Le metodiche di diagnostica per immagini (radiologia tradizionale, tomografia computerizzata, ecografia) svolgono un ruolo cruciale nella diagnosi della polmonite da SARS-CoV-2, nella gestione clinica dell'infezione e nel monitoraggio a lungo termine dei pazienti.
Il punto centrale, dal punto di vista radiologico, è che la polmonite infettiva COVID-19 è una polmonite di tipo interstiziale e questo pone dei problemi diagnostici peculiari. Per comprendere questo aspetto, è necessario fare un richiamo all’anatomia del sistema respiratorio, la cui funzione è quella di permettere l’ossigenazione del sangue.
Il sistema respiratorio è composto essenzialmente da due parti:
All’interno di questi sottili lembi di tessuto che separano un alveolo dall'altro scorrono i capillari polmonari, i quali hanno il compito di trasportare il sangue ricco di anidride carbonica e avido di ossigeno proveniente dall'organismo. Lo spazio, quasi virtuale, interposto tra la parete degli alveoli e quella dei capillari si chiama interstizio, ed è essenziale che si mantenga il più sottile possibile, al fine di favorire lo scambio di gas tra l’aria alveolare e il sangue capillare.
Arrivati a questo punto, la differenza sostanziale tra una polmonite batterica e una polmonite virale, come quella COVID-19, è la seguente:
Ora, se l'interstizio diventa più spesso, l'ossigeno fa fatica a passare dall'aria al sangue. Pertanto, in corso di una polmonite interstiziale, si può sviluppare più facilmente una condizione detta ipossia, caratterizzata dalla carenza di ossigeno a livello dei tessuti dell'organismo.
Il fatto che la polmonite da Sars-Cov-2 sia una polmonite interstiziale pone dei problemi diagnostici non indifferenti, non solo dal punto di vista clinico, perché è noto che le polmoniti interstiziali tendono a presentarsi con una sintomatologia più subdola, ma anche dal punto di vista radiologico.
In ambito pneumologico, l’esame di primo livello per la diagnosi di una sospetta polmonite è classicamente la radiografia del torace standard, la cosiddetta “RX torace”. La radiografia del torace “standard” è un esame di radiologia tradizionale che, come tale, si avvale di radiazioni ionizzanti per acquisire due immagini del torace, una proiezione in antero-posteriore (vista “di fronte”) e una latero-laterale (vista “di fianco”). Si tratta di un esame non invasivo, di rapida esecuzione, dal costo contenuto e ampiamente disponibile sul territorio. Il problema che si pone per le metodiche di radiologia tradizionale con questo tipo di polmoniti è che i segni tipici dell’infezione, ovvero gli addensamenti polmonari, sono più difficili da rilevare, se non del tutto assenti nei casi più lievi. Purtroppo, per i limiti intrinseci della metodica, la radiografia del torace si è ben presto rivelata un esame poco sensibile e specifico per diagnosticare questo tipo di condizione. Il limite, in questo caso, è duplice, e riguarda non solo la capacità di rilevare le alterazioni tipiche della patologia, ma soprattutto la possibilità di stimarne correttamente l’entità dell’interessamento polmonare, un elemento quest’ultimo cruciale per la gestione terapeutica.
Già nel corso della prima ondata epidemica, la tomografia computerizzata (la cosiddetta TAC, oggi più correttamente abbreviata in TC) si è imposta, sulla scorta dell’esperienza diretta accumulata dagli operatori sul campo, prima ancora che si consolidasse una letteratura sull’argomento, come l’esame di eccellenza per la fase di inquadramento dei pazienti con sintomatologia suggestiva per infezione da Sars-Cov-2. Nel contesto di emergenza-urgenza i pazienti spesso vengono invitati alla TC direttamente sulla base dei sintomi, essendo il dato radiologico che, unitamente agli esami di laboratorio (e in particolare all’emogasanalisi che fornisce informazioni sulla funzione di scambio dei gas) indirizza la gestione terapeutica, indipendentemente dalla diagnostica molecolare (tampone). Il principale vantaggio della TC è che offre una visione tridimensionale dei polmoni e permette non solo di individuare la presenza dei segni tipici dell’infiammazione interstiziale, ma di stimare l’entità dell’interessamento polmonare, un fattore che oggi sappiamo avere un importante valore ai fini della prognosi.
Oltre alla radiografia e alla TC del torace, una terza metodica si è affacciata in modo prepotente nel mondo diagnostica per immagini della malattia COVID-19: è l’ecografia polmonare, una procedura che in alcuni contesti ha dimostrato una sensibilità di gran lunga migliore rispetto alla radiografia nel rilevare le alterazioni tipiche di questa condizione. Tra gli ulteriori vantaggi dell’ecografia, poi, ci sono il mancato utilizzo di radiazioni ionizzanti e l'ampia disponibilità sul territorio nonché all’interno delle diverse unità operative. Sebbene l’applicazione in ambito polmonare sia relativamente recente e poco diffusa, la curva di apprendimento è relativamente breve, specie se confrontata con lo studio di altri distretti (per esempio, l’addome) e la pandemia ha senza dubbio imposto un’accelerazione nella formazione degli operatori.
In conclusione, auspicando il rapido esaurirsi della fase pandemica, in ambito radiologico andremo incontro ad una transizione dal problema della diagnosi al problema del monitoraggio degli effetti a lungo termine dell'infezione Covid-19, effetti che sappiamo essere tutt’altro che trascurabili, almeno in un sottogruppo di pazienti. A questo proposito la comunità scientifica e le istituzioni sanitarie dovranno convergere verso la definizione di nuovi protocolli clinici in grado di operare un bilancio tra le risorse disponibili, l’effettivo fabbisogno di informazioni cliniche e l’obbligo di preservare i pazienti dall’esposizione a dosi superflue di radiazioni ionizzanti.