Finché a non voleva crescere è un bambino come Peter Pan, tutto sommato si può chiudere un occhio. Difficile reagire allo stesso modo se, a non voler crescere, è un adulto. Eppure ce ne sono e se (anche tu) dovessi avere la sventura di incontrarne uno sulla tua strada, meglio sapere a cosa si va incontro.
La cosiddetta sindrome di Peter Pan, dal nome del protagonista creato dallo scrittore James Matthew Barrie nel 1902, non è propriamente considerata un disturbo psicologico: non è riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità, non è presente nell’attuale “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, insomma, apparentemente sembra che non se la fili nessuno. Eppure, per quanto non sia considerata un vero e proprio disturbo psicologico, rappresenta comunque un tratto della personalità molto particolare.
Ma procediamo un passo alla volta. Il termine "sindrome di Peter Pan" entra nell’uso comune in seguito alla pubblicazione nel 1983 di un libro intitolato “The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up”, scritto dallo psicologo Dan Kiley. Diversi anni dopo, nel 1989, anche la psicoanalista svizzera Marie-Louise Von Franz tratta il fenomeno dell’eterno bambino nel libro “L’eterno fanciullo, l’archetipo del Puer Aeternus” analizzando il racconto del “Il piccolo principe” ed evidenziando tutti quei tratti infantili che possono permanere nell’adulto.
Tratti della personalità e del comportamento che, tutto sommato, non sono così negativi: nello sviluppo normale della personalità aiutano a sviluppare la curiosità, la creatività e l’immaginazione e via dicendo. Tuttavia, se questi tratti tendono a uscire da certi confini, inevitabilmente possono portare ad un disagio comportamentale.
I principali sintomi legato alla sindrome di Peter Pan sono: la "non accettazione" delle proprie responsabilità da adulto, l’incapacità di mantenere relazioni stabili in amore, l’egocentrismo, il comportamento irresponsabile che a tratti è riconducibile a quello che avrebbe un bambino. Chi è affetto dalla sindrome di Peter Pan teme la solitudine e ha difficoltà a integrarsi con le altre persone, in particolare nell’ambito professionale, infatti, difficilmente instaura relazioni stabili con colleghi e superiori.
Come riportato in questo articolo, secondo Humbelina Robles Ortega, professoressa dell'Università di Granada ed esperta nei disordini emotivi, "un comportamento iperprotettivo da parte dei genitori può portare il bambino a sviluppare la sindrome di Peter Pan, senza permettergli di sviluppare le capacità necessarie per confrontarsi con la vita. I Peter Pan della società attuale vedono il mondo degli adulti molto problematico ed esaltano l'adolescenza, per rimanere in uno stato di eterni privilegiati".
Si potrebbe definire come una condizione un po' di comodo per sottrarsi alle responsabilità che comporta inevitabilmente la vita adulta. E, mi viene tutto sommato da pensare che, con ogni probabilità il Peter Pan in questione stia benissimo: il vero disagio lo prova chi gli vive affianco.
Come si cura la sindrome di Peter Pan? Per questo disordine l'unica soluzione è un trattamento di tipo psicologico, centrato non solo sulla persona che è affetta da questa sindrome, ma anche sulla sua famiglia e sull'eventuale partner.
Secondo la psicoanalista svizzera Marie-Louise Von Franz, in questi casi andrebbe costruita l’indipendenza del soggetto, promuovendo un certo distacco dalla famiglia originaria che spesso e volentieri è la causa stessa della sindrome per eccesso di protezione, ansia e apprensione.