Coronavirus e particolato atmosferico: tra certezze e cautela, che cosa dice la ricerca?

Dopo il position paper, la Sima ha pubblicato i risultati di uno studio preliminare su campioni d’aria rilevati nelle zone di Bergamo: dagli esperimenti sembrerebbe che tracce di RNA del Coronavirus siano stati ritrovati sul particolato atmosferico. Prima di parlare dei PM10 come vettori del contagio, tuttavia, serve cautela: lo studio è un pre-print, quindi una versione non ancora verificata, e inoltre non vi sono prove che dimostrino che il virus ritrovato sul particolato sia attivo e contagioso.
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Kevin Ben Alì Zinati 26 Aprile 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Coronavirus e particolato? Sì, no, forse, ma soprattutto calma e cautela. In ordine cronologico, l’ultimo capitolo della storia tra il Sars-Cov-2 e l’inquinamento atmosferico dice che un nuovo studio messo a punto dalla Società Italiana di Medicina Ambientale avrebbe confermato la presenza di tracce del virus su campioni di Pm10. Se ti ricordi, ti avevamo già parlato della Sima in merito al suo “position paper” sull’argomento. In sostanza, l’ipotesi degli scienziati era che le polveri sottili avessero agito da vettore del virus favorendo la diffusione dei contagi. Questo perché, confrontando i dati atmosferici con quelli epidemiologici, si era evidenziata una correlazione tra il superamento dei limiti delle concentrazioni di Pm10 e il numero dei contagi. Sulla scorta di questi dati, i ricercatori hanno seguito l’ipotesi studiando l’aria della provincia di Bergamo: dalle loro analisi sarebbero emerse tracce dell’RNA virale sul particolato atmosferico. Ma da qui a ritenere i Pm come degli effettivi diffusori del virus, ad oggi, ne passa. Mi spiego.

Cosa dice la ricerca

Nello studio, pubblicato come detto in versione non definitiva su Medrxiv, i ricercatori hanno prelevato 34 campioni di PM10 dall’aria di un sito industriale della provincia di Bergamo. La raccolta ha preso in esame un periodo continuo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo. Le analisi avrebbero così rilevato la presenza di RNA virale di SARS-CoV-2: i ricercatori avrebbero ritrovato il gene RtDR altamente specifico su 8 filtri delle 22 giornate prese in esame. Per questo, affermano nell’abstract, “questa è la prima prova preliminare che l'RNA SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato esterno, suggerendo così che, in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, SARS-CoV-2 potrebbe creare cluster con PM esterno”.

Ciò significa, dunque, che il Coronavirus potrebbe sì legarsi alle molecole di particolato e quindi essere “trasportato” nell’atmosfera ma conferme sulla sua vita e sulla virulenza, per ora, non ce ne sono ancora. Anzi, come esplicitano gli stessi ricercatori, “ulteriori conferme di queste prove preliminari sono in corso e dovrebbero includere una valutazione in tempo reale sulla vitalità della SARS-CoV-2 e sulla sua virulenza quando adsorbita su materiale particolato”.

I possibili ruoli del particolato

Sono gli stesso ricercatori a ribadirlo: “Al momento, non è possibile formulare ipotesi sulla correlazione tra la presenza del virus nella progressione dell'epidemia di PM e COVID-19”. Mentre attendiamo conferme, dunque, parlare dei PM10 come possibili carrier del Coronavirus è perciò quantomeno prematuro. Secondo i ricercatori della Sima, se si dovessero verificare condizioni di stabilità atmosferica e di alte concentrazioni di PM, le goccioline infettate con SARS-CoV-2 potrebbero stabilizzarsi sulle particelle aumentando così la persistenza del virus nell'atmosfera. Perciò, al momento, si potrebbe utilizzare l’analisi dell’inquinamento atmosferico alla stregua di quanto ipotizzato con le acque di scarico: cioè come indicatori della presenza di focolai in determinate zone.

Prima la cautela

Parlare dell’inquinamento atmosferico come veicolo di contagio, dunque, è troppo prematuro. Lo studio della Sima, infatti, è un pre-print, cioè una versione preliminare della ricerca. Significa che non è ancora stata sottoposta a una revisione da parte di altri scienziati, la famosa peer-review. Non è una pratica così rara anzi, con l’emergenza Coronavirus ha ancora di più il suo perché: rendere pubblici i risultati, seppur preliminari, di studi o esperimenti può aiutare a velocizzare la comprensione – e quindi la ricerca di possibili contromisure – di un virus nuovo e sconosciuto. Ciò però non significa che i risultati siano “ufficialmente validi” poiché serve ancora la conferma di un team di esperti. Inoltre, ciò che i ricercatori avrebbero trovato sul particolato, poi, sarebbero tracce di RNA del virus. Come ti ho spiegato anche prima, però, al momento non ci sono prove che dimostrino la loro vitalità e la virulenza.

Fonti | "SARS-Cov-2 RNA Found on Particulate Matter of Bergamo in Northern Italy: First Preliminary Evidence" pubblicato in pre-print su Medrxiv

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