Un bio-chip che imita l’attività dell’occhio: così la scienza vuole contrastare alcune complicanze di Alzheimer e Parkinson

Uno nuovo studio internazionale ha mostrato le prospettive di un microchip composto da materiali organici in grado di riprodurre la capacità della retina di convertire la luce in elettricità ripristinando la vista quando danneggiata. Potrebbe aiutare contro alcune complicanze di malattie neurodegenerative.
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Kevin Ben Alì Zinati 11 Gennaio 2024
* ultima modifica il 11/01/2024

Correggere i problemi di vista correlati a patologie come Parkinson o Alzheimer con un materiale che si comporta esattamente come i nostri occhi e ricorda come il nostro cervello.

Non è fantascienza ma la prospettiva aperta da un nuovo studio incentrato su un microchip organico in grado di riprodurre la capacità della retina di convertire la luce in elettricità ripristinando la vista quando danneggiata.

Un bio-chip, insomma, per supportare organi che non funzionano più come dovrebbero per colpa di malattie neurodegenerative.

L’intuizione arriva dalla collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia, la Rwht Aachen University, Forschungszentrum Jülich e l’Università degli Studi di Napoli Federico II e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Communications”.

Il materiale è realizzato con un polimerosemiconduttore costituito da componenti organici e sensibili alla luce e che, a differenza di altri dispositivi tradizionali, funziona non attraverso lo scambio di elettroni bensì di ioni, utilizzati dalle nostre cellule per controllare determinati processi e scambiare informazioni. Tutte caratteristiche che, in teoria, avrebbero garantito efficacia e una miglior integrazione del materiale con l’organismo umano.

E i risultati hanno dato ragione ai ricercatori. Nelle sperimentazioni, il materiale è stato in grado di capire quanta luce interagisse con esso e di restituirlo sotto forma di segnale elettrico, in modo molto simile a quanto avviene ai nostri occhi.

Non solo, perché il bio-chip avrebbe anche mostrato la capacità di ricordare lo stimolo luminoso in maniera molto simile a come fa il nostro cervello con i suoi processi di memoria.

Con la loro ricerca, insomma, gli scienziati hanno provato a sbirciare un po’ nel futuro: questo bio-chip, infatti, potrebbe davvero tornare estremamente utili per rimediare ai danni al sistema visivo, agli occhi o al sistema nervoso provocati da malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer o il Parkinson.

Fonte | "Azobenzene-based optoelectronic transistors for neurohybrid building blocks" pubblicata il 2 novembre 2023 sulla rivista Nature Communications

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