Uno studio ha dimostrato che la depressione lascia tracce nel sangue

Uno studio dell’Università della California a San Diego ha rivelato come la depressione refrattaria ai normali trattamenti possa essere diagnosticata attraverso cinque biomarcatori del sangue, che differiscono in base al sesso: in questo modo si potrebbe identificare la presenza di pensieri inerenti il suicidio e salvare le persone a rischio.
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Maria Teresa Gasbarrone 18 Dicembre 2023
* ultima modifica il 18/12/2023

Prevenire il suicidio attraverso delle semplici analisi del sangue? Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell'Università della California a San Diego sarebbe possibile grazie alla possibilità di rintracciare nel sangue dei biomarcatori che identificano la presenza o meno di depressione e pensieri inerenti al suicidio.

I ricercatori  dell'Università della California hanno infatti rivelato una connessione tra il metabolismo cellulare e la depressione. L'equipe ha scoperto, inoltre, che il modo in cui questa malattia influisce sul metabolismo cellulare è diverso negli uomini e nelle donne, tanto che i cinque biomercatori che i secondo i ricercatori potrebbero essere associati alla depressione sono diversi in base al sesso della persona.

Lo studio

I ricercatori hanno analizzato il sangue di 99 partecipanti allo studio con depressione refrattaria ai trattamenti disponibili e ideazione suicidaria, e di altre 99 persone senza questo disturbo. Tra le centinaia di diverse sostanze biochimiche circolanti nel sangue, il team di studiosi ha scoperto che cinque potrebbero essere usate come biomarcatori per classificare i pazienti più a rischio.

Questa scoperta, sottolineano gli autori dello studio, potrebbe permettere di identificare con un buon tasso di sicurezza le persone con depressione, mettendo quindi in sicurezza chi è a più rischio suicidi.

"Su 100 persone saremmo in grado di identificare correttamente 85-90 con depressione grave, a maggior rischio di togliersi la vita sulla base di cinque metaboliti nei maschi e altri 5 metaboliti nelle femmine", ha spiegato Robert Naviaux, professore al Dipartimento di Medicina, pediatria e patologia della School of Medicine dell'Università della California a San Diego.

Nuove possibilità di cura

I risultati, pubblicati il 15 dicembre 2023 su Translational Psychiatry, potrebbero aiutare a personalizzare la cura della salute mentale e potenzialmente identificare nuovi bersagli per futuri farmaci.

"Le malattie mentali come la depressione hanno impatti e cause che vanno ben oltre il cervello" ha spiegato Naviaux, ma, quello che oggi è un fatto assodato solo fino a qualche anno fa non lo era affatto. "Prima di una decina di anni fa – prosegue il ricercatore – era difficile studiare come la chimica dell'intero corpo influenzi il nostro comportamento e il nostro stato d'animo, ma le moderne tecnologie come la metabolomica ci aiutano ad ascoltare le conversazioni delle cellule nella loro lingua madre, che è la biochimica".

Questo studio potrebbe essere rilevante soprattutto per le persone con depressione refrattaria ai trattamenti normalmente impiegati nella cura di questa patologia. Sebbene infatti questi costituiscono solo una minima parte delle persone con depressione, resta il fatto che ben il 30% di questi – stima l'Università della California – potrebbe tentare il suicidio almeno una volta nella vita.

"Stiamo assistendo a un aumento significativo della mortalità nella mezza età negli Stati Uniti e l'aumento dell'incidenza dei suicidi è uno dei fattori che determinano questa tendenza", ha dichiarato Naviaux. Ecco perché una scoperta come quella appena resa nota potrebbe essere di fondamentale importanza nel salvare chi è a rischio: "Gli strumenti che ci aiutano a stratificare le persone in base al loro rischio di diventare suicidi potrebbero aiutarci a salvare delle vite".

Fonte | Università UC San Diego;

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