Sentirsi donna ma non sembrarlo abbastanza. I corpi delle persone transgender, nella mentalità più bassa e becera, sono difettati, mancanti di qualcosa, una sorta di devianza dallo standard uomo-donna a cui siamo stati abituati. Chi soffre di disforia di genere (definita dall'Istituto Superiore di Sanità come la "persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso biologico") deve combattere ogni giorno contro una parte di sé, quella estetica, che non rispecchia chi si è nel profondo. La transizione (il percorso per arrivare a vivere pienamente il genere in cui ci si identifica) dovrebbe essere quel momento liberatorio e gioioso che porta la persona a viversi finalmente il corpo e a riconoscerlo come parte della propria identità, peccato che omotransfobia e patriarcato fanno di un'emancipazione un ulteriore momento di sofferenza.
Nelle scorse puntate de "Le leggi della bellezza" abbiamo parlato dell'oppressione sistemica subita dalle donne, spesso deumanizzate e considerate unicamente corpi, oggetti inanimati a disposizione dell'uomo. Ecco, le donne transgender si collocano ancora più in basso nella scala patriarcale, perché, per quanto cerchino di adattare e modificare le loro sembianze, non saranno mai considerate "veramente" donne. La centralità del corpo ritorna e ci ricorda che, nonostante esso sia parte integrante di noi, dai più è considerato solo contenitore di un nulla che non merita rispetto o diritti di ogni sorta.
Questo spesso lo provano le donne cisgender (donna la cui identità di genere coincide con il genere assegnato alla nascita) quando subiscono catcalling, quando vengono molestate in ufficio per una gonna troppo corta oppure quando non vengono prese sul serio in ambienti lavorativi perché considerate troppo frivole, ma per le donne trans significa non trovarlo proprio un lavoro, non riuscire a prendere una casa in affitto e, per la strada, vedersi additate come prostitute.
Questa è la storia di Penelope Agata Zumbo, 32 anni, di origini siciliane ma trapiantata a Milano per fuggire da una mentalità chiusa e non incline all'accettazione del diverso. Penelope, come tante altre donne trans, è il simbolo del coraggio, della lotta per l'affermazione della propria identità, valori che spesso devono scontrarsi con una violenza multiforme e con una penalizzazione in diversi ambiti che provano a chiuderla in un'ulteriore gabbia, simile a quella che la imprigionava prima della transizione. Qui ci racconta uno spaccato del suo vissuto di cui, nonostante le difficoltà, è orgogliosa portatrice. Perché, comunque, dopo la disforia di genere arriva l'euforia.
Nonostante fossi nata maschio, la mia identità di genere mi era chiara da quando ero bambina perché ingenuamente dicevo che ero femmina. Quando ho notato che la mia risposta creava disagio, ho iniziato a trattenermi. Ho capito che alcuni aspetti di me dovevo limitarli, fino alla transizione, che per me è stata una salvezza.
Ho intrapreso la transizione a 28 anni ma anche prima non mi socializzavo come uomo, ma era solo un'illusione, avevo paura. Preferivo annullarmi e usare un nome neutro piuttosto che rischiare un linciaggio sociale. Ho sempre represso la mia libertà e la mia femminilità perché sapevo la doppia discriminazione a cui sarei andata incontro.
Le donne trans subiscono una maggiore discriminazione perché si devono confrontare con la pressione che le donne, tutte, subiscono sul loro corpo e, in contemporanea, con quella di dimostrare costantemente di essere "davvero" una donna. Al contrario delle donne cisgender, però, noi se anche siamo esteticamente perfette e, nonostante la rettifica dei documenti al femminile, troveremo qualcuno che metterà in discussione il nostro genere confondendolo con la biologia. Spesso andremo bene solo come pezzi di carne da sessualizzare.
Se già una ragazzina cis viene guardata in un certo modo, una ragazzina trans per gli uomini sembra ancora più facile da conquistare e da molestare. Non posso nemmeno prendere un autobus senza essere molestata perché, a causa del mio aspetto, la società mi attribuisce un ruolo, cioè quello di un oggetto sessuale. Abbiamo già a che fare con persone che sessualizzano il corpo femminile, ma, da trans, camminare per strada equivale a essere un bersaglio. Nessuno sa quanto è difficile uscire di casa cercando di essere finalmente te stessa, devi avere la forza e qualcuno al tuo fianco che ti sostiene. Il mondo pretende tutto da te e non ti dà niente, se non quello che non vuoi.
La radice è storica. Le persone trans hanno subito da sempre un processo di invisibilizzazione e marginalizzazione parallelo ad altri gruppi come le persone nere o le persone disabili, questo perché si tratta di corpi non sono conformi al prototipo sociale dominante dell'uomo bianco etero cisgender abile. Io tuttora faccio fatica a trovare una casa così come ho fatto fatica a trovare un lavoro perché il mio corpo è associato alla prostituzione.
A primo impatto il motivo può essere estetico perché il mio aspetto non è esattamente conforme al mio genere, ma perché conta l’estetica per trovare una casa? Se sono corretta, affidabile, ho un lavoro, cosa importa del mio aspetto? Ogni persona che ti valuta e ti nega delle opportunità, che sia una casa o un lavoro, ti sta dicendo che non devi esistere. La persona trans non è nemmeno vista come un essere umano, è un oggetto, e in quanto oggetto può essere trattata come meglio si creda. Questo a volte è devastante perché la transizione dovrebbe servire per liberarsi da un corpo che non ti appartiene, ma così entri in un’altra gabbia. La società ci vuole morte e, se le dessimo ascolto, non saremmo qui.
I riferimenti culturali di questo governo non fanno altro che peggiorare la condizione delle donne, tutte. Se la politica ricorda che una donna ha come unico ruolo sociale quello di essere moglie e madre, tutti i corpi femminili perdono di umanità. Le idee che il patriarcato ci ha instillato da anni si stanno rafforzando. Lo Stato non mi fa sentire persona. Vengo definita teoria gender, cosa posso aspettarmi di buono?
Tempo fa si stava pensando a una legge contro l'omotransfobia, ora che è stata affossata, chiunque si sente più legittimato a farmi violenza. A questo punto è possibile che chi soffre di disforia di genere possa pensarci due volte prima di intraprendere una transizione perché non tutti hanno le forze, la capacità o la voglia di sottostare a queste norme sociali. E queste cose le abbiamo già viste, le leggi razziali sono nate così.
Mai. Nonostante tutti i lati negativi, la felicità dell’essere una persona transgender e l’euforia che si prova a essere finalmente sé stessi sono impagabili. Vorrei che nessun'altra persona si debba bloccare per la paura di affrontare questo percorso perché la vita è una e l’affermazione dell'identità è una festa. Prima il mio corpo non esisteva, cercavo di nasconderlo, adesso è un viaggio, lo vivo con serenità, lo ascolto e sono connessa con lui. Spesso mi guardo e combatto ancora contro la disforia, ma sono consapevole che tutti i corpi sono degni e vanno rispettati, incluso il corpo transgender che ha sempre un valore perché contenitore di un essere umano. Quando ho momenti bui cerco di ricordarmi questo.