
È arrivata l'8 aprile, prima ancora che terminasse il lockdown. Se già la pandemia ci aveva ricordato quanto fosse necessario tornare tutti con i piedi per terra, la lettera aperta di Giorgio Armani a WWD (Women's Wear Daily), una rivista di New York, ha forse sintetizzato nella maniera più pratica il nostro totale sovvertimento del ritmo naturale della Terra. "La riflessione su quanto sia assurdo lo stato attuale delle cose, con la sovrapproduzione di capi e un criminale non allineamento tra stagione metereologica e stagione commerciale, è coraggiosa e necessaria", ha commentato Re Giorgio senza mezzi termini. La moda, come diversi altri settori produttivi, è stata inghiottita dal circolo vizioso per cui un capo d'abbigliamento dopo tre mesi è già vecchio ed è fondamentale comprarne un altro. Anche se non ne hai bisogno, anche se non te lo puoi permettere. Tanto, c'è il fast fashion e con pochi euro ti puoi rifare il guardaroba. Ma accettare di acquistare meno e spendere un po' di più significa scommettere sulla qualità, che cammina di pari passo con la sostenibilità ambientale e sociale.
Non è un caso se la riflessione del famoso stilista italiano ha trovato d'accordo diversi illustri colleghi, da Donatella Versace a Elisabetta Franchi. E non è un caso nemmeno se in tanti di loro si stanno impegnando verso una produzione che riduca il proprio impatto sull'ambiente. Come Salvatore Ferragamo, ad esempio, si è impegnato a ridurre del 42% le emissioni di gas ad effetto serra che derivano dalla produzione e di un altro 42% l'inquinamento provocato invece dal trasporto e dalla distribuzione dei prodotti entro il 2029. Il Gruppo ha anche ricevuto il certificato SI Rating, della start up italiana ARBalzan, per il suo contributo ai 17 obiettivi indicati dalle Nazioni Uniti, sia in capo ambientale che sociale.
E un po' forse sarà pubblicità o solo una vetrina per apparire più virtuosi e al passo con i tempi, ma se è vero che il lato più inquinante della moda è la produzione, è anche vero nel fast fashion questa procede a ritmi ben più elevati che nel settore del lusso. E con materie prime, colorazioni e tecniche di qualità più bassa (per mantenere i prezzi non superiori a una certa soglia).
Quindi o abiti firmati o nulla? Assolutamente no, non è questo il messaggio che deve passare. Ma non è nemmeno pensabile voler spendere pochi euro per un paio di pantaloni di tendenza e poterne acquistare molte più paia, senza che nemmeno ti servano per davvero. Alternative abbordabili e green esistono: ci sono intere linee in plastica riciclata che si possono trovare tranquillamente anche negli store dove tutti andiamo solitamente, oppure abiti in canapa, cotone biologico e fibre naturali. Internet è pieno di aziende che ti offrono la possibilità di vestirti green e alla moda. Certo, in alcuni casi possono finire per costare anche il doppio. Ma forse è arrivato il momento di comprare solo ciò di cui abbiamo davvero bisogno.