
Era stata rinviato una settimana fa, il 20 marzo, dopo il via libera da parte di Montecitorio, la riforma del Codice della Strada. Il testo quindi è passato al Senato per una seconda rilettura e il 27 marzo ha ricevuto il primo ok. Le critiche non sono partite soltanto dalle opposizioni, ma anche dalle associazioni delle famiglie delle vittime di incidenti stradali. La riforma, voluta fortemente dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, prevede nuove regole per bici, monopattini e autovelox.
La maggioranza di centrodestra ha deciso di non accogliere nessuna delle richieste avanzate dai parlamentari d'opposizione, e a nulla sono servite le manifestazioni e le proteste dei cittadini che si trovano in disaccordo con il nuovo testo. Il ministro Salvini ha replicato che "il 25% delle osservazioni fatte nelle audizioni è stato accolto". Troppo poco, troppo tardi, questo è ciò che emerge dai comunicati cittadini e politici. Marco Mazzei, consigliere del Comune di Milano, dichiara che sono state respinte tutte le proposte e gli emendamenti che introducevano "pesanti limitazioni ad autovelox, ciclabili, ZTL, zone 30, aree pedonali controlli e sanzioni etc.", ma al tempo stesso sono stati accolti tutti i suggerimenti provenienti dal mondo del trasporto privato e su gomma (il nuovo Codice della Strada non include l'obbligo di sensori contro gli angoli ciechi dei mezzi pesanti).
Inoltre secondo Andrea Colombo, l'ideatore del modello Bologna 30km/h, il nuovo testo prevederebbe meno regole, meno limitazioni, meno controlli, meno sanzioni e più libertà di circolare e andare veloci nelle città per auto, moto e camion merci. I limiti di velocità sarebbero più alti, una sola multa per chi viola le aree pedonali anche più volte al giorno, rallenta fortemente la realizzazione di nuove piste ciclabili, restringendo inoltre la possibilità del doppio senso di marcia e rendendo inutile il metro e mezzo "salvaciclisti" con la clausula "ove la strada lo consenta". Tra le novità, anche l'obbligo di casco e targa per i ciclisti. Matteo Salvini, in risposta alle critiche, afferma di essersi ispirato al modello tedesco, polacco e austriaco per quanto riguarda i limiti di velocità e che, sugli autovelox, era già vietato introdurne di nuovi nelle aree urbane.