Play Therapy: il gioco come percorso per una crescita migliore

Giocare non è soltanto divertirsi e far divertire. A volte, il gioco può essere utilizzato come una vera e propria terapia. Per favorire lo sviluppo, migliorare e migliorarsi, imparare a gestire al meglio le proprie emozioni. La play therapy è una disciplina che serve proprio a questo, basandosi su una base teorica molto accurata.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Rubrica a cura di Sara Del Dot
25 Giugno 2019

Affrontare e prevenire i problemi attraverso il gioco, in totale libertà o con una direzione, da soli o con la partecipazione della famiglia. La play therapy utilizza le attività ludiche per favorire lo sviluppo, migliorare le capacità sociali, imparare a gestire al meglio le emozioni in vista di una crescita armonica e felice. A raccontarcelo, per la rubrica Il bene in ogni cosa, è Claudio Mochi, psicologo e play therapist supervisor, nonché fondatore in Italia dell’associazione Play Therapy Italia, un’organizzazione che si occupa di realizzare corsi, programmi e progetti educativi.

Quindici anni fa, Claudio si trovava in Iran, a lavorare in contesti di estrema emergenza, occupandosi di persone adulte che avevano subito esperienze estremamente traumatiche. E, racconta, tutto pensava tranne che in futuro si sarebbe trovato a lavorare con i bambini. Oggi, si occupa di aiutare bambini in condizioni di vulnerabilità che non sono ancora in grado di auto-tutelarsi completamente. E, afferma, l’aspetto che più lo colpisce è il potenziale impatto dell’intervento, dovuto all’enorme margine di miglioramento che lavorare con loro concede. Inoltre, riferisce, la dimensione ludica è estremamente vicina al suo modo di essere.

Claudio, che cos’è la play therapy?

La play therapy viene definita come l’uso sistematico dei principi terapeutici del gioco al fine di favorire il raggiungimento di un obiettivo desiderato o di superare una difficoltà. Si tratta di un settore molto ampio, all’interno del quale ci sono vari approcci e orientamenti. La cosa importante è che non bisogna, come in molti fanno, ridurre la play therapy al semplice “giocare con i bambini” o farli giocare. La play therapy fa sempre riferimento a modelli teorici ben precisi. Nella play therapy si lavora con persone di tutte le età. Ci sono interventi anche per bambini con meno di 3 anni, ma anche eventualmente con adolescenti e persone anziane, anche se la fascia di massima diffusione è quella che va dai 3 ai 12 anni.

In che modo si svolgono le sessioni?

Semplificando, possiamo affermare che esistono tre grandi aree di lavoro. Una viene chiamata non direttiva, ed è quella in cui è il bambino a prendere l’iniziativa, sceglie cosa fare e a cosa dedicarsi, mentre il professionista applica a queste scelte determinate abilità. Poi abbiamo un approccio direttivo, in cui il professionista propone determinate attività assumendo il bisogno del bambino e capendo cosa può aiutarlo. Infine, c’è la play therapy familiare, in cui anche i genitori vengono coinvolti nella sessione di gioco.

Puoi farmi qualche esempio di come si sviluppano le varie aree di intervento?

Per quanto riguarda l’area non direttiva, come ho già detto si lascia decidere al bambino quali attività svolgere, a partire dal materiale di gioco che può essere di vario genere. Possiamo utilizzare materiale sensoriale come la sabbia, ma anche travestimenti, maschere, strumenti per disegnare e colorare, marionette… Naturalmente tutto viene studiato in base all’età e ai bisogni del bambino in questione. Ad esempio, possiamo orientarci su oggetti che riguardano l’accudimento e il nutrimento, come le bambole, la cucina, i pupazzi.. Ma anche su materiale dedicato al gioco aggressivo, come spade di gomma e oggetti da prendere a pugni. All’interno di questa area non direttiva, io come terapeuta seguo il bambino mentre gioca e quando mi coinvolge io partecipo nel modo in cui ritengo che il bambino desideri. Diversamente, nell’area direttiva sono io a pianificare l’intera sessione in base agli obiettivi che desidero raggiungere. Ad esempio, se ho a che fare con un bambino con poche capacità di autoregolazione oppure iperattivo, sottoporrò delle attività che gli consentano di esercitare un’autoregolazione, che stimolino la competenza, ma anche che gli consentano di uscire dallo studio in condizione più controllata e centrata rispetto a quando è entrato. Anche nel caso in cui partecipa la famiglia è necessario capire qual è l’obiettivo, se migliorare la comunicazione, se permettere loro di divertirsi insieme, se insegnare al genitore di prendersi maggiormente cura di suo figlio.

Con che tipo di disturbi lavorate di solito?

Essendo la play therapy un campo molto ampio, si riescono a gestire e affrontare tutte le problematiche conosciute. Possiamo trattare autismo, disabilità psichiche, iperattività, rallentamenti dello sviluppo… Si tratta di una disciplina che si appoggia su numerosi studi scientifici e quindi può coinvolgere disturbi praticamente di ogni genere. Inoltre, svolgiamo progetti in varie zone del mondo in cui c’è bisogno di interventi come il nostro.

Quali sono i benefici di questa terapia?

I benefici della play therapy sono tantissimi. Aumenta la capacità di sapersi relazionare con gli altri implementando le capacità sociali, aiuta a elaborare situazioni traumatiche e a gestire meglio le emozioni, favorisce lo sviluppo del bambino e facilita alcuni tipi di apprendimento. Ma può essere anche un ottimo modo per prevenirli, questi problemi. In generale, il gioco ha una grande proprietà: riesce a stimolare le diverse aree del cervello, senza che queste debbano essere attivate da linguaggi diversi, come accade con l’interazione verbale. Il gioco coinvolge tutto il cervello, e questa caratteristica lo rende adatto per stimolare benessere in persone di tutte le età.

Questo articolo fa parte della rubrica
Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…