Alzheimer: un test del sangue per scovarlo in anticipo e provare a contenere i danni neurologici

Un team di ricercatori della North Carolina Central University ha individuato un nuovo biomarcatore nel tessuto cerebrale di persone cedute e affette da Alzheimer che potrebbe potenzialmente aiutare a individuare la malattia nelle sua fasi iniziali.
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Kevin Ben Alì Zinati 11 Novembre 2022
* ultima modifica il 11/11/2022

Un esame del sangue. Così “poco” potrebbe bastare per anticipare l’Alzheimer e tentare di diagnosticare la malattia neurodegenerativa prima che crei danni irreparabili.

A livello globale si stima che circa 50 milioni di persone convivano con la demenza e che quasi il 70% di questi casi sia imputabile proprio al questa patologia.

Riuscire a intercettarne lo sviluppo quando un paziente si trova ancora in uno stato di deterioramento cognitivo lieve potrebbe quindi risultare determinante: secondo un recente studio della North Carolina Central University, la rivoluzione starebbe nell’analisi mirata di un nuovo e specifico biomarcatore.

Forse non lo sapevi ma per lungo tempo la diagnosi definitiva del morbo di Alzheimer è stata possibile solo post-mortem, ovvero dopoché la malattia aveva fatto il suo corso conducendo al decesso chi ne soffriva.

Le ricerche più innovative si sono concentrate sui marcatori biologici, ovvero molecole, proteine o altre sostanze biologiche collegate a diverse condizioni o patologie. Utilizzate come indicatori, l’analisi di questi biomarcatori hanno aiutato a prevedere e scovare con più precisione malattie come l’Alzheimer nelle persone ancora in vita: il limite, però, è che in realtà queste metodiche funzionano più per individuare le sue forme gravi e avanzate e distinguerle dai altri disturbi neurodegenerativi.

Tra i biomarcatori utilizzati nella diagnosi del morbo di Alzheimer avanzato, i principali sono tendenzialmente i grovigli della proteina tau (quella coinvolta nello sviluppo dell’Alzheimer) localizzati in due siti specifici chiamati p-tau181 e p-tau217.

Attraverso l’analisi del tessuto cerebrale di pazienti con Alzheimer deceduti, confrontati con quello di persone invece sane, i ricercatori americani sono andati alla ricerca di altri biomarcatori p-tau in grado questa volta di aiutare a diagnosticare il morbo di Alzheimer nelle sue fasi iniziali.

Sulla rivista ACS Chemical Neuroscience ne hanno descritto uno nuovo e apparentemente molto efficace. Si tratta di un groviglio tau, chiamato p-tau198, che potrebbe distinguere il morbo di Alzheimer da altre malattie neurodegenerative caratterizzate da grovigli tau ma, soprattutto, potrebbe aiutare differenziare il tessuto cerebrale dei pazienti con decadimento cognitivo lieve, un segno precoce dell'Alzheimer malattia, da chi invece non ne è colpito.

“Sia p-tau217, scoperto da altri gruppi di ricerca, sia il nuovo biomarcatore p-tau198 che abbiamo scoperto, hanno mostrato risultati promettenti per il rilevamento precoce della malattia nei nostri studi” hanno spiegato i ricercatori, sottolineando che una malattia a progressione lenta come l’Alzheimer offre una lunga finestra di opportunità per applicare l’intervento medico se siamo in grado di rilevare precocemente i cambiamenti”. 

Sebbene lo studio abbia esaminato il tessuto cerebrale di pazienti deceduti e quindi servano analisi più approfondite e precise su persone vive, i ricercatori sono convinti che il loro studio aumenti notevolmente la conoscenza delle caratteristiche molecolari e di localizzazione delle proteine ​​coinvolte nell’Alzheimer. “Questo un giorno potrebbero aiutarci a identificare quali tipi di i problemi possono svilupparsi nel cervello prima che facciano altrettanto danno”.

Fonte | "Site-Specific Phospho-Tau Aggregation-Based Biomarker Discovery for AD Diagnosis and Differentiation" pubblicata il 9 novembre 2022 sulla rivista ACS Chemical Neuroscience

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