alberi che può avere una funzione molteplice, come spiega il coordinatore del progetto Dott. Roberto Danti dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR: “Attorno ad ogni pianta sono state realizzate delle recinzioni per tutelare gli alberi dal morso di animali erbivori come daini o greggi o dalle attività di escavazione dei cinghiali. Questa fascia di rispetto tutela inoltre l’habitat immediatamente vicino all’esemplare, dove possono crescere nuove piantine”.

Secondo un censimento del 2020 sulla rigenerazione naturale della specie, infatti, sono ben 484 le giovani piantine nate nelle immediate vicinanze di 15 “piante madri”. Per prevenire inoltre il danneggiamento di questi giovanissimi esemplari dal calpestio dei turisti sono stati realizzati degli appositi sentieri e un sistema di videosorveglianza che può fungere anche da deterrente.

Un giovanissimo esemplare di Abies nebrodensis in natura. Ph. Prof. Rosario Schicchi

Ma come stanno le piante? “Tutto sommato piuttosto bene – afferma il Dott. Danti – Alcuni individui presentano de danni alla chioma a causa del morso degli animali erbivori e sono in generale sottoposti a stress, per via delle difficili condizioni ecologiche cui sono soggetti. Tuttavia non si segnalano patogeni particolari o forti criticità, in sostanza le piante sembrano in una generale condizione di equilibrio rispetto alle condizioni al contorno”.

Conservare “in-situ” ed “ex-situ”

Obiettivo futuro è la diffusione della specie sulle Madonie ma anche sulle altre montagne siciliane, dove Abies nebrodensis era già presente, attraverso la realizzazione di nuclei di riforestazione. Si parte dall’impollinazione manuale degli alberi sessualmente maturi per propagare il numero di piantine utilizzabili alla creazione dei nuclei. Il vivaio di Piano Noce, nei pressi dell’areale naturale di distribuzione, ospita già un vero esercito vegetale: circa 5.000 piantine. Nel frattempo gli studiosi hanno individuato specifiche aree idonee per la realizzazione dei nuclei, essenzialmente fazzoletti di bosco situati ad una quota medio-alta, in versanti esposti a nord e dove le condizioni al contorno possono favorire la propagazione della specie. “Le operazioni di realizzazione dei nuclei di re-diffusione della specie sono iniziate – fa sapere il coordinatore del progetto – In particolare due aree sono state già realizzate, mentre 8 sono in fase di realizzazione e si prevede di completare le operazioni entro la data di chiusura del progetto a fine 2024”.

Alcuni collaboratori del progetto LIFE4FIR posano presso la nuova banca del seme e crio–banca presso i locali del MAN di Polizzi Generosa. Ph. Ente Parco delle Madonie

Salvare l’Abies non significa solo lavorare sul campo ma anche “dietro le quinte”. Una parte del progetto riguarda infatti le attività ex-situ, quindi lontano dalla zona di vegetazione, per garantire una chance di sopravvivenza in più a questa straordinaria pianta. Nello specifico, a giugno 2023, sono state allestite presso i locali del museo dedicato all’Abete delle Madonie (MAN) a Polizzi Generosa, una crio-banca e la banca del seme per la conservazione a lungo termine di semi, polline, embrioni isolati e linee di callo embriogenico del raro abete. La conservazione criogenica avviene utilizzando l’azoto liquido, dunque a temperature attorno i -196°C. Le misure di conservazione ex-situ garantiscono la sopravvivenza del patrimonio genetico dell’Abies nebrodensis contribuendo di fatto a preservare la specie dal rischio di estinzione cui incorre.

Quale futuro per gli Abeti delle Madonie

Gli sforzi compiuti dal mondo scientifico, dalle istituzioni locali e anche dalla cittadinanza, che nel frattempo ha eletto l’Abies nebrodensis a specie “simbolo” della Sicilia, fanno ben sperare per il futuro degli abeti siciliani. “Il progetto ha sicuramente messo a punto una strategia appropriata per contrastare i fattori di vulnerabilità della specie – conclude il Dott. Danti del CNR – Anche se i risultati non saranno visibili prima dei prossimi decenni e le criticità maggiori restano quelle legate alla moltiplicazione delle piantine che presentano un tasso di crescita molto lento”. Il percorso tracciato dal progetto LIFE4FIR, visti i positivi risultati, non solo deve continuare ma potrà essere applicato anche ad altre specie a rischio di estinzione in contesti climatici e geografici simili. Il progetto siciliano, inoltre, dovrà probabilmente anche essere adeguato alle sfide del futuro come quelle imposte dagli effetti dei cambiamenti climatici.

Non ci resta che augurare il meglio al futuro della specie e, nel frattempo, rendere omaggio al nostro rarissimo “albero di Natale”, rigorosamente senza addobbi e rigorosamente libero di vegetare nel suo habitat naturale, armandoci di scarponi, colazione al sacco e giacca a vento, visitando il Parco delle Madonie, magari con l’ausilio delle guide autorizzate o con le associazioni escursionistiche che operano sul territorio.

Uno degli abeti del Vallone Madonna degli Angeli ripreso in autunno. Ph. Renzo Motta
Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…