L’emofilia si manifesta quasi esclusivamente nei maschi, le donne possono esserne portatrici sane, tranne che in alcune rare condizioni o patologie.
L’emofilia è una malattia genetica della coagulazione del sangue. Normalmente in caso di emorragia il sangue forma un coagulo che ne riduce o blocca la fuoriuscita: in coloro affetti da emofilia ciò non accade, e le emorragie sono più frequenti e difficili da arrestare, comprese quelle interne. Il sanguinamento si può presentare sia dopo un trauma, anche lieve, ma in alcuni casi anche spontaneamente, senza cause.
La coagulazione è un processo che riguarda l’attivazione di svariate proteine del plasma, negli affetti da emofilia due di queste proteine, il fattore VIII e il fattore IX, presentano un difetto e non funzionano correttamente, non permettendo una normale emostasi del sangue (ossia la normale risposta fisiologica del corpo per l’interruzione dei sanguinamenti).
Esistono diverse tipologie di emofilia, le più comuni sono l’emofilia A ed emofilia B, causate per l’appunto dai deficit rispettivamente del fattore VIII e del fattore IX; esiste anche l’emofilia C, in cui il deficit è del fattore XI, ma si tratta di una versione ancora più rara della malattia.
L’emofilia è una patologia ereditaria causata per l’appunto da un difetto o una mutazione nel gene della coagulazione del sangue. Circa il 30% delle mutazioni dei geni che codificano il fattore VIII e il fattore IX è causato da murazione spontanea, cioè non prodotta da agenti mutageni conosciuti.
La trasmissione avviene dalla madre e si tratta di un’ereditarietà legata al cromosoma X: per questo motivo la maggioranza di coloro che ne sono affetti è un maschio (avendo un solo cromosoma X), in quanto nelle femmine un secondo cromosoma X normale compensa la presenza di un cromosoma X con anomalie genetiche.
I sintomi dell’emofilia variano in base a quanto il difetto genetico interferisce sul livello dei fattori residui e della loro attività. In questo senso si può suddividere in:
L’emofilia grave si presenta comunemente nei primi mesi di vita, al contrario delle altre, che possono manifestarsi anche in età adulta. Una presentazione caratteristica nei bambini è la formazione di lividi a seguito di gattonamento.
Altri sintomi che possono palesarsi delle forme gravi sono:
La diagnosi di emofilia avverrà inizialmente con un’attenta anamnesi dei segni e della storia familiare del paziente.
Per la diagnosi prenatale, nei casi di storia familiare pregressa, o di storie note di sanguinamento eccessivo in famiglia, verranno eseguiti test di screening per le patologie genetiche.
Nei periodi successivi la diagnosi avverrà principalmente con test di laboratorio come l’emocromo completo, con particolare attenzione alle analisi del tempo di sanguinamento e di coagulazione.
In caso di sospetta emorragia interna si potranno eseguire TC o RM, del torace, dell’addome e della testa.
Il trattamento dell’emofilia si dividerà in due parti: la gestione del sanguinamento in acuto e la profilassi successiva.
Il trattamento del sanguinamento dovrà essere il più rapido possibile, con ricovero ospedaliero e correzione della coagulopatia; in caso di emorragia interna sarà fondamentale rilevarne la sede e capire se il paziente necessita di un intervento chirurgico. In tutti i casi è prevista la somministrazione di concentrati di fattori della coagulazione, ottenuti dal plasma prelevato nelle donazioni di sangue.
Per quanto riguarda la profilassi si tratta di una gestione molto importante, in quanto utile a ridurre l’emartro e tutte le conseguenze negative che può avere sulle articolazioni a lungo andare, la frequenza dei sanguinamenti e migliorare la qualità di vita in generale.
Si tratta principalmente di mantenere i livelli dei fattori in deficit il più controllati possibile, cercando di posizionarli a livelli accettabili; è una profilassi continua, che necessita di mantenimento specifico anche in base alla gravità di emofilia, e di monitoraggio perenne.
Grazie a ciò l’aspettativa di vita per i pazienti è migliorata notevolmente: prima dello sviluppo dei concentrati di fattori l’aspettativa per i pazienti gravi era solamente di una decina di anni, ad oggi, invece, se gestita in modo corretto la qualità di vita è quasi la stessa della popolazione in generale.