Pippo Musso e la vita oltre la SLA

Una vita da lavoratore, una splendida famiglia, la tanto attesa pensione. Inizia così la storia di Pippo Musso, una storia di cambiamenti e di rinascita che lo ha portato a scendere nella disperazione di una malattia incurabile per poi risollevarsi e ritrovare la forza di lottare. Per se stesso, per la sua famiglia, per tutte le persone che vivono la sua situazione ma soprattutto per tutti quelli che ogni giorno si lamentano senza averne davvero motivo.
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Sara Del Dot 15 Settembre 2019

“Mio marito è un grande, è veramente un grande.” Ripete questa frase diverse volte Anna, la moglie di Pippo Musso, nel corso del pomeriggio che trascorriamo assieme. Diverse ore che passiamo nella sua stanza all’interno della Residenza RDS San Pietro a Monza, gestita dalla cooperativa La Meridiana. Una stanza che Pippo da poco condivide con una giovane donna in stato vegetativo a causa di complicazioni sopravvenute in seguito a un intervento estetico per dimagrire. Una stanza in cui il silenzio dovrebbe fare da padrone, dal momento che nessuno dei due può usare la propria voce. Eppure, lì dentro, di silenzio ce n’è poco. C’è la musica, quando entriamo noi. La attiva Pippo a proprio piacimento, proprio come accende e spegne la luce, proprio come apre le email e avvia il sintetizzatore vocale che traduce in suono le lettere che, una dopo l’altra, mette insieme per dare voce ai propri pensieri. Tutto questo, lo fa con gli occhi.

Perché da ormai quasi 5 anni Pippo è costretto a convivere con la Sclerosi Laterale Amiotrofica, che tutti conosciamo come SLA. Si tratta di una patologia neurodegenerativa per cui al momento non esiste cura e che provoca una progressiva paralisi dei muscoli volontari e in seguito anche dell’apparato respiratorio, rendendo obbligatoria la tracheotomia e rubando per sempre la voce al malato. Una vera “stronza”, come la definisce lui. E ne ha tutte le ragioni.

Pippo inizia ad accusare i primi sintomi nel 2014 poco dopo essere andato finalmente in pensione, a 61 anni. Dopo aver trascorso anni e anni ad asfaltare strade e marciapiedi è pronto a dedicarsi completamente a sua moglie Anna, ai suoi figli, alla sua cagnolina e ai suoi nipotini, quando poco alla volta inizia a rendersi conto che qualcosa nel suo corpo non funziona nel modo in cui dovrebbe. Ogni tanto un piede gli striscia sull’asfalto impedendogli di camminare correttamente, altre volte viene svegliato nel cuore della notte da un forte tremore alla mano. Finché non gli è più possibile ignorare questi sintomi. La diagnosi gli crolla addosso come una sentenza di condanna definitiva. SLA. Invalido al cento per cento.

Da quel preciso momento, la vita di Pippo si stravolge completamente. Lentamente il suo corpo inizia a spegnersi, e spesso rischia di essere seguito dallo spirito, accompagnato per mano dalla disperazione, dalla sensazione di essere un peso per i propri cari, dal pensiero che presto non sarà più autosufficiente. Mentre il fisico si fa poco alla volta sempre più estraneo, portandolo al ricovero nella struttura di Monza nel 2016, solo una costante resta sempre immutata nella vita di Pippo Musso. L’amore della sua famiglia, dei suoi figli, di sua moglie Anna, che gli è stata accanto da sempre e oggi prende tre autobus ogni giorno per passare del tempo in sua compagnia.

Anna sembra non aver bisogno nemmeno della tavoletta con le lettere per comunicare con Pippo che, attaccato a un respiratore, la guarda e sorride. Si parlano, si baciano, si raccontano, come se ogni cosa fosse rimasta immutata. E lo è, dentro e tra di loro.

Diventando adulti, si tende a smettere di credere che l’amore sia in grado di superare qualsiasi ostacolo. Guardando loro, nonostante quella stanza, nonostante il suono della macchina respiratoria in sottofondo, nonostante la tabella trasparente appoggiata a lato del letto, quell’antica, quasi infantile convinzione torna a galla, e ogni cosa sembra possibile.

Deve averlo pensato anche Pippo quando, a un certo punto della permanenza all’interno della struttura ha deciso, spinto anche dagli operatori e in particolare dal volontario Angiolino, di raccontare la sua storia in un libro. Scrivendolo, naturalmente, solo con gli occhi. Non aveva mai scritto nulla in vita sua, ma tra le pagine di “Ci vediamo fra cent’anni” emerge non solo tutto ciò che è, come uomo, come lavoratore, come marito e come padre, ma anche tutto ciò che pensa e che prova. Con una semplicità e onestà disarmanti. Anche nella battaglia contro la SLA.

Così, Pippo vuole raccontare chi è, cosa lo ha portato in questo luogo in cui ai malati di SLA e alle persone in stato vegetativo vengono restituiti dignità, stimoli e attenzione, e soprattutto perché a un certo punto ha deciso che valeva la pena continuare a vivere. Perché quando non puoi più muoverti né parlare, condannato solo ad ascoltare e a farti portare in giro su una sedia a rotelle, è difficile ritrovare la motivazione. Lui la motivazione l'ha ritrovata e anzi, ha scelto di provare a trasmetterla non soltanto a chi si trova nella sua stessa situazione, ma anche e soprattutto a chi vive in salute e ogni giorno si lamenta per i motivi più futili.

Alla fine del nostro incontro, è difficile non guardare Anna nei suoi lucidi occhi azzurri e confermarle con decisione ciò che ha ripetuto per tutto il pomeriggio. “Hai ragione, Pippo è veramente un grande.”