Coronavirus: il primo studio che identifica i fattori che aumentano il rischio di mortalità

Età avanzata, segnali di sepsi e valori del sangue associati alla trombosi. Sembra sia questi, per ora, i maggiori fattori di rischio per una persona che viene contagiata dal nuovo Coronavirus. La ricerca ha preso in esame solo 191 pazienti, ma è il primo di questo tipo.
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Giulia Dallagiovanna 9 Marzo 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Sappiamo purtroppo che la maggior parte delle persone che muoiono. dopo essere state trovate positive al Covid-19, appartengono alle fasce più deboli della popolazione. La rivista The Lancet ha però pubblicato il primo studio che identifica con precisione quali siano i fattori di rischio associati alla letalità del nuovo Coronavirus.

Il team di ricerca è dell'Università di Pechino e prende in considerazione solo 191 pazienti, sulle decine di migliaia che gli ospedali di Wuhan hanno dovuto assistere negli ultimi due mesi e mezzo. Tieni presente che si tratta di persone che hanno avuto bisogno di un ricovero perciò tutte loro versavano in condizioni di salute gravi o comunque serie. Tra loro 137 sono fortunatamente guariti, ma 54 non sono sopravvissuti.

Grazie a questo primo sguardo su chi ha fatto più fatica a combattere contro il nuovo Coronavirus è possibile trarre qualche prima conclusione che può aiutare a valutare meglio il rischio che ciascuno di noi corre.

Sono tre gli elementi a cui prestare maggiore attenzione: età avanzata, segni di sepsi o setticemia e il D-dimero alto, un valore del sangue associato alla trombosi. Tra chi è stato preso in esame, infatti, circa il 48% presentava già una patologia cronica, in particolare l'ipertensione, e una buona parte aveva già superato i 50 anni. Non solo, ma il loro tempo di degenza è stato piuttosto lungo. Chi è riuscito a superare l'infezione ha comunque impiegato 22 giorni, mentre gli altri sono deceduti dopo 18. E di quest'ultimo gruppo facevano parte soprattutto quelli che avevano avuto bisogno per più tempo della ventilazione automatica e fin da subito è stato evidente come non riuscissero più a respirare in autonomia.

Il tempo di degenza in ospedale è stato di circa 20 giorni

Un ultimo dato interessante riguarda il tempo in cui una persona può liberare il virus nell'ambiente circostante. Sembra che si possano raggiungere anche i 20 giorni, tenendo conto che questi dati provengono da persone che hanno riportato le conseguenze più gravi del Covid-19. Cosa significa questo nella pratica? Che, qualora tu risultassi positivo, è forse meglio se rimani in isolamento per tutto questo periodo, onde evitare possibili contagi a familiari, amici e colleghi.

Infine, ricorda che se anche non appartieni a queste categorie, non puoi comunque ignorare l'emergenza che stiamo vivendo. Se contrai il virus tu, potresti poi trasmetterlo a un tuo parente anziano e lui rischierebbe di finire in terapia intensiva. Così come di venire respinto, dal momento che non ci sono più posti. E ricorda anche che "la maggior parte" non significa tutti: anche pazienti molto giovani sono finiti in rianimazione.

Fonte| "Clinical course and risk factors for mortality of adult inpatients with COVID-19 in Wuhan, China: a retrospective cohort study" pubblicato su The Lancet il 9 marzo 2020

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.