La Sicilia sta vivendo una crisi idrica gravissima che sta mettendo a dura prova la popolazione e svariate attività economiche, in primis l'agricoltura. Turnazioni, laghi prosciugati, coltivazioni bruciate, non si ricordava una situazione del genere da decenni e non è solo colpa del clima. Partendo dai dati meteo-climatici e analizzando il grado di vulnerabilità delle infrastrutture idriche, tra sprechi e occasioni mancate, i motivi per cui la grande isola del Mediterraneo soffre la sete e le possibili strategie per uscire dalla pericolosa logica emergenziale.
Per capire l'entità dei fenomeni in corso bisogna andare nella zona orientale dell'Isola tra Catanese e Siracusano. Le stazioni pluviometriche del SIAS, il Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano, di Catania e Paternò, per esempio, hanno registrato dal 1° gennaio al 18 ottobre 2024 rispettivamente 168 e 158 mm di pioggia, contro una media annua stimata per entrambe le località in circa 500 mm. Non va meglio nella zona del Palermitano e del Trapanese, dove le piogge cumulate sono sempre al di sotto delle medie. Nel complesso, secondo i dati, finora in alcune della Sicilia, soprattutto orientale, si è registrato un deficit delle precipitazioni fino a circa il 60%.
In assenza di piogge gli invasi hanno iniziato a svuotarsi rapidamente. I dati dell'Autorità di Bacino della Regione Siciliana sono drammatici: rispetto all'anno precedente, nei 30 invasi monitorati, si è registrato fino a quasi il 50% di acqua in meno. Non è andata meglio nei laghi naturali del centro dell'Isola: il lago di Pergusa, a luglio scorso, si è completamente prosciugato così come altri piccoli specchi d'acqua che sono scomparsi.
Negli ultimi giorni ha piovuto. Finalmente, si direbbe, purtroppo però gli eventi sono stati molto intensi e concentrati sia nello spazio che nel tempo. L'acqua caduta (fino ad oltre 100 mm in poche ore) non ha avuto il tempo di infiltrarsi nel suolo secchissimo. Risultato? Allagamenti, alluvioni lampo e coltivazioni danneggiate, già tra l'altro provate da un lunghissimo periodo senza piogge.
Le crisi idriche tuttavia non dipendono soltanto dalle fluttuazioni climatiche, a concorrere in larga parte è anche il grado di vulnerabilità delle infrastrutture adibite alla gestione delle risorse idriche, dalla captazione alla depurazione. In questo senso, purtroppo, la Sicilia sconta ancora un grave deficit che rende la regione piuttosto arretrata non solo in termini gestionali ma anche della qualità del servizio: si parla infatti di "divario territoriale", proprio perché l'Isola, così come altre zone del Sud, si discostano da un Centro-Nord decisamente più strutturato.
A parlare sono i dati. Partendo dagli invasi, per esempio, in alcuni casi senza manutenzione e interessati dal fenomeno dell'accumulo di sedimenti che riduce di circa il 34% il volume complessivo invasabile (si tratta di 300 milioni di metri cubi in meno) mentre in altri casi non collaudati o non terminati (es. la grande diga di Blufi, sulle Madonie). C'è poi il tema delle perdite di rete che in Sicilia, a livello medio regionale, si avvicinano al 52% (la media Italia è del 42%, dati Istat), con alcuni capoluoghi in cui, per esempio a Siracusa, su 100 litri d'acqua immessi nella rete se ne perdono 65. Non va meglio sul fronte della depurazione acque reflue, in Sicilia si concentra il maggior numero di agglomerati in procedura di infrazione (si tratta sostanzialmente di territori che non rispettano la normativa comunitaria in tema di depurazione).
Altro grande tema siciliano – e di altre realtà italiane – è la mancata applicazione della Legge Galli in tema di governance. La Sicilia non ha scelto un unico ambito territoriale per la gestione del servizio idrico (che dovrebbe essere di norma regionale e affidato ad un unico operatore), ma ben 9, di cui soltanto 4 con un unico soggetto industriale a gestire il servizio (Caltanissetta, Enna, Palermo e da pochissimo Siracusa). In alcuni ambiti, tuttavia, il servizio è gestito direttamente dagli enti locali (anche detto "in economia"): su 391 comuni in ben 251 almeno uno dei servizi tra acquedotto, fognatura e depurazione è gestito "in economia" (232, se si considera il recente ingresso del gestore unico nella provincia di Siracusa).
Le gestioni in capo ai comuni hanno una capacità di investimento nettamente inferiore rispetto ad un attore industriale. Nel 2022 le gestioni "in economia" italiane hanno speso per il servizio idrico in media 11 euro per abitante contro 64 euro per abitante delle gestioni industriali italiane. Con questi valori è impossibile realizzare le infrastrutture necessarie a rendere il servizio idrico adeguato e resiliente soprattutto agli effetti dei cambiamenti climatici in corso.
Mancheranno le piogge d'acqua ma quelle di denaro certamente no. In questi anni la Sicilia sta beneficiando di ingenti risorse per il miglioramento del settore idrico. Soltanto dal PNRR alla regione sono andati 668 milioni di euro, di cui 240 milioni per infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell'approvvigionamento idrico (componente M2C4I4.1), 114 milioni di euro e 252 milioni di euro dal React EU per il recupero delle perdite di rete e la digitalizzazione della rete (M24I4.2) e 62 milioni di euro per interventi in fognatura e depurazione (M2C4I4.4). La Regione ha anche individuato 773 interventi per misure strutturali o di “immediata e breve attuazione” (valore complessivo di 746 milioni di euro) con il fine di mitigare un nuovo rischio crisi idrica.
Non si può più ragionare per emergenza. Per fare ciò è necessaria un'attenta pianificazione degli investimenti che non può comunque prescindere dalla risoluzione delle criticità gestionali e di governance. Utilitalia, la federazione italiana delle utilities, ha indicato la strada da seguire in un "Patto per l'Acqua", presentato a Firenze lo scorso settembre, che racchiude quattro semplici azioni da applicare: superare le gestioni in economia, rafforzare le capacità gestionali, favorire le aggregazioni e sostenere un approccio integrato tra i differenti comparti di utilizzo delle acque, per garantire una disponibilità idrica diffusa e contribuire alla crescita dei territori ancora privi di una gestione unica ed efficiente.