All’interno di un centro antiviolenza, la guida pratica per accedervi e chiedere aiuto

Uscire da una storia di violenza non è una passeggiata. Le donne sono vittime di manipolazioni, di isolamento e di vessazioni che durano anche anni. Non sarà un colpo di telefono a risolvere tutto, ma proprio quello è il primo passo, il primo step per allontanare il partner che ti dovrebbe amare ma che ti ha chiuso in gabbia. Per la Giornata contro la violenza sulle donne ripercorriamo le tappe che occorrono per iniziare un percorso in un centro antiviolenza, un rifugio che ti darà supporto e protezione per tornare a essere libera.
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Evelyn Novello 25 Novembre 2023
Intervista a Dott.ssa Sabina Castagnetta Avvocata e vicepresidente del CAV "Per non subire violenza"

La violenza domestica è una trappola. Chi la subisce perde la libertà, la consapevolezza di sé, la forza di reagire, tutti i punti di riferimento. I centri antiviolenza (CAV) sono luoghi di protezione in cui le donne possono intraprendere percorsi che le porteranno al sicuro con la massima riservatezza, senza giudizio e con la delicatezza che ogni storia richiede. In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, abbiamo voluto stilare una sorta di guida, un "manuale d'istruzioni" che può tornare utile a ogni donna in pericolo e a chiunque altro sia a conoscenza di casi di violenza.

Chi abbiamo intervistato oggi ci risponde in una duplice veste, di avvocata specializzata in violenza di genere e di vicepresidente di un CAV, il centro "Per non subire violenza" di Genova. Ti ricordiamo, prima di iniziare, che se ti trovi in una situazione di imminente pericolo per la vita devi chiamare immediatamente il 112. In tutti gli altri casi, rivolgersi a un CAV è il modo migliore per affrontare dalla radice la situazione che stai vivendo.

Primo accesso  – telefonata

Per attivare ogni tipo di servizio, è la vittima che deve prendere contatto con il centro. "Nel nostro caso si può telefonare, venire di persona o mandare una mail, in altri centri c'è la possibilità di mandare un messaggio in codice – spiega l'avvocata. – All'altro capo ci sarà un'operatrice formata. Si tratta di volontarie che imparano cos’è la violenza, in ogni sua forma. Spieghiamo loro come accogliere le donne anche solo telefonicamente così che non si sentano mai giudicate".

Primo colloquio

Il secondo step è un colloquio in presenza, all'interno del centro antiviolenza. "Con la telefonata fissiamo un momento in presenza in cui la donna parlerà con un’operatrice che ha formazione più specifica, di solito sono o counselor o psicologhe – spiega Castagnetta. – Le donne possono raccontare in un'ora e mezza in modo più dettagliato la loro storia e l’esperienza che stanno vivendo. Lì potranno poi scegliere, guidate da noi, di quali risorse si vogliono avvalere. Abbiamo diverse possibilità di percorso che possono intraprendere".

Il percorso al centro

Dal primo colloquio si avvia effettivamente il percorso di uscita della donna dalla violenza che può includere attività diurne nel centro stesso o uno spostamento in strutture protette. "Nel caso del centro antiviolenza di Genova abbiamo percorsi di psicoterapia individuale o in gruppo, orientamento al lavoro, consulenza legale e notarile e gruppi di sostegno alla genitorialità, – precisa l'avvocata – ogni storia è a sé. Calcoliamo di solito almeno sei mesi di percorso e, in caso di consulenza legale seguiamo la donna fino alla conclusione del processo".

Il centro offre questi servizi diurni quando la donna non vive una situazione di pericolo per la vita ed è importante sottolineare che la vittima non ha l'obbligo di avviare alcun procedimento penale. "Noi diamo le informazioni necessarie e la donna può decidere in autonomia e con più tempo se vuole avviare una denuncia, una separazione o fare solo un percorso di sostegno individuale" precisa Castagnetta.

Occorre sapere, però, che per ottenere l'allontanamento della persona violenta dalla casa in tempi brevi, quindi senza aspettare la separazione, ci deve essere una denuncia da parte della vittima. "Se si necessita di una misura cautelare serve un provvedimento giudiziario. La denuncia è consigliata anche come mezzo per testimoniare il motivo per cui la donna è scappata di casa portando via anche i figli" puntualizza l'avvocata.

Strutture protette

In alternativa al percorso diurno, se la donna nel momento del primo colloquio si trova in un caso di imminente pericolo per la sua vita, può essere trasferita in strutture protette. Il centro di Genova "Per non subire violenza", ad esempio, gestisce una casa rifugio a indirizzo segreto e due strutture in autonomia, case condivise in cui vivono fino a 3 nuclei familiari e in cui le donne possono seguire un percorso con le educatrici. "La struttura protetta a indirizzo segreto è una casa comunale gestita da noi in cui le donne possono andare subito a vivere anche con i figli – spiega Castagnetta. – Ci deve essere una situazione di pericolo per la vita e ciò può accadere quando ci sono stati episodi in cui la donna si è rivolta al pronto soccorso, ha fatto denuncia o comunque l'escalation di violenza è a livelli alti". 

Cosa puoi fare se sai di un caso di violenza

Nel momento in cui sai di episodi di violenza domestica ciò che puoi fare è chiamare il 112. "Se siamo testimoni di una violenza in cui magari sono coinvolti anche bambini è consigliabile chiamare il numero unico d'emergenza – spiega Castagnetta. – Un metodo di accesso di molte donne al CAV è proprio a seguito di un intervento delle forze dell'ordine in casa, che poi hanno invitato la donna a venire da noi. Se sei amica o conoscente di una donna che sai che subisce vessazioni o violenze domestiche, puoi anche provare a parlarci e invitarla a chiamarci o accompagnarla da noi, forse questa è la strategia migliore. Non farla sentire giudicata, non forzarla alla denuncia, spesso sono donne fragili che vanno rispettate nella loro fragilità".

Chi subisce maltrattamenti è spesso una persona isolata, non è facile prendere una decisione drastica, soprattutto quando le donne si trovano sotto minaccia di vedersi portar via i figli. "Rivolgersi a un CAV è un passo importante, la violenza influisce anche sulla libertà di scelta – ricorda l'esperta. – Da noi arrivano donne di qualsiasi estrazione sociale e di qualsiasi età, negli ultimi anni ci sono tante ragazze nella fascia 18-35, un fatto negativo sì, ma anche positivo perché non aspettano più di subire anni e anni di violenza. C'è più coraggio, si sta sensibilizzando sul tema soprattutto sui social e che sia uno schiaffo o un'aggressione verbale è opportuno già allertarsi e prendere provvedimenti, è importante dire alle donne "non sei sola, noi ci siamo"".