Nobel per la Pace 2023, chi è Narges Mohammadi, l’attivista iraniana che continua a lottare anche dal carcere

Il comitato norvegese per il Nobel ha deciso di assegnare il prestigioso riconoscimento a Narges Mohammadi, attivista iraniana che da oltre 20 anni si batte per i diritti delle donne, i diritti umani e contro la pena di morte. Per le sue idee e le sue attività è stata messa in carcere 5 volte, con una condanna complessiva di 31 anni e 154 frustate. Ma anche dal tristemente noto carcere di Ervin continua la sua protesta pacifica e la sua instancabile attività di sensibilizzazione e informazione.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Giulia Dallagiovanna 6 Ottobre 2023

Narges Mohammadi ha ricevuto il Nobel per la Pace 2023. Il Comitato norvegese ha deciso di assegnarlo all'attivista iraniana, tuttora detenuta in carcere, per la sua lotta contro l'oppressione delle donne in Iran e in favore dei diritti umani e della libertà per tutte le persone. "Le sue battaglie sono coraggiose e hanno un costo personale molto alto – si legge nelle motivazioni. – In totale, è stata arrestata 13 volte, detenuta in prigione cinque volte e condannata a una pena compessiva di 31 anni e 154 frustate". È lei, per il comitato di Oslo, il simbolo più importante della difesa dei diritti delle donne e l'incarnazione del motto "Donna, vita, libertà" che guida le proteste.

"Combatte per la libertà di espressione, per il diritto all'indipendenza e contro le regole che vorrebbero segrerare le donne nell'ombra, obbligandole a nascondere i propri corpi. L'urgenza di libertà espressa dai manifestanti non si applica inoltre solo alle donne, ma all'intera popolazione".

Da quando, a settembre del 2022, Masha Jina Amini, una ragazza di origini curde, è stata arresta e uccisa dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo, sono esplose le proteste in tutto il Paese. Non è la prima volta che il regime viene messo sotto accusa: da anni le manifestazioni e gli scontri nascono per ragioni che intrecciano i diritti umani, alla povertà e alla carenza di risorse. Questa volta, tuttavia, sono apparse più massicce e difficili da sedare, nonostante le autorità abbiano risposto con violenza e oppressione ai manifestanti pacifici scesi in strada. Si calcola che siano state uccise più di 500 persone e che almeno 20mila siano state arrestate e si trovino tuttora nella mani della polizia.

Narges Mohammadi ha abbracciato e aderito alla lotta per i diritti delle donne e i diritti umani fin dai tempi dell'Università, tanto che dopo gli studi si è dedicata ad articoli e rubriche per diversi giornali riformisti. Nel 2003 è entrata a far parte del Centro per la Difesa dei Diritti Umani a Teheran che si occupa, tra le altre cose, di assistere gratuitamente chi viene perseguitato dal regime. Attività che le ha costato il primo periodo di detenzione.

Dal 2012 in poi Mohammadi ha preso parte a campagne contro la pena di morte, di cui l'Iran è uno dei maggiori utilizzatori, ma anche contro le torture e le violenze sessuali ai danni dei prigionieri, e infine ha guidato le proteste dei detenuti politici all'interno del tristemente noto carcere di Evin.

Da quel momento, la donna, oggi 51enne, è detenuta in condizioni molto rigide. Non può ricevere visite nè telefonate e avrebbe riportato diversi problemi di salute a livello respiratorio e cardiaco. Secondo quanto ha raccontato il marito ad Amnesty International, a giugno dello scorso anno aveva avuto bisogno di un ricovero d'urgenza in ospedale, ma una volta rientrata in cacere le sarebbero stati negati i farmaci prescritti dallo specialista. Nonostante tutto, Mohammadi prosegue la sua attività di protesta pacifica, di sensibilizzazione e di informazione. È riuscita ad esempio a pubblicare un articolo sul New York Times in occasione dell'anniversario della morte di Mahsa Amini. Il titolo racchiude lo spirito di un popolo: "Più persone rinchiudono in carcere, più forti diventiamo".