Clownterapia: indossare un naso rosso per regalare un sorriso in una stanza di ospedale

Sei abituato a immaginare i clown alle feste di compleanno o sulle insegne del Mc Donald’s. Eppure, ci sono persone che indossano parrucca e naso rosso anche per fare volontariato e strappare un sorriso a chi si trova in una condizione difficile. Sono i clownterapeuti.
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Rubrica a cura di Sara Del Dot
19 Febbraio 2019

Un camice colorato e un naso rosso possono portare un malato fuori dalle mura dell’ospedale. Anche solo con la mente. Anche solo per qualche minuto. La clownterapia è una disciplina basata sul sorriso, sul contatto e sulla voglia di fare bene e stare bene. E no, non ha nulla a che vedere con trapezi, palline lanciate in aria e torte in faccia. Si tratta semplicemente di un modo fantasioso per abbattere le barriere che separano volontario e paziente. È così per Francesco Bergamaschi, che ha 46 anni e ormai da 12 trascorre due weekend al mese tra le corsie di ospedali e case di riposo. Francesco si è informato sulla disciplina subito dopo aver visto il film Patch Adams, il medico “inventore” della terapia del sorriso. Grazie all’associazione Vip Italia Onlus (Viviamo In Positivo), ha scoperto il mondo della clownterapia, e adesso non può più farne a meno. Quando indossa cappellino e naso rosso, Francesco diventa Bignè, un clown specializzato in camminata sul filo. È lui a raccontarci che questa disciplina è molto più di ciò che si potrebbe pensare.

Che cos’è la clownterapia?

La clownterapia è un’attività di volontariato che ha l’obiettivo di far stare un po’ meglio le persone ricoverate in ospedale o in casa di riposo. Per quei pochi minuti che si trova con il paziente, il clown ha il compito di aiutarlo a distogliere l’attenzione dalla malattia, facendolo ridere, sorridere o anche solo tenendogli la mano. Non è necessario fare il giocoliere o acrobazie, perché la clownterapia si basa completamente sull’improvvisazione. Ogni cosa nella stanza può diventare qualcos’altro, basta usare la fantasia. Il ruolo della figura del clown è quello di intermediario tra il volontario e la persona malata. Prova a pensarci: se io, come estraneo, ti abbracciassi senza motivo, penseresti che sono matto. Mentre se ti abbraccio vestito da clown, magari mi eviti comunque, ma è più probabile che abbassi le difese perché ti sto comunicando il motivo per cui lo faccio, che è, appunto, portare un sorriso. Soprattutto i bambini, quando capiscono che non sono un medico si sentono molto più tranquilli.

Come reagiscono le persone quando arrivano i clown?

Naturalmente non è sempre facile entrare in empatia con l’ospite o con i suoi familiari. Spesso ci lasciano entrare senza problemi, altre volte si rifiutano, altre volte ancora sono inizialmente restii ma poi si lasciano andare e arrivano addirittura a sfogarsi con noi, ci parlano della malattia con cui hanno a che fare, anche se il nostro non è un volontariato di ascolto, anzi, è tutto il contrario. Il clown arriva in ospedale per non farti pensare alla problema che hai, deve portarti lontano dalla malattia, farti pensare a cose belle, che stia con te 5 minuti oppure 20. Io non ho idea della malattia che hai, non lo chiedo, non è mio compito saperlo, io ti ci devo portare lontano.

Come funziona una “seduta”  di clownterapia?

Ovviamente dipende da chi ti trovi davanti, da come è fatta la stanza e da tutta una serie di fattori. Per questa ragione è una disciplina basata sull’improvvisazione, e infatti noi clown due volte al mese abbiamo degli incontri obbligatori in cui ci alleniamo a gestire le varie situazioni, improvvisando una gag, inventandoci storie.. Tieni presente che nessun clown opera da solo. Siamo sempre in coppia, perché non essendo figure mediche non è detto che siamo in grado di gestire qualsiasi tipo di situazione. Comunque, una volta in ospedale ti arrangi con quello che c’è. Un pavimento azzurro può diventare il mare, su cui navigare o di cui avere paura, le stampe dei cartoni animali sui muri possono essere un aggancio per rompere subito il ghiaccio e inventarsi una storia. La mia specialità, ad esempio, è camminare sul filo. Naturalmente non è un filo reale, ma con la fantasia riusciamo a renderlo tale. Cammino sul pavimento come se ci fosse, barcollo, cerco di non cadere, e spesso questo basta a strappare un sorriso. Insomma, non c’è una regola. Una volta entrato nella stanza, ogni cosa si basa su ciò che vedi e soprattutto che senti.

A chi si rivolge la clownterapia?

Noi lavoriamo molto negli ospedali, nei reparti pediatrici e in quelli per adulti, ma anche negli hospice con i malati terminali e nelle case di riposo. Ci rivolgiamo a tutti, e non soltanto ai malati. Anche medici, infermieri e operatori della struttura spesso hanno bisogno di evadere un po’ dal mondo ospedaliero. Le persone con cui puoi entrare in contatto in questi luoghi sono di tutti i tipi. A volte, nei reparti di terapia intensiva ci sono bambini in stato inconscio e faccio ascoltare loro della musica con un carillon, anche se i medici mi dicono che non possono sentire nulla. Anche nelle case di riposo ci sono molte persone che non parlano nemmeno, o comunicano solo con gli occhi. Tutto quello che puoi fare è cercare di far trascorrere loro un attimo di spensieratezza, portare un po’ di calore umano.

Quali sono i benefici della clownterapia?

Il beneficio principale è il fatto che il clown porta calore umano. E lo fa perché tu gli permetti di avvicinarsi, di tenerti la mano. Anche solo un abbraccio spesso può fare la differenza. Il bene che la nostra figura porta con sé, si vede. Una volta, alla clinica Mangiagalli c’era un bambino che era appena stato operato e una volta tornato in stanza urlava dal dolore. Io e il mio collega l’abbiamo sentito, siamo entrati e dopo cinque minuti si è addormentato. Ma si vede anche attraverso le macchine che misurano il respiro o il battito cardiaco. Con la nostra presenza, le persone si calmano, si rilassano. Con una donna che si trovava in terapia intensiva dopo aver partorito, abbiamo addirittura scelto assieme il nome del figlio. Tante volte è commovente, per loro e anche per noi. Perché anche il clown riceve tanti benefici da questa attività. È un mondo a sé, che ti cambia la vita. Impari a vedere le cose in modo più positivo in generale. Se io sto bene, riesco anche a far star bene gli altri.

Come si diventa clownterapeuta?

Per diventare clownterapeuti bisogna frequentare un corso lungo un weekend (venerdì, sabato e domenica) in cui crei il tuo personaggio clown. In quei giorni, metti a punto il nome del clown, inventi la sua camminata, la sua specialità, il modo in cui parla. Poi, si passa all’affiancamento in ospedale. Ti viene quindi assegnato un tutor, dal momento che i clown non lavorano mai da soli per prassi. L’unico requisito è avere raggiunto la maggiore età, infatti nella nostra associazione ci sono clown che vanno dai 18 ai 70 anni. Tutte persone che due weekend al mese rinunciano a fare dell’altro per portare un sorriso a chi sta in ospedale.

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Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…