Lavorano come gli uomini, ma non fanno carriera: le donne medico discriminate dai loro colleghi

Ti sei mai chiesto se una dottoressa subisca forme di discriminazione? In occasione della Giornata mondiale contro la discriminazione abbiamo voluto parlare di un argomento in buona parte sconosciuto: le difficoltà che incontra una donna quando vuole intraprendere la carriera di medico. Le spiega la dottoressa Vezzani, presidente dell’Associazione italiana donne medico.
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Giulia Dallagiovanna 1 Marzo 2019
* ultima modifica il 22/09/2020
Intervista alla Dott.ssa Antonella Vezzani presidente di AIDM (Associazione nazionale donne medico)

Se pensi alla professione di medico, cosa ti viene in mente? Magari ti starai immaginando una classe sociale colta e privilegiata, una sorta di élite. E se devi scegliere se farti visitare da un dottore o da una dottoressa, chi preferisci? Hai mai visto una donna diventare primario di un reparto ospedaliero?

Una volta risposto a tutte queste domande ti sarai reso conto di un dato di fatto che il più delle volte viene trascurato: la discriminazione di genere all'interno della classe medica. In un sondaggio online realizzato da Brescia medica è emerso che il 70% delle dottoresse che hanno partecipato hanno subito un trattamento discriminatorio, mentre il 15% afferma di essersi ritrovata in un contesto maschilista.

Naturalmente, si tratta di un'indagine su piccola scala, ma ti può far capire quanto questa situazione sia reale e riguardi la vita quotidiana di tantissime donne che hanno scelto di intraprendere la carriera medica.

"Si tende a considerare la discriminazione come un fatto limitato ai lavori più comuni, mentre è un problema che esiste anche per le professioni più considerate socialmente", conferma la dottoressa Antonella Vezzani, presidente nazionale di AIDM (Associazione italiana donne medico) e vicepresidente per il sud Europa di MWIA (Medical Women International Association).

Dottoressa Vezzani, quali sono le difficoltà maggiori che incontra una donna durante la sua carriera di medico?

La difficoltà più grande sta nel raggiungere ruoli di responsabilità più alti. Lavorano e vengono assunte al pari dei colleghi uomini, ma poi non riescono a raggiungere le posizioni apicali. E questo accade soprattutto perché le donne sono molto più impegnate sul fronte della vita famigliare. Sono quindi costrette a rinunciare a quella parte di relazioni e cura dei rapporti sociali alla quale possono invece dedicarsi gli uomini. Mi riferisco ad esempio ai congressi: capita di frequente che una donna debba rinunciare a causa di impegni familiari e questo le penalizza.

Non solo, ma anche le dottoresse che non hanno una famiglia, sono vittime di pregiudizio. Gli uomini infatti sono più abituati a vedere negli uomini il proprio futuro. Questo si traduce nella scelta di diventare mentori di studenti o giovani medici, piuttosto che di donne. Io faccio parte della generazione degli anni '70, non abbiamo avuto mentori donne, perciò assieme alle mie colleghe stiamo cercando di rivestire noi questo ruolo per le nuove arrivate. Il problema però è che solo poche di noi hanno raggiunto posizioni apicali importanti e quindi è più difficile spingerle in questa direzione.

Può capitare che a una donna venga sconsigliata una determinata specializzazione in quanto "più adatta a un uomo"?

Questo capitava soprattutto negli anni '80 e '90, oggi si tratta solo di episodi isolati. Diciamo che in generale una donna viene ritenuta meno adatta alla professione di medico e si nutrono dubbi sul fatto che possa dedicarsi a tempo pieno a una mansione così particolare. Ma credo che la nostra forza sarà nel numero: fra i nuovi laureati in Medicina, le donne hanno ormai raggiunto il 70%. L'ingresso ingente di nuove dottoresse aiuterà ad abbattere un po' di barriere.

Il problema principale rimane quindi la possibilità di raggiungere qualifiche più alte, mi sembra di capire.

Proprio così. Le donne in genere sono più brave: si laureano in tempo e ottengono voti più alti. Sono infatti più disposte al sacrificio, anche perché sono più motivate. Poi, però, arrivano gli impegni familiari ed è innegabile che rappresentino ancora un carico di lavoro che devono considerare durante la loro carriera. Una dato di fatto che diventa ancora più vero se guardiamo alle generazioni precedenti, mentre sembra che gli uomini giovani siano più disposti a condividere il peso della famiglia.

In ogni caso, però, rimane il pregiudizio che una posizione apicale è meglio rivestita da un uomo piuttosto che da una donna. Esistono, in realtà, studi fatti da economisti che dimostrano come la condivisione delle responsabilità e della gestione dei ruoli fra uomo e donna porti a raggiungere risultati migliori.

Al momento, a quale posizione può arrivare una donna medico?

In media, una donna riesce ad arrivare fino alla condizione di dirigente di unità ospedaliera semplice. Questi significa grandi responsabilità e scarso budget a disposizione, che si traduce in poca autonomia di gestione.

Oltre alla difficoltà di ottenere degli avanzamenti di carriera, quali altri problemi può incontrare una dottoressa?

Sicuramente un discorso da affrontare è quello sulla sicurezza. Una struttura pubblica dovrebbe garantire l'incolumità dei propri dipendenti, mentre le guardie mediche negli ospedali o nei presidi cittadini corrono di più il rischio di venire aggrediti da malintenzionati. Naturalmente, questo vale anche per gli uomini, ma per ovvie ragioni per una donna le probabilità sono maggiori.

Ad esempio, una dottoressa non dovrebbe essere costretta a recarsi da sola di notte in casa di persone sconosciute, perché potrebbe trovarsi di fronte qualsiasi situazione, anche pericolosa. In Inghilterra invece il medico che effettua una visita domiciliare nelle ore notturne viene sempre accompagnato da una guardia.

L'Associazione nazionale donne medico quali iniziative sta portando avanti in questo senso?

L'Associazione si sta muovendo assieme alla Federazione nazionale dei medici. Vogliamo infatti che le varie strutture trovino delle soluzioni adeguate e mettano in atto una maggior tutela dal punto di vista della sicurezza. Nei giorni scorsi abbiamo partecipato a un convegno a Parma, dove era presente anche il presidente nazionale dell'Ordine dei medici e abbiamo parlato del problema.

Trovare una risposta non è facile. Uno degli ostacoli principali è la spesa economica. Noi però abbiamo chiesto che venga effettuata anche una verifica su tutto il territorio nazionale, per avere una fotografia chiara della situazione. Esistono infatti presidi cittadini dove non si riscontrano questi pericoli, anche perché può succedere che siano presenti più medici nello stesso edificio. Ma ci sono zone periferiche o isolate, nelle campagne, dove le guardie mediche hanno paura a recarsi.

In alcuni casi, come a Pordenone, gli alpini si sono offerti di aiutare dal punto di vista della sicurezza, ma speriamo che il governo si impegni a trovare soluzioni definitive e su larga scala.

Quali consigli darebbe a una neolaureata in medicina, agli inizi della sua carriera come medico?

Per prima cosa, le direi che ha scelto una carriera bellissima. Quella di medico è sicuramente una professione particolare, ma appassionante sotto tanti aspetti. Non è un lavoro matematico, ma quasi un'arte. Anche per questo è molto importante imparare la condivisione, unirsi agli altri medici e creare una rete. E non mi riferisco solo ai propri coetanei, ma anche ai dottori con maggior esperienza.

Il passaggio di conoscenze fra generazioni è fondamentale nel nostro lavoro: non tutto si impara dai libri.

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