
Ho una notizia cattiva e una buona per te. Nonostante il continuo miglioramento delle conoscenze mediche e delle tecniche chirurgiche, l’appendicite acuta costituisce, ancora oggi, una delle più frequenti emergenze chirurgiche. Questa era la notizia cattiva, quella buona – fortunatamente – è che l'incidenza dell'appendicite acuta (cioè il rischio di sviluppare la malattia) è in netta diminuzione dagli anni ’40, forse per le migliori condizioni alimentari, in particolare per quanto riguarda le diete ad alto contenuto in fibre che sembrerebbero proteggere dalla malattia.
L’appendicite è l’infiammazione, solitamente improvvisa (acuta) dell’appendice: un organello cavo e allungato di circa 5-10 cm, a forma di "vermiciattolo" (in medicina si dice appunto “vermiforme”), che si trova in basso e a destra dell’addome (fossa iliaca destra), al di sotto della valvola ileo-cecale (la valvola si trova al punto di passaggio fra l’intestino tenue e la prima parte del colon) e che contiene tessuto linfatico.
La posizione dell'appendice non è sempre e solo questa: l'organo può svilupparsi in diverse direzioni (come ad esempio in basso, verso il bacino, o in alto, verso la colecisti e il fegato) e questo rende conto dei diversi tipi e sedi del dolore e della necessità di escludere altre malattie che potrebbero mimarne i sintomi.
L'appendicite acuta è una malattia tipicamente della giovane età (anche se ciò non esclude l'insorgenza negli anziani o addirittura nella vita prenatale), e il rischio di svilupparla è simile sia nelle femmine sia nei maschi.
La causa dell’appendicite è solitamente l’ostruzione della cavità dell’organo da parte di diverso materiale che, accumulandosi al suo interno e non riuscendo a fuoriuscirne, provoca la continua secrezione di muco, proliferazione di batteri, produzione di pus, infiammazione delle pareti e aumento della pressione al suo interno fino anche a comprimere i vasi sanguigni dell'organo con conseguente diminuzione dell’afflusso di sangue (ischemia) e morte delle cellule della parete (appendicite gangrenosa – l'ultimo stadio dell'appendicite acuta).
Il materiale che può provocare l'ostruzione e l'infiammazione dell'organo può essere di diversa origine e composizione:
Se il processo infiammatorio non viene arrestato, si potrebbe rischiare la perforazione della parete dell’appendice e il pus o i residui fecali potrebbero riversarsi all’interno dell’addome con una conseguente peritonite (l’infiammazione della sierosa che riveste gli organi addominali e la cavità addominale) o un ascesso periappendicolare localizzato, come tentativo dell’organismo di arginare l’infiammazione.
Entrambe le situazioni sono condizioni molto pericolose e vanno tempestivamente trattate per il rischio di sviluppare sepsi, grave disidratazione, insufficienza multiorgano e infine la morte.
I sintomi dell’appendicite e la tipica sequenza temporale degli stessi (prima il dolore vicino all'ombelico o sotto lo stomaco, e poi nausea e vomito) purtroppo, sono ben riconoscibili solo nella metà dei casi, circa, nel resto delle circostanze la presentazione clinica può essere vaga e fuorviante.
I sintomi iniziali comprendono solitamente la perdita di appetito (una persona che ha fame non ha l'appendicite acuta) e il dolore addominale, anche se la presenza di altri sintomi e la loro intensità dipende dall'esatta posizione dell'appendice, dal grado di infiammazione e dal quadro clinico generale della persona. E' per questo che ogni caso va studiato singolarmente.
Esiste la possibilità di un'"appendicite silente", che non si manifesta chiara e eclatante come vorrebbe il chirurgo, ma con sintomi aspecifici, tipici cioè anche di altre malattie e che quindi potrebbero confondere il quadro, o potrebbero catturare l'attenzione su malattie di altri organi (come ad esempio malattia infiammatoria pelvica acuta, gastroenterite acuta, infezioni delle vie urinarie, gravidanza extrauterina, diverticolite acuta, pancreatite acuta, colecistite acuta). Altre volte è la persona stessa che è indotta a pensare ai suoi sintomi come la conseguenza di qualche "colite" o "influenza intestinale" e ad assumere farmaci spasmolitici o antidolorifici: questo non fa altro che mascherare i sintomi sottostanti e a ritardare la diagnosi e l'intervento chirurgico, due evenienze da evitare come la peste (la mortalità nell'appendicite non perforata è dello 0,1%, nella perforazione è del 3% e 15% negli anziani).
Purtroppo, 1 caso su 5 di appendicite viene diagnosticato male a causa della variabilità della posizione dell’appendice, del grado di infiammazione, dell’età della persona e dalla presenza di sintomi poco indicativi.
La diagnosi di appendicite acuta deve essere posta il più presto possibile per procedere all’intervento chirurgico e scongiurare la perforazione e la peritonite che sono associate a una più alta mortalità rispetto ai casi non perforati.
Non esiste un vero e proprio test per l’appendicite e neanche dei risultati dei test di laboratorio specifici solo per essa.
La diagnosi si basa sulla raccolta di diversi dati, sull’esame fisico, i test di laboratorio, l’ecografia e in alcuni casi la TAC.
L’intervento chirurgico di asportazione dell’organo è la cura risolutiva per l’appendicite e si chiama appendicectomia. L'appendicectomia si può eseguire in via laparoscopica (facendo 3-4 piccoli buchetti nella parete addominale attraverso cui entreranno gli strumenti chirurgici), o per via laparotomica (aprendo la cavità addominale) nei casi di appendicite complicata. Entrambe le tecniche sono svolte in anestesia generale.
Solitamente l’età media in cui si procede all’asportazione chirurgica è di 22 anni. Le complicanze dell’intervento si presentano nel 4-15% dei casi.
Fonti| ISS – Istituto Superiore di Sanità; Medscape; Harrison "Medicina Interna", McGrawHill ed. 2005