Quasi sicuramente hai almeno un amico o un conoscente che, quando andate in pizzeria, deve ordinare qualcosa di diverso perché non può assolutamente mangiare pane o pasta. La celiachia, infatti, è una malattia autoimmune molto frequente, tant’è che in Italia sono quasi 200.000 i malati diagnosticati, ma si stima che ce ne siano oltre 400.000 ancora senza riconoscimento clinico. Infatti, sebbene si tratti di un’infiammazione cronica, e quindi permanente, la celiachia non è un disturbo che si individua subito, e i suoi sintomi possono essere facilmente confusi o fraintesi prima di arrivare a una vera e propria diagnosi medica.
Ma di cosa si tratta esattamente? Quali sono i sintomi e le cause di questa fastidiosa reazione, e cosa deve mangiare una persona costretta a rinunciare alle principali fonti di carboidrati? Lo abbiamo chiesto a Luca Elli, gastroenterologo presso il Policlinico di Milano e docente a contratto presso la Scuola di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Milano.
Innanzitutto è bene sottolineare che la celiachia non è un’intolleranza, ma una malattia autoimmune che impedisce l’assorbimento di alcuni nutrienti presenti negli alimenti. Si scatena in alcuni individui che hanno un fattore genetico noto e in presenza di alimenti contenenti glutine, una proteina contenuta in orzo, grano e segale. L’insieme di questi fattori, quindi quello genetico e la presenza di glutine, porta allo sviluppo di questo disturbo autoimmune caratterizzato dalla presenza di anticorpi circolanti e alla atrofia della mucosa della prima parte del piccolo intestino. In altre parole, la mucosa del piccolo intestino presenta delle specie di piccoli tentacoli, chiamati villi, che servono ad assorbire quello che noi mangiamo. Nel caso della celiachia, questi tentacoli si accorciano fino a scomparire completamente e quindi la mucosa diventa atrofica e può causare tutti i sintomi caratterizzanti la malattia.
Dunque, il quadro clinico è molto vario. Quello definibile come “classico” è caratterizzato principalmente dalla presenza di sintomi intestinali, ad esempio diarrea, mal di pancia, gonfiore, calo ponderale, costipazione o anche nausea e vomito. Ma ci sono però anche dei quadri in cui il sintomo intestinale è poco espresso se non del tutto assente, e ne emergono altri più preponderanti, come anemia, osteoporosi, difficoltà nel concepimento e infertilità, poliabortività. Purtroppo, dal momento che il quadro clinico è estremamente vario e spesso non è nemmeno di pertinenza strettamente gastrointestinale, la celiachia risulta essere ancora adesso una malattia molto sotto-diagnosticata.
Effettuare una diagnosi di celiachia è una procedura abbastanza semplice, come screening infatti solitamente è sufficiente un esame del sangue, chiamato anti-transglutaminasi. Poi eventualmente viene chiesta una conferma diagnostica con una biopsia intestinale, anche questa piuttosto agevole sebbene sia invasivo perché fatto con la gastroscopia. Per quanto riguarda la diagnosi nei bambini, esiste una procedura apposita. Nonostante effettuare una diagnosi sia una procedura così agevole, la malattia rimane sotto-diagnosticata, tant’è che per un celiaco diagnosticato ce ne sono 4-5 che invece non sanno di esserne affetti, e questo rappresenta un problema. A volte inoltre alla celiachia si possono associare altre malattie autoimmuni, come la tiroidite o il diabete, sviluppate dal paziente in contemporanea alla celiachia.
L’unica terapia di fatto attualmente possibile attualmente è la dieta priva di glutine. Una volta che si ha una diagnosi certa, si comincia a seguire questo regime alimentare, che deve essere cronico e attento. La dieta senza glutine ristabilisce l’equilibrio perduto, risolve i sintomi, normalizza l’alterazione ematologica e aiuta l’intestino a ricreare i villi e quindi a tornare a una normale funzionalità.
Nella dieta senza glutine vanno tolti tutti i derivati o gli alimenti che contengono frumento, segale, orzo e avena. Non si possono quindi mangiare la pizza, il pane e la pasta, e nemmeno bere la birra, mentre si possono mangiare tranquillamente carne, pesce, riso, mais e latticini. Il problema di questo tipo di dieta non è di tipo clinico, dal momento che non presenta effetti collaterali, ma è piuttosto un problema sociale, dal momento che si tratta di alimenti molto presenti nella cucina occidentale in particolare in contesti di convivialità.