disturbi alimentari

Raccontare i disturbi alimentari sui social aiuta davvero? Il lato oscuro dei profili recovery

Nati per ricevere e dare un aiuto nella battaglia contro i disturbi alimentari, i profili recovery sono diventati un vero e proprio fenomeno globale, ma negli ultimi tempi stanno assumendo una deriva pericolosa, tra spettacolarizzazione della malattia e ossessione per le calorie. In occasione della Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla ne abbiamo raccontato il lato nascosto attraverso la voce di chi li conosce da vicino.
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Maria Teresa Gasbarrone 15 Marzo 2023
* ultima modifica il 15/03/2023
In collaborazione con Dott.ssa Monica Turchetto e con Alice Guidicini rispettivamente dietista e socia di "Nutrimente" e volontaria di Alimenta

Diari alimentari, profili recovery, gruppi di sostegno, ma anche ricoveri in ospedali, sondini al naso e corpi (e menti) ridotti allo stremo delle forze. Ormai da tempo i disturbi alimentari hanno preso piede sui social, ma non sempre questo è un bene.

Sebbene le intenzioni fossero buone – offrire e ricevere un sostegno nella battaglia individuale contro i disturbi del comportamento alimentare (dca) -, questo fenomeno ha dato vita a esiti a volte controproducenti, trasformando i social in un luogo di insidie e pericoli per chi soffre – o potrebbe soffrire – di disturbi alimentari.

In occasione della Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, il 15 marzo 2023 – nata undici anni fa proprio per sensibilizzare su questo argomento – abbiamo raccontato il lato meno rassicurante del racconto che sui social si fa dei disturbi alimentari.

I disturbi del comportamento alimentare in Italia

I disturbi del comportamento alimentare colpiscono milioni di persone in tutto il mondo. Solo in Italia nel 2020 sono stati più di due milioni i casi presi in carico dal sistema sanitario, ma il numero è molto sottostimato perché solo una minima parte di chi soffre di anoressia, bulimia o binge eating disorder arriva a intraprendere un percorso di cure.

Solo in Italia nel 2020 sono stati presi in carico più di 2 milioni e 300mila pazienti di dca, ma si tratta di una cifra sottostimata

Sebbene chiunque possa ammalarsi di un disturbo del comportamento alimentare, questi riguardano soprattutto una specifica fascia di persone: le ragazze di età compresa tra i 13 e i 25 anni.

Anche per questo negli ultimi anni i dca sono diventati un argomento molto presente nel luogo in assoluto più frequentato dai giovanissimi: i sociali network.

Nonostante se ne parli da anni, i dati raccontano però una situazione in continuo peggioramento. In questo la pandemia ha avuto un ruolo decisivo, creando quella che è stara definita in più occasioni "una pandemia nella pandemia": solo nei primi sei mesi del 2020 l'Istituto superiore di Sanità ha registrato un aumento del 40% dei casi registrati.

Cosa sono i profili recovery

"Recovery" in inglese significa "recupero", ma anche "guarigione" e "riabilitazione": ecco perché è stato scelto questo termine per chiamare i tanti profili aperti su Instagram negli ultimi dieci anni da ragazze e ragazzi in tutto il mondo alle prese con un disturbo del comportamento alimentare.

Se cerchi su Instagram, l'hashtag #recovery potrai trovare tanti profili, aprendoli potrai vedere che la struttura degli account è più o meno la stessa: tanti post con foto di piatti ben ordinati, storie con foto allo specchio e frasi di accettazione, ma anche confronti prima-dopo e racconti crudi della malattia. Oppure riflessioni, sfoghi personali, in una parola tutto ciò che implica lottare contro un disturbo alimentare, a volte perfino invisibile, ma non per questo meno doloroso.

Tra gli oltre 5mila profili recovery aperti da utenti italiani c'è Alice Guidicini. Oggi ha 20 anni, ma quando ha aperto il suo"Assaggio di vita" ne aveva circa 13. "All'inizio – racconta – era soprattutto un profilo-sfogo in cui raccontavo tutto ciò che volevo. Poi nel 2018 è diventato un profilo recovery vero e proprio, anche se in forma anonima, poi pian piano ci ho preso confidenza fino a metterci la faccia".

Avere un profilo recovery mi ha dato molta forza, ma all'inizio era diventata un'ossessione dover indicare ogni singola cosa mangiassi

Alice Guidicini alias "Assaggio di vita"

Quello di Alice oggi è uno spazio libero, in cui mostra ciò che vuole, ma non è sempre stato così: "Per molti anni quel profilo è stata una prigione: ero ossessionata dal bisogno di indicare tutto ciò che mangiavo, le grammature di ogni alimento, poi la psicoterapia mi ha aiutato a capire che non era ciò di cui avevo bisogno".

Quando il cibo diventa un'ossessione

Anche se i profili recovey nascono con l'obiettivo di sostenere il percorso di guarigione dalla malattia,  il rischio che si trasformino in una trappola è dietro l'angolo. Questo in primis perché i social non sono un luogo sicuro per chi soffre di dca, ma nemmeno per chi ha un rapporto già precario con l'alimentazione.

Lo dimostrano i tantissimi contenuti che propongono stili di vita impeccabili, tra ricette "healthy" e iperproteiche, pagine dedicate al dimagrimento e trend come il "What I eat in a day". In cosa consiste? La risposta è già nel nome: mostrare cosa si mangia durante un giorno, dalla mattina alla sera. Il problema è che questo genere di contenuti non sono competenza esclusiva di profili esperti nell'alimentazione, ma di chiunque.

"Nella maggior parte dei casi – spiega la dottoressa Monica Turchetto, dietista e socia di Nutrimente, associazione impegnata da anni nella cura e nella prevenzione dei disturbi alimentari –  queste persone mostrano diete e vite all’apparenza perfetta. Questo può fare scattare soprattutto nei più giovani un mix di emulazione e senso di colpa". La domanda che spesso scatta nei ragazzi che incappano in questi generi di contenuti è: “Se loro ci riescono perché io non posso farlo?”. E incapparci è estremamente facile.

Sui social i giovani vengono bombardati da modelli di vita e dieta all'apparenza perfetti: il rischio è che possano innescare in loro un senso di emulazione e di frustrazione

Dott.ssa Monica Turchetto, dietista e socia Nutrimente

"Anche se la politica di Instagram – prosegue la dottoressa – oggi vieta contenuti e pagine contenenti la parola "anoressia", o simili come "ana", i social possono trasformarsi nella trappola perfetta a causa dell'algoritmo: basta cercare una volta un genere di contenuti per essere letteralmente bombardati da post e foto sullo stesso tema". Se questo succede con il cibo, soprattutto in chi ha già un rapporto complicato con il proprio corpo o sta attraversando un momento di particolare fragilità, ammalarsi non è così difficile.

calorie

Consigli alimentari non richiesti

"Quasi tutti i video o i post sull'argomento – continua l'esperta – presentano una costante: mostrano regimi alimentari ristrettivi, ipocalorici, in cui alcuni alimenti, come i carboidrati, sono ridotti al minimo e altri, come dolci o altri cibi ritenuti "sbagliati", sono praticamente assenti".

Non tutti però abbiamo gli stessi bisogni nutrizionali, inoltre demonizzare o eliminate del tutto alcuni alimenti – come i dolci o i piatti più gustosi – può innescare un altro rischio, perché "è questo senso di privazione che spesso fa scattare il bisogno delle cosiddette abbuffate".

Il senso di frustrazione che si prova nel confrontarsi continuamente con modelli alimentari non adatti alle proprie esigenze è tra i motivi che hanno fatto in nascere in Alice il disturbo: "C'era questo profilo molto seguito – lo è tutt'ora – che in ogni post metteva a confronto le calorie degli alimenti". Non è raro imbattersi in queste pagine che sebbene nascano con l'intento di consigliare uno stile alimentare più sano, finiscono – spesso anche per impreparazione – con l'inviare i messaggi sbagliati.

Mi sono ammalata a causa dei tanti post che per ogni alimento confrontavano il numero delle calorie: mi importava solo trovare il prodotto meno calorico, il sapore non mi interessa più

Alice Guidicini

È quello che è successo a Alice e a molte altre ragazze – ci confida lei stessa – alle prese con i dca: "Mi ero ridotta a controllare le calorie per ogni singolo alimento ingerito. Quando facevo la spesa non pensavo più a cosa mi piacesse di più, ma a cosa contenesse meno calorie, poco importava se poi non mi piacesse il sapore".

"Negli adolescenti questo tipo di contenuti può far insorgere una dinamica di confronto, che può diventare l’avamposto di un disturbo alimentare", conferma la dottoressa Turchetto.

Quando i profili recovery diventano pericolosi

L'ossessione per le calorie è uno dei "sintomi" più visibili – ovviamente non il solo – che si manifestano nelle persone affette di disturbi alimentari. Ecco perché anche i profili recovery possono diventare controproducenti, per gli stessi creatori e per i follower.

"I primi tempi in cui gestivo il mio profilo – racconta Alice – avevo il bisogno costante di scrivere tutto quello che mangiavo, anche il peso esatto. Ora so perché lo facevo: era il mio modo di far vedere agli altri che stavo provando a guarire, ma che allo stesso tempo non stavo esagerando con il cibo".

A questo punto non è troppo difficile capire perché i profili recovery possano diventare una prigione senza via uscita: "Nel 2019 – continua la ventenne – ho smesso di seguire i profili che riportavano le grammature perché era diventato un incubo vedere in modo così dettagliato cosa mangiavano gli altri, non riuscivo più a confrontarmi con me stessa, ma solo con gli altri: ho capito che se avessi continuato non sarei riuscita più a vivere".

Il rischio di identificarsi nella malattia

C'è un altro aspetto su cui spesso non si riflette per paura di sconfinare in aree in cui non è consentito entrare: il racconto della malattia. Il valore terapeutico è un dato di fatto, ma ci sono casi in cui si può innescare un pericoloso meccanismo di spettacolarizzazione e autoconservazione.

Parliamo soprattutto di quei profili in cui si mostra il lato più crudo della malattia: le lacrime davanti a un piatto di pasta impossibile da mangiare, ma anche il sondino al naso su un letto di ospedale. "Non ci sono dati su questo, ma ascoltando i miei pazienti – spiega la dottoressa – ho capito che se è vero che alcuni profili danno forza a chi sta combattendo la malattia, altri sono causa di ulteriore sofferenza per le persone malate di dca".

I possibili rischi di questo genere di contenuti non toccano solo chi li guarda ma anche i loro stessi creatori. "Raccontare la malattia in questo modo – spiega Alice – può farti sentire in dovere di continuare a sentirti in quel modo: nel momento in cui vedi che la tua sofferenza ti porta like inconsciamente pensi che quel tipo di contenuti sia l'unico modo per te di avere seguito e di ottenere le attenzioni degli altri". Il rischio però è che chi soffre di disturbi alimentari si identifichi a tal punto con la malattia da restarne intrappolato, incastrato nel pensiero: "Se riprendo a mangiare, nessuno mi seguirà più".

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.