diversity e inclusion

Cosa significa “Diversity e Inclusion”, ha davvero senso parlare di “inclusività”?

Si fanno sempre più spazio i termini “diversità” e “inclusione”. Il primo indica qualunque gruppo sociale si differenzia dallo standard, uomo-bianco-etero-cis-abile, e il secondo implica che quest’ultimo gruppo di maggioranza debba concedere spazio alle minoranze. Ma siamo sicuri che l’inclusività debba essere questo?
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Evelyn Novello 29 Maggio 2024

Ti sarai imbattuto sicuramente nei termini "diversity" e "inclusion", ma cosa significano davvero? Probabilmente penserai che, il loro accostamento, indichi il fatto che chiunque sia considerato "diverso" debba essere comunque inserito all'interno del gruppo di maggioranza considerato "normale". Ma non si tratta esattamente di questo.

Capiamo intanto a cosa si fa riferimento quando si parla di "diversità". In una prima lettura può sembrare qualcosa di negativo, che esula da quello che riconosciamo come familiare e che quindi intimorisce. L'uomo per natura ha paura dal diverso e questo ci ha permesso nei millenni di difenderci dalle minacce esterne del nostro gruppo di riferimento. Una sorta di strategia di sopravvivenza che, però, col passare del tempo, è finita per validare l'esistenza solo di alcuni individui, i più forti, quelli che sono riusciti a schiacciare le minoranze e che si sono arrogati, quindi, il diritto di essere privilegiati.

È il caso del maschio-bianco-etero-abile-cisgender, le persone di identità di genere maschile nate uomini, di orientamento eterosessuale, di carnagione bianca e senza disabilità. Per una serie di motivi socio-culturali, questa categoria umana è andata a rappresentare il prototipo di umano e ogni disciplina ha preso questo modello come riferimento. Vediamo la medicina, ad esempio, che da scienza imparziale quale dovrebbe essere, ha molto spesso escluso dalla ricerca le donne in primis, ma anche le persone nere, e le conseguenze consistono oggi, per queste persone, in maggiori difficoltà di diagnosi e cura di alcune patologie.

Vediamo quindi come sono andate a definirsi le cosiddette "minoranze". Gruppi di persone che non sono numericamente inferiori nella società, vedi le donne che sono circa il 50% della popolazione mondiale, ma che hanno da sempre minore rappresentanza nei media e nelle istituzioni perché giudicate di minor valore rispetto agli uomini. Che ormai le donne debbano avere gli stessi diritti e opportunità del genere biologicamente opposto, siamo d'accordo, perlomeno, formalmente, nella maggior parte dei Paesi occidentali. Ma siamo sicuri di pensare lo stesso delle persone nere, omosessuali, transessuali o disabili?

diversita e inclusione

I pregiudizi che ci trasciniamo sono molteplici perché siamo condizionati dalla mentalità di massa che si basa sulla ferrea dicotomia bianco-nero, etero-omo, uomo-donna, che non prevede terze opzioni e che, volente o nolente, rimane alla base di ogni nostro comportamento o pensiero. Normale è ciò che consideriamo naturale, biologico, di maggioranza, e quando ci confrontiamo con il diverso la nostra prima reazione è quella di metterci sulla difensiva, nonostante a parole non ci definiamo né razzisti, né omofobi, né misogini.

L'unico modo per rendere "normale" qualcosa è entrarci in contatto, il più possibile, ed è per questo che ciò che ci occorre è la rappresentazione di ciò che è considerata minoranza. Rappresentazione significa inserire in ogni ambito, dall'intrattenimento alle istituzioni, dalla medicina alla giurisprudenza, ogni categoria che si differenzia da ciò che consideriamo "norma". Questo deve essere fatto non solo quantitativamente, ovvero nello stesso numero in cui è presente nella società, ma anche qualitativamente, cioè scevro da caratteristiche stereotipate.

Come ha commentato durante la cerimonia dei Diversity Media Awards 2024 Francesca Vecchioni, presidente di Fondazione Diversity, "la diversità è poco e male rappresentata. C'è una rappresentazione scorretta anche dal punto di vista della narrazione, penso all'etnia, rappresentata solo con immagini di migranti e barconi. Pensiamo alla disabilità, a quanto sia poco presente nell'intrattenimento e nell'informazione".

Includere la diversità nella rappresentazione del mondo pare essere la soluzione, ma attenzione al termine "inclusività" che ora sentiamo tanto in giro ma che sarebbe scorretto nell'accezione secondo cui il gruppo di maggioranza "concede spazio" alle minoranze. Non si tratta di una concessione, si tratta di rimodellare il mondo così che sia accessibile a tutti. "L'inclusione, come l'inclusività, può avere diverse accezioni – continua Vecchioni. – A me piace usare quella positiva perché non dovrebbe trattarsi di concedere a qualcuno di essere incluso. L'inclusività è, invece, la conseguenza della diversità, come se fosse un elemento naturale e biologico".

Come ha aggiunto nella stessa serata anche Marina Cuollo, consulente Diversity&Inclusion, scrittrice e attivista, "in una società come la nostra, che non conosce il significato di "inclusività", vale ancora la pena utilizzare questo termine ma l'importante è comprendere che, in realtà, non fa riferimento a un gruppo che concede il privilegio a un altro di essere incluso. Si tratta, invece, di una convivenza alla pari".

Non crediamo alle frasi fatte come "siamo tutti uguali". Non è vero, non lo siamo, ed è proprio la diversità che colora il mondo e lo rende un insieme sfaccettato, originale e curioso, ciò che deve essere uguale per tutti, invece, sono il riconoscimento di esistere, di possedere dei diritti e di poter accedere a qualunque mezzo o servizio. Perché un conto è la biologia, che ci rende differenti l'uno dall'altro, un altro conto è la cultura. Il grande sbaglio, che avviene anche nella politica, è confondere la seconda con la prima.