Quante volte ti guardi allo specchio prima di uscire di casa? Quanto tempo sprechi a pensare a cosa indossare per un colloquio di lavoro? E quante volte ti sei sentita in imbarazzo perché quella gonna era troppo corta o non avevi tolto ogni singolo pelo dalle gambe? Quando parlo di "leggi della bellezza" intendo il monitoraggio continuo che siamo portati a fare sulla nostra estetica, come se il nostro corpo fosse un fardello che ci portiamo appresso, un oggetto da curare e preservare come si fa con i soprammobili. Senza rughe, perché le donne non devono invecchiare, senza peli, perché le donne rimangono bambine, e senza occhiaie perché le donne non devono essere stanche. Se sei sciatta sei inaffidabile, se sei troppo curata vuol dire che sei un po' frivola, e magari quel posto di lavoro non te lo sei guadagnato proprio solo con le tue capacità.
Il corpo femminile è un'entità inanimata a sé stante alla mercé del pensiero altrui, un tiro al bersaglio pubblico su cui ogni passante può scagliare la sua freccia giudicante. In questa rubrica parleremo di canoni di bellezza e delle discriminazioni che ne conseguono, di sessualizzazione delle donne e dei diritti che ogni corpo merita di avere a prescindere da come appare. Apriamo oggi la prima puntata con il pensiero di una grande filosofa contemporanea, Maura Gancitano, che ci spiega non solo quanto la bellezza sia influente nella società in cui viviamo ma anche da dove e perché sono nati i modelli a cui, nel corso della storia, tutti i corpi sono dovuti corrispondere per essere giudicati "belli" e, quindi, meritevoli di esistere. Tra rappresentazioni femminili sempre uguali nelle riviste, nella pubblicità e nei mass-media, siamo insicure, timorose e finiamo per giudicarci più pezzi di carne da abbellire che esseri viventi senzienti. Ma per uscire da questo meccanismo, il primo passo è rendersene conto.
Te ne sarai accorta, la comunicazione e il marketing continuano a propinarci la stessa rappresentazione della donna, sempre corrispondente agli stessi criteri, sempre uguale a sé stessa perfino nei lineamenti del viso. Di per sé non è che sia un elemento negativo ma "lo diventa quando questi modelli univoci creano negli individui un senso di inadeguatezza e di dovere, quando diventano un diktat a cui tutti sentono di dover obbedire – spiega Gancitano – quando le persone hanno la sensazione che funzioneranno a livello sociale solo se rispetteranno questi criteri". Ma da dove nascono? I canoni attuali si sono formati intorno al 1830, quindi, quando iniziano a diffondersi in maniera massiva le immagini (pubblicità, riviste, cataloghi), e poi con la grande distribuzione dell'abbigliamento del 900 e la relativa pubblicità. "Il marketing ha fatto moltissimo – continua Gancitano – il modello estetico femminile è strettamente legato al mercato perché la spinta ad acquisti di beni e trattamenti parte essenzialmente dal senso di inadeguatezza, da un bisogno o dalla promessa di essere invidiato dagli altri".
La società di mercato ha sempre bisogno di proporre nuove insicurezze.
La spinta ai consumi femminili si ha soprattutto nel corso dell'800 quando le donne entrano nello spazio sociale. Iniziano a frequentare le università, luoghi di intrattenimento e culturali ed è proprio questo fatto che porta la società a "imprigionarle" in un'altra gabbia, quella della bellezza. "Per Naomi Wolf il "Mito della bellezza" nasce quando si allentano le coercizioni materiali – precisa la filosofa – Le donne erano ormai parte attiva della vita pubblica e quindi bisognava mettere in atto strumenti narrativi che ricordassero loro di non esagerare, di essere decorose, di stare al loro posto, di non perdere la femminilità. La società di mercato ha bisogno di proporre nuove insicurezze tuttora, e mai come adesso le giovani provano disprezzo, vergogna, giudizio, verso il loro corpo, cosa che accadeva molto meno alle scorse generazioni".
Se ti stai chiedendo perché stiamo parlando soprattutto di donne, nonostante ormai siano vittima del marketing e delle costrizioni estetiche anche gli uomini, la spiegazione sta nel fatto che a padroneggiare le arti visive, e quindi a diffondere le prime immagini di corpi, sono stati da sempre gli uomini. La rappresentazione delle donne è dipesa dallo sguardo maschile fin dall'antichità e quando, in tempi più moderni, le artiste hanno iniziato ad autorappresentarsi, molto spesso lo fanno in modo molto diverso da come tradizionalmente sono state rappresentate dagli uomini. "Le riviste sono state scritte e dirette da uomini, gli unici ad avere potere economico per moltissimo tempo, e la scienza, dal canto suo, vedeva il corpo della donna come strano, misterioso, sporco, inferiore. Tutto ciò ha influenzato la rappresentazione femminile e la sua oggettivazione. Le donne erano concepite unicamente come oggetti sessuali e questo le ha spinte a vedersi allo stesso modo, si sono create così la sessualizzazione e l'autoggettivazione" precisa Gancitano.
Forse ti dirai che, tutto sommato, tenere al proprio aspetto fisico fa parte della cura di sé. Ma proviamo ad analizzare cosa c'è dietro alle diverse abitudini che ci accompagnano ogni giorno, dal make-up, alla manicure, alla piega. Lo fai davvero solo per te o perché ti è stato insegnato che è giusto farlo? "Quello che accade realmente è che le donne sono educate fin da bambine a comportarsi in modo consono, a mostrarsi al pubblico, a parlare, a mangiare e a camminare – chiarisce l'esperta – Questa serie di regole comportamentali porta le ragazze a monitorarsi continuamente anche nell'estetica. Oggi in media lo si fa ogni 30 secondi e non è una cosa naturale, non accadeva in passato. Il fatto che le donne prima di una presentazione, di un colloquio di lavoro, di un esame universitario, pensino molto di più degli uomini a quale sarà il loro aspetto è un'interferenza continua e una questione culturale". Insomma, siamo educate ad avere paura del giudizio.
L'aspetto incide in tutti gli ambiti della vita e certi caratteri umani sono associati a valori negativi.
Il monitoraggio corporeo, poi, non è mai indice di garanzia di apprezzamento. Ogni cosa avrai indosso sarà sempre soggetta a critiche. "Se esageri nella cura sei frivola, non sei credibile come professionista, ma se sei trascurata, o grassa, sei anche inaffidabile. L'obiettivo non è tanto quello di apparire al meglio ma quello di trovare il giusto mezzo, devi essere piacevole ma decorosa, elegante, raffinata ma non troppo, perché in gioco non c'è solo il giudizio estetico ma anche morale. L'aspetto incide in tutti gli ambiti della vita e certi caratteri umani sono associati a valori negativi" conclude Gancitano. Ecco, quindi, che non stiamo parlando solo di questioni meramente estetiche, imposizioni a cui ogni donna può sottostare o meno, ma si tratta anche di discriminazioni. Rispecchiare i canoni estetici significa anche essere una donna seria, professionale e degna di avere un posto in società, cosa che accade molto meno per gli uomini perché a loro si chiede, banalmente, solo di essere bravi nel loro lavoro.
Dalla sua nascita sulle copertine delle riviste patinate e, più avanti, nelle trasmissioni tv, il canone estetico ci circonda e trova la sua dimensione ideale sui social e, chiaramente, negli occhi di ognuno di noi. La rappresentazione visiva ci circonda e continua a educare il nostro sguardo.
Il corpo delle donne è continuamente sotto una lente di ingrandimento e il marketing non fa che ricordarcelo. Le cosce sono troppo grosse? Hai la cellulite? Hai la ricrescita bianca? C'è una soluzione per ogni tuo problema e prodotti per ogni portafoglio e se non li compri sei svogliata, ti trascuri. Rispondere al canone estetico, quindi, può essere una fortuna ma più generalmente è frutto di attenzione e dedizione e l'impegno in termini di energia mentale, denaro e tempo non è indifferente.
Siamo noi il peggior giudice di noi stesse.
Ma a livello psicologico cosa ci accade? "Al di là delle opinioni personali, ci sono studi che dimostrano che l'oggettivazione c'è e ha delle conseguenze. Le donne, reputandosi oggetti, suddividono il loro corpo in pezzi e li giudicano come giusti o sbagliati, rispondenti a un ideale o inadeguati. Se hanno paura di essere guardate e giudicate, può essere ci pensino due volte prima di prendere una decisione in qualsiasi ambito. Ma ci sono ripercussioni anche più gravi come una difficoltà di percezione dei segnali del corpo, autolesionismo, disturbi del comportamento alimentare, ecc. Questo meccanismo fa sì che siamo noi il peggior giudice di noi stesse" precisa la filosofa.
Ma quindi, possiamo ancora parlare di bellezza? Questa rubrica non vuole demolire completamente il senso della bellezza, l'essere umano ne è attratto sin dall'antichità e non smetteremo certo ora di ammirare l'estetica delle cose. Ma proprio cogliendo il paragone con i tempi passati, la bellezza è sempre stata il desiderio di scoprire qualcosa di sorprendente, che ci scuote, che esce dall'ordinario, quindi quello che possiamo fare ora è "chiederci se ciò che definiamo bello lo è perché rientra in certi canoni ed è privo di imperfezioni o perché esce dai canoni e proprio per quello trasmette un'energia particolare? Nella filosofia la bellezza è sempre stata qualcosa di straordinario, non di convenzionale" conclude Gancitano. E allora, continuiamo ad ammirare la bellezza, ma quella vera, quella che sa di unico, di imprevedibile e di relativo. Quando avremo fatto ciò, scopriremo che non sarà obbligatorio assumere certe caratteristiche per essere apprezzate perché l'unica che conterà sarà essere noi stesse.