Leggi della bellezza - sessualizzazione atlete

Aspetto fisico e sessualizzazione delle atlete: in campo le sportive sono solo “corpi”

Pugni in testa, calci nel sedere, inutile spettacolarizzazione del loro corpo con divise minuscole. Alcuni allenatori si sono permessi di trattare le atlete come fossero bambine indisciplinate, come fossero solo bei fisici da mostrare ma da tenere a bada. In un ambiente come quello sportivo in cui i corpi sono i protagonisti della scena, il rischio a cui porta la cultura patriarcale è quello di commentare l’estetica al posto della performance. Il risultato sono comportamenti sessisti e, soprattutto in passato, violenti.
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Rubrica a cura di Evelyn Novello
11 Aprile 2024
Intervista a Luisa Rizzitelli, presidente Assit, e Stefania Passaro, ex cestista

Donne considerate oggetti, professioniste considerate solo corpi. La bellezza, in particolar modo nel mondo femminile, è un'arma a doppio taglio. Già dalla seconda metà del ‘900, con l'affinarsi delle tecniche di marketing del mercato del beauty e dell'estetica, essere "belle" secondo i canoni sociali rappresentava una marcia in più, anche nel lavoro. Il valore di una donna era (in parte, è) proporzionale a quanto rispecchiasse le "leggi della bellezza" in vigore in quel periodo storico e il raggiungimento di tale traguardo era il discrimine per poter accedere a un ruolo, per essere presa sul serio, per aver diritto ad accaparrarsi una fetta di potere che rimaneva in gran parte in mano agli uomini.

Lo aveva spiegato bene già negli anni '90 Naomi Wolf ne "Il mito della bellezza" in cui parlava della "qualifica professionale della bellezza", una sorta di abilità, una skill che veniva richiesta alle donne in ogni ambito lavorativo. Trattandosi a tutti gli effetti di un requisito, veniva discriminata una donna senza un corpo perfetto ma, alla fine, anche chi ce l'aveva, perché diventava unicamente un oggetto sessualizzato. Le capacità professionali passavano in secondo piano, non è questo ciò che si richiedeva alle donne.

E cosa dovremmo dire, allora, di quelle professioni in cui è proprio il corpo in primo piano? Pensiamo alle atlete, ad esempio. Lavorando grazie alla loro prestanza fisica, ogni parte corporea delle sportive professioniste è costantemente sotto giudizio e risulta difficile, per un occhio condizionato alla cultura patriarcale, scindere la bravura oggettiva dai commenti puramente estetici. Negli anni la mentalità è un po' cambiata, oggi molte frasi sessiste vengono condannate pubblicamente, ma fino a non tanto tempo fa, la discriminazione a cui dovevano sottostare le atlete era molto forte e considerata socialmente accettabile.

sessualizzazione atlete

In questa ultima puntata de "Le leggi della bellezza", concludiamo il nostro percorso nell'analisi del rapporto tra bellezza e potere con la storia di chi nello sport c'è vissuto e ci ha lavorato: Luisa Rizzitelli, presidente Assist, Associazione Nazionale Atlete, e Stefania Passaro, ex cestista italiana che ha giocato in Serie A (Comense e Vicenza) e in Nazionale italiana.

In campo solo corpi

Stefania Passaro ha giocato in molte squadre importanti di basket. Lo scarso valore delle atlete, se confrontato con quello dei colleghi uomini, era palese, dagli allenamenti alle partite ufficiali, fino alle ospitate in tv. "Negli anni 80 avevo poco più di 20 anni – ci racconta. – Giocavo nello Zolu Vicenza, la squadra più forte d’Europa. All'ennesima vittoria di Coppa Campioni mi ricordo che fummo invitati dalla Rai a Tg l'una, ero vestita molto bene, elegante. Appena la regista ci ha visto, ci ha chiesto perché non fossimo vestite con calzoncini e maglietta. Avevamo giocato la sera prima quindi i vestiti erano ancora sporchi, ma comunque essendo in un salotto televisivo ci sembrava più appropriato indossare altro. Ci hanno obbligato a metterci la nostra divisa ancora sudata e stropicciata e, appena iniziata l’intervista, il conduttore ci ha fatto alzare in piedi così che la telecamera potesse riprenderci dalla testa ai piedi in modo tanto ravvicinato che se avessimo avuto dei peli si sarebbero visti. È stato molto umiliante".

I metodi erano cruenti. Era normale essere sgridate e insultate.

Stefania Passaro

Il minor valore delle donne passa da questi dettagli, ma passa anche da forme di violenza fisica che derivano da un potere che per tradizione è sempre stato in mano agli uomini. "Chiamavano il time-out per darci pugni in testa e calci nel sedere – ci confessa. – Nel mio sport ma anche negli altri, gli allenatori erano sempre maschi, anche nelle squadre femminili, perché si pensava che solo loro avrebbero avuto polso con le donne. I metodi erano cruenti. Era normale essere gridate, insultate. Gli allenatori "dovevano avere polso" dicevano, se no non ci saremmo concentrate".

sessualizzazione atlete

Ma non solo sopraffazione fisica. Quando le donne sono considerate più stupide, emotivamente instabili e indisciplinate, qualsiasi allusione all'aspetto sessuale è consentito. "Quando ero appena arrivata in serie A – spiega – l’allenatore teneva un diario delle nostre mestruazioni. Questo perché, se giocavamo male, non potevamo addurre come scusa due volte al mese di avere le mestruazioni. Ricordo, poi, una mia amica che aveva il primo fidanzato e, durante una partita, ha sbagliato tiro. L’allenatore di fronte a tutti le ha chiesto urlando se non stesse pensando a quello che aveva in "mezzo alle gambe la sera prima", tra gli sghignazzamenti di tutto il pubblico".

Il sistema valoriale era questo, andarci contro voleva dire rischiare di bruciarsi la carriera. "All’epoca io passavo per la sindacalista della serie A e venivo bollata come problematica. Ho sempre lottato per i diritti delle sportive, per avere i contributi e lo stesso guadagno degli atleti uomini. Le ex atlete che ora si trovano ai sommi vertici hanno paura a criticare chi ha permesso loro di arrivare dove sono e, così facendo, continuano a non difendere gli interessi delle altre. L’atteggiamento comune è che bisogna coprire gli errori degli altri allenatori" conclude l'ex atleta.

Sessualizzazione delle atlete

La presidente di Assist, Associazione Nazionale atlete, Luisa Rizzitelli, ha da anni a che fare con discriminazioni di questo tipo e si batte per sensibilizzare su un rispetto delle professioniste in quanto tali. "C’è un bruttissimo vizio nella comunicazione dei match delle atlete – ammette – raccontarli da un punto di vista sessuale. Quando abbiamo davanti un’atleta o una campionessa, la prima cosa che dovremmo fare è evidenziare il suo valore atletico e sportivo e invece si indugia puntualmente in un racconto del suo corpo".

Lo scopo è sempre stato quello di compiacere lo sguardo maschile.

Luisa Rizzitelli

La narrazione tossica più evidente è nei media, tanto nello scritto quanto nella telecronaca televisiva, in cui, alcuni giornalisti ricadono ancora in becere battute sessiste. "Ci ritroviamo nel 2024  a dover spiegare che se racconti le gesta di una grande atleta non ha senso di parlare del suo lato b – commenta Rizzitelli – Avrei moltissimi esempi. Mi vengono in mente i commenti volgari che ha ricevuto una nuotatrice che aveva appena vinto una medaglia d'argento olimpico solo per una foto postata sui social, il vergognoso articolo sulle "Cicciottelle di Rio" parlando delle atlete arrivate quarte alle Olimpiadi, pagine intere dedicate alle unghie di jamaicane, trascurando il fatto che correvano 100 metri in circa 10 secondi. Ma potrei continuare".

sessualizzazione atlete

Ne era vittima negli anni '80 Stefania Passaro, ne è stata vittima Linda Cerruti l'anno scorso, con la differenza che tempo fa questa mentalità era considerata "normale" e non degna di disapprovazione o proteste. Molti passi in avanti sono stati fatti ma alcuni strascichi rimangono, anche in dettagli che in apparenza passano inosservati, le divise, ad esempio. "Non vogliamo che le atlete siano obbligate a indossare un indumento succinto – conclude Rizzitelli – va lasciata loro la libertà di poter indossare anche pantaloncini più lunghi e indumenti più coprenti. Io stessa ho giocato molto a pallavolo e se avessi potuto indossare un pantaloncino a mezza gamba sarei stata più a mio agio. Lo scopo, d'altronde, è sempre stato quello di compiacere lo sguardo maschile".

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Dalle campagne novaresi sono approdata a Milano per immergermi nel mondo della comunicazione e per alimentare quella passione per la scrittura altro…