Trattori ovunque: cosa sta succedendo in Europa?

In questi giorni migliaia di trattori marciano sulle capitali europee. Ma contro cosa protestano esattamente gli agricoltori?
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Mattia Iannantuoni 9 Febbraio 2024

In questi giorni non si parla d’altro: migliaia di trattori marciano sulle capitali europee come carri armati alla conquista delle città. Bloccano le autostrade, bruciano balle di fieno nelle piazze, lanciano letame su monumenti e palazzi governativi. Il motivo? Per le medie e piccole imprese agricole andare avanti è diventato economicamente insostenibile.

L’opinione pubblica è spaccata in due: c’è chi sostiene la causa e poi c’è chi,  invece, teme si tratti dell’ennesimo pretesto per rallentare la transizione ecologica e accaparrarsi un po’ di voti in previsione delle Elezioni europee di giugno.
Ma contro cosa protestano esattamente gli agricoltori? Vogliono davvero bloccare la transizione ecologica? E cosa c'entrano le nuove politiche green con le entrate economiche di contadini e allevatori?
Partiamo dall’inizio.

Come tutto è iniziato

Berlino, 18 dicembre 2023. Migliaia di trattori sfilano per le strade della città contro l’aumento dei costi del gasolio agricolo. Dalla Capitale tedesca, la protesta inizia presto a diffondersi a macchia d’olio nel resto d’Europa, dal Portogallo fino alla Romania.
Perché protestano? In Germania, come abbiamo visto, tutto parte dal gasolio ma in realtà le motivazioni sono tante e variegate.
Ogni stato, infatti, ha governi e situazioni differenti e, per di più, i movimenti che prendono parte alle proteste sono molti e diversi tra loro… anche all’interno dello stesso contesto nazionale.
Proprio per questo non è così semplice mettere nero su bianco contro cosa si stanno battendo gli agricoltori, ciò che è certo è che già da qualche tempo c’è un malcontento generale tra gli addetti ai lavori, per cui è bastata una piccola scintilla per incendiare l’Europa intera.
Proviamo comunque a semplificare. Allora, in linea di massima, le richieste degli agricoltori possono essere raggruppate in due grandi gruppi strettamente influenzati dalle zone geografiche da cui provengono le proteste. C’è infatti una certa differenza tra l’Est Europa e gli altri paesi.
Ovviamente è una distinzione che stiamo facendo per capirci qualcosa, questo non vuol dire che un agricoltore polacco non possa condividere alcuni punti con un agricoltore spagnolo e viceversa. Anzi, è tutto molto più complesso e sfumato di così, ed è difficile tracciare delle linee chiare e definite.

I motivi della protesta

Nell’Europa dell’Est i motivi principali sono strettamente connessi alla guerra in Ucraina. In seguito all’invasione Russa del 2022, infatti, l’UE ha deciso di sospendere i dazi doganali sui prodotti agroalimentari provenienti dall’Ucraina, per agevolarne l’economia. Questo, in poche parole, vuol dire che se prima le merci ucraine dovevano pagare un’imposta per l’esportazione, adesso non lo devono più fare.
Il risultato è che ad oggi, le materie prime ucraine, vengono smerciate a prezzi molto molto bassi e di conseguenza anche i produttori locali degli stati confinanti (come Polonia, Bulgaria e Romania) si sono visti costretti ad abbassare a dismisura i loro prezzi, per cercare di rimanere competitivi sul mercato.

Dall’altro lato dell’Europa invece, per quanto riguarda paesi come la Germania, la Francia, l’Italia e molti altri, le proteste vertono principalmente attorno ad alcune nuove norme introdotte nell’ultima PAC, ovvero nella politica agricola comune.

Che cos’è? In sostanza si tratta di un insieme di norme che servono per regolare l’erogazione dei fondi europei per l’agricoltura – quindi di quei soldi che l’Europa dà agli agricoltori per sostenere le attività.
Queste norme vengono revisionate e modificate con cadenza quinquennale. L’ultima PAC, che riguarda il quinquennio 2023-2027, prevede l’erogazione di ben 386,5 miliardi di euro. Una bella cifretta. Considerate che il settore agricolo è quello per cui vengono stanziati più fondi in assoluto: quasi un terzo dei fondi previsti dal bilancio europeo.

Il problema è che, rispetto al passato, la nuova PAC prevede diverse novità che sono proprio al centro delle polemiche, alcune di queste riguardanti la questione ambientale.
Uno dei punti maggiormente contestati è quello che riguarda l’obbligo per gli agricoltori di lasciare incolto il 4% dei propri campi, con il fine di favorire la biodiversità dei terreni. Lasciato a riposo, infatti, il suolo ha modo di rigenerare i nutrienti che normalmente contiene e dunque torna fertile e vivo.
Un altro punto riguarda l’obbligo di ridurre i fitofarmaci, cioè i pesticidi, che servono a mantenere lontani dalle colture insetti e parassiti, aumentando quindi la produttività dei campi ma il cui uso in Europa è una delle principali fonti di inquinamento delle risorse idriche e di declino delle popolazioni di uccelli e insetti impollinatori.
Poi c’è anche chi si oppone alla carne sintetica, cioè quella coltivata in laboratorio, e alla farina di insetti, ma su questo punto torneremo più avanti.

E il Green Deal?

Queste sono solo alcune delle misure contro cui si stanno battendo gli agricoltori e, come già detto, sono strettamente connesse alla salvaguardia dell’ambiente.

Sono infatti la conseguenza diretta degli impegni ambientali presi nel Green Deal, anche detto patto verde.
Quindi cos’è il Green Deal? Per chi ne sente parlare adesso per la prima volta: come si può evincere dal nome, si tratta di un pacchetto di iniziative proposte dalla Commissione Europea, proprio al fine di garantire un futuro più verde, nel senso di un futuro in cui viviamo in equilibrio con le risorse dell’ecosistema.
Ma quindi gli agricoltori stanno protestando contro l’ambiente? Praticamente vogliono inquinare?
Beh è molto più complesso di così. A dir la verità, ciò contro cui protestano quantomeno le frange più moderate, non è la transizione ecologica in sé, anzi. Ma è la disparità che c’è tra i piccoli agricoltori e le industrie della grande distribuzione.
Lamentano il fatto che, mentre loro sono costretti a rispettare tutte queste regole producendo meno merce e a prezzi più alti, i produttori extra-europei che hanno politiche meno stringenti, possono permettersi prezzi molto più competitivi e maggiori ricchezze.
Inoltre, questa disparità viene accentuata ulteriormente da un’ erogazione dei fondi – a loro dire – poco equa. Basti pensare che L’80% dei sussidi finisce nelle tasche del 20% delle attività agricole – quelle più grosse ovviamente – mentre alle piccole attività, troppo spesso, rimangono le briciole. E questi sussidi per loro rappresentano metà del reddito di un singolo agricoltore, quindi non possono farne a meno.

La transizione ecologica c’entra davvero?

Insomma la situazione è molto delicata e in questa confusione la transizione ecologica sembra il capro espiatorio perfetto. Il rischio che le proteste vengano strumentalizzate in questa direzione è molto alto, considerato anche il fatto che tra qualche mese andremo alle urne per le Elezioni europee. Questa situazione, infatti, sembrerebbe perfetta per chi è a caccia di nuovi voti o teme di perdere la poltrona da parlamentare europeo.
E, a onor del vero, in risposta a queste proteste, l’Europa si sta mostrando piuttosto flessibile, proponendo deroghe su deroghe. Molte delle norme contro cui si protesta, infatti, non sono ancora nemmeno entrate in vigore. Anzi, è proprio di qualche giorno fa la notizia che la Commissione Europea ha messo in pausa la questione del 4% dei terreni e addirittura ritirato la proposta di regolamento sui fitofarmaci.

Cosa c'entra la carne sintetica?

E la carne coltivata, invece? Cosa c’entra?
In tutta questa confusione ci sono andate di mezzo anche lei e la farina di insetti, alimenti che, secondo alcuni, potrebbero in futuro fare concorrenza ai cibi tradizionali.
Anche se, a dir la verità, questo sembra essere solamente il vago tentativo di pochissimi di approfittare della situazione per demonizzare questi nuovi alimenti.
Alimenti che in realtà, con le difficoltà economiche degli agricoltori, almeno per il momento c’entrano ben poco.