Cannabis terapeutica: le storie di chi non ne trova più in commercio

Le pratiche qui descritte non sono accettate dalla scienza medica, non sono state sottoposte a verifiche sperimentali condotte con metodo scientifico o non le hanno superate. Queste informazioni hanno solo un fine illustrativo.
La cannabis terapeutica in Italia è legale e dal 2014 viene anche coltivata nell’unico stabilimento che è autorizzato a farlo, vicino a Firenze. Ma la quantità messa in commercio è troppo poca e i malati hanno finito le scorte. Fra di loro, c’è chi sta pensando di mettere in atto una disobbedienza civile.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Giulia Dallagiovanna 29 Ottobre 2018

La cannabis terapeutica è una fitoterapia. In Italia si può prescrivere dal 2006, nel momento in cui ci si rende conto che i farmaci tradizionali non hanno più effetto. Dal 2014 una parte di quella che arriva nelle farmacie viene coltivata a Firenze, il resto lo si importa dall'Olanda, prenotandolo al ministero della Salute dei Paesi Bassi. Il costo è di milioni di euro all'anno, anche perché si tratta di cure sostenute interamente dal sistema sanitario nazionale. Nel 2018 sul mercato sono stati messi a disposizione 500 chili di prodotto. Ma non sono stati sufficienti e i malati di sla, sclerosi multipla e altre patologie non hanno trovato rimedi alternativi per mettere a tacere i sintomi del male che li affligge.

A luglio hanno inviato una lettera al ministro della Salute chiedendo che alle farmacie non fossero interrotte le forniture e che ai pazienti in cura potesse essere garantita la continuità della terapia. Quello che sottolineavano era che molti medici consigliavano di lasciar perdere la cannabis perché non se ne sarebbe trovata a sufficienza. Queste sono alcune delle storie di chi non può farne a meno:

Elisabetta Biavati

Elisabetta Biavati ha una cinquantina d'anni e abita vicino a Bologna. La sua storia l'ha raccontata a gennaio Carta Bianca su Rai Tre. È affetta da sindrome atassica cerebellare, una rara patologia neurodegenerativa che le provoca movimenti incontrollati e scoordinati degli arti, epilessia e soprattutto dolore in tutto il corpo. "Ti fanno male le mani, i capelli", ha raccontato, "a volte mi devo togliere tutti i vestiti, anche se siamo in pieno inverno perché mi sento bruciare tutto il corpo".

Prima di iniziare con la cannabis, si è curata per una vita con antinfiammatori e medicine a base di cortisone, fino a quando non è diventata farmaco resistente. Così è arrivata all'ospedale di Pisa dove ha iniziato con la nuova terapia e piano piano ha ripreso a uscire, ad avere rapporti sociali, insomma a vivere. Poi a novembre la cannabis aveva iniziato a scarseggiare e a gennaio 2018 le sue scorte erano finite.

Elisabetta vorrebbe semplicemente che fosse riconosciuto come farmaco e non confuso con sostanze a scopo ricreativo. Nel frattempo, perde peso e rischia di dover mettere un Peg, un sondino per la nutrizione.

Quando la terapia costa troppo

Sempre da Bologna arriva anche l'appello della madre di una ragazzina di 14 anni affetta da sindrome di Dravet. È una forma di epilessia che compare attorno al primo anno di vita e che non solo pregiudica i movimenti, ma anche lo sviluppo neurologico.

Come spesso accade, ha provato tantissime cure e poi ha iniziato una terapia a base di cannabis. In questo caso, il principio attivo utilizzato è stato il Cbd, il cannabidiolo, che ha proprietà antinfiammatorie ma nessun effetto stupefacente. I benefici già dai primi giorni sono stati notevoli, ma il problema è che la famiglia ha dovuto pagare le dosi di tasca propria. Si tratta di centinaia di euro al mese. La regione Emilia-Romagna infatti non ha inserito questa sindrome nell'elenco delle malattie mutuabili. La famiglia insieme al comune dove vive, Malalbergo, ha iniziato una raccolta firme per ottenere il supporto del sistema sanitario pubblico.

Fabrizio Pellegrini

La storia italiana più famosa legata alla cannabis terapeutica è forse quella di Fabrizio Pellegrini. Il 50enne abruzzese è un artista di strada che nell'estate del 2016 aveva dovuto scontare 50 giorni di carcere, diventati poi arresti domiciliari, per aver coltivato cannabis a uso medico. Da anni era affetto da fibromialgia, una malattia autoimmune che causa cefalea, disturbi del sonno, dolori e rigidità muscolare.

La terapia a base di cannabinoidi era l'unica in grado di attenuare il dolore, persino gli oppiacei avevano fallito. Così aveva fatto richiesta al sistema sanitario nazionale, ma i farmaci non arrivavano e Fabrizio non era in grado di pagarsi le cure importate dall'Olanda. Così, aveva iniziato a coltivarla per uso personale e soprattutto medico, ma la condanna definitiva gli ha imposto di passare due anni nel carcere di Chieti.

LapianTiamo

A Foggia i malati sono stanchi e hanno deciso di organizzarsi. Dal 2014 hanno costituito un'associazione, LapianTiamo, che raccoglie persone con lesioni al midollo, sla o altre patologie i cui sintomi necessitano di essere curati con cannabis terapeutica. Alcuni di loro ne fanno uso da vent'anni. Poi, da un paio, le scorte sono finite e le farmacie si sono ritrovate a dover scegliere a chi destinarla fra tutti quelli che ne avevano diritto.

Le loro storie le ha raccolte Nemo, trasmissione di Rai Due. Se lo Stato non riesce più a garantire la continuità terapeutica, vogliono pensarci da soli, piantando la canapa. Ogni malato stipulerà un contratto nel quale delega l'associazione a piantare per lui la quantità di cui ha bisogno. Se questo progetto andrà in porto, si tratterà di disobbedienza civile perché le coltivazioni devono essere autorizzare dal ministero della Salute. Ma, come dice uno di loro: "Le persone e i politici devono capire che non andiamo in giro a fumare spinelli per divertirci".