Negli ultimi due anni Nord e Sud del nostro Paese hanno vissuto condizioni meteo-climatiche completamente opposte. Se nel periodo 2022-2023, il Centro Nord ha subìto gli effetti di una delle fasi siccitose più gravi degli ultimi decenni, mentre il Sud godeva delle riserve idriche di un periodo piovosissimo, nel 2024 è esattamente il contrario. Il Sud Italia, Sicilia e Sardegna in particolare, stanno attraversando una difficilissima fase secca che ha portato le riserve idriche a depauperarsi, con effetti molto gravi su agricoltura e vita quotidiana. Secondo uno studio del World Weather Attribution (cui partecipano prestigiose realtà come l'Imperial College di Londra), nei prossimi anni gli effetti dei cambiamenti climatici aggraveranno le fasi siccitose soprattutto nell'Italia insulare.
Il team di ricerca, composto da studiosi di Italia, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito, della Commissione Europea e degli Stati Uniti hanno valutato in che modo il cambiamento climatico abbia influenzato la siccità nell'arco di un anno in Sicilia e Sardegna. Secondo i dati analizzati nello studio, senza gli effetti dei cambiamenti climatici, la siccità della Sardegna (con un periodo di ritorno di circa 10 anni) e la siccità vissuta dalla Sicilia (periodo di ritorno di circa 100 anni) sarebbero classificate come "gravi", mentre oggi si tratta di siccità classificate come "estreme". Questi gli effetti con un riscaldamento di circa 1,3°C – 1,5°C, ma con appena 0,7°C in più, queste fasi siccitose diventeranno "eccezionali" per l'intera Italia insulare. I ricercatori hanno stimato che le probabilità di accadimento di fenomeni simili per Sardegna e Sicilia, a causa del riscaldamento globale, sono aumentate del 50%.
È stato ampiamente dimostrato che i modelli climatici tendono a sottostimare l'aumento delle temperature estreme in Europa; questo spiega in parte le differenze tra le osservazioni reali delle fasi siccitose, in termini di frequenza e intensità, e la rappresentazione del modello climatico. A meno che il mondo non smetta rapidamente di utilizzare i combustibili fossili, questi eventi diventeranno ancora più comuni in futuro. In un Pianeta con una temperatura media di 2°C in più rispetto al periodo preindustriale (fattore che potrebbe verificarsi già nel 2050 senza grandi e rapide riduzioni delle emissioni di gas serra), bisognerà fare i conti con fasi siccitose come quelle vissute in Sicilia e Sardegna sempre più frequenti.
Abbiamo ancora tutti davanti agli occhi le immagini impressionanti degli effetti della siccità in Sicilia. Laghi al minimo, raccolti bruciati, bestiame che cerca acqua nel fango e il Lago di Pergusa, una delle oasi naturalistiche più delicate della Sicilia, completamente prosciugato. Secondo il Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (SIAS), a luglio, il deficit di precipitazioni in alcune zone dell'isola aveva toccato il 60%. Una situazione drammatica, considerato che la scarsità delle precipitazioni si è iniziata a registrare già nell'autunno del 2023: il mese di ottobre '23 è stato il più avaro di precipitazioni, da quando si effettuano le rilevazioni (1921). Pesante anche la situazione negli invasi: l'anno idrologico 2024 è stato quello con il minor volume d'acqua invasato da quando sono disponibili i dati, facendo segnare un -40% della disponibilità idrica nei laghi siciliani rispetto all'anno precedente (Fondazione Utilitatis).
L'eccezionalità dell'evento meteo-climatico deve fare i conti con delle infrastrutture idriche, soprattutto al sud Italia, non proprio efficienti: combinazione ideale per creare una crisi . Turnazioni, sospensioni dell'erogazione idrica, autobotti, abbassamento della pressione nelle reti, sono state tante le azioni messe in campo dai gestori e dagli attori coinvolti nel sistema di gestione delle acque per fare fronte ad una situazione, come sempre, emergenziale. L'obiettivo però dovrebbe essere proprio quello di uscire dall'ottica dell'emergenza. Le reti di distribuzione del Sud Italia hanno ancora valori elevatissimi di perdite idriche (in Sicilia e Sardegna rispettivamente circa il 52% e 53% dell'acqua immessa in rete si disperde) e fonti alternative di approvvigionamento come il riuso delle acque reflue o l'impiego dei dissalatori vedono ancora ostacoli burocratici e ideologici che ne ostacolano la diffusione. Bisogna investire per migliorare il grado di resilienza delle infrastrutture.
I risultati degli studi scientifici non lasciano scampo: nei prossimi anni il clima cambierà – lo sta già facendo – e le fasi di grande siccità potranno perdere il proprio carattere di eccezionalità divenendo più frequenti. Occorre dunque predisporre un programma di interventi che tenga in considerazione questo rischio a livello nazionale, mirato a strategie di preparazione e adattamento sul lungo termine.
In poche parole, serve incrementare gli investimenti nel comparto idrico, mettendo in cantiere programmi di interventi mirati alla conservazione e tutela della risorsa anche attraverso l'utilizzo di fonti di approvvigionamento alternative, senza paure. Noi cittadini, dall'altro lato, dobbiamo imparare a utilizzare la risorsa idrica con parsimonia, applicando comportamenti corretti e senza sprechi. Ci attende un futuro "caldo", che sarà impossibile da affrontare senza la risorsa più preziosa che abbiamo: l'acqua.