Da sempre la scienza è anche donna. E allora perché si continua a inciampare in stereotipi e discriminazioni?

Oggi è l’8 marzo e ci siamo chiesti che cosa vuol dire, per una donna, vivere e fare carriera nella scienza. Un mondo dove i ruoli apicali sono sempre più in mano a figure maschili e che, nella narrazione giornalistica, è facile vittima di stereotipizzazioni e disparità di trattamento che bloccano il processo di normalizzazione di una società ancora troppo vecchia e conservatrice.
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Kevin Ben Alì Zinati 8 Marzo 2021
* ultima modifica il 08/03/2021
Intervista a Giuliana Galati e Serena Fabbrini Ph.D in Fisica e ricercatrice presso l'Università di Bari ; Storica della scienza e membro di She Is A Scientist

Giuliana Galati è una ricercatrice a tempo determinato all’Università di Bari. Ha un dottorato in Fisica e per un po’ di tempo ha studiato i neutrini, le particelle più piccole che conosciamo nell’universo. Oggi invece si dedica a fare ricerca nel campo dell’adroterapia, una branca della fisica medica.

Quando ha finito il liceo classico non aveva idea di cosa avrebbe fatto da grande. Aveva escluso diverse materie ma non la fisica: cinque anni passati a spulciare dizionari di latino e greco le avevano raccontato il mondo umanistico ma dell’altra fazione, quella scientifica, sapeva poco e dunque era rimasta tra le opzioni.

Giuliana ci ha raccontato che l’estate della maturità l’ha passata a fare domande. “Ho chiesto consigli e pareri a tantissime persone e tutti mi dicevano che la fisica dell’università era completamente diversa da quella del Liceo, nessuno però sapeva spiegami in cosa”.

Così, per curiosità, si è iscritta. Per il primo semestre e mezzo ha pensato di aver sbagliato tutto. Poi è riuscita a ingranare e oggi non tornerebbe più indietro.

Giuliana Galati, Ph.D in Fisica e ricercatrice presso l’Università di Bari

Era ispirata, e Giuliana vive di ispirazioni. Dai segreti della materia ai risvolti terapeutici delle particelle nella cura dei tumori, è sempre alla ricerca di qualcosa che la ispiri.

O di qualcuno. Come la sua professoressa dell’università. “Al primo anno ho incontrato una docente molto brava ed elegante: è stata una delle poche a raggiungere i vertici della carriera che ho avuto il piacere di conoscere durante la vita da studentessa. Per il resto c’erano quasi solo professori uomini e giovani assistenti donne”. L’aveva ispirata. Così le ha chiesto la tesi e alla fine è riuscita a raggiungerla nel suo gruppo di lavoro, largamente femminile.

Da sinistra verso destra: Giuliana Galati, Adele Lauria, Maria Cristina Montesi, Antonia Di Crescenzo presso il GSI Helmholtzzentrum für Schwerionenforschung (Darmstadt, Germania), durante una presa dati a febbraio 2020.

Qui mi fermo perché ti starai chiedendo per quale motivo ti sto raccontando la storia di Giuliana. Oggi è l’8 marzo, ma non l’abbiamo intervistata perché è donna. Abbiamo fatto due chiacchiere con Giuliana Galati perché, come tante altre colleghe, sa bene che nella scienza (e non solo) a volte non è facile essere donna.

In un mondo che per certi versi resta ancora troppo incastrato in una mentalità vecchia, Giuliana sa che può capitare che l’essere una donna diventi un neo sul curriculum. Come sa che non di rado all’interno della narrazione giornalistica il sesso femminile, piuttosto che le capacità e le competenze, diventa l’eccezionalità e quindi la notizia.

Disparità 

Dopo la laurea, Giuliana ha vinto un dottorato di ricerca all’università Napoli e anche questa volta è capitata in un gruppo di lavoro molto femminile, guidato però da un professore uomo.

“I ruoli di comando, nella scienza come in molti altri ambiti professionali, sono quasi sempre affidati a figure maschili. All’apice della scala gerarchica non c’è quasi mai una donna, la mia professoressa era un’eccezione

Diversi rapporti e studi del 2020 effettuati dal Ministero dell'Università e della Ricerca sulla differenza di genere nelle università sostengono che agli inizi del percorso accademico si parta da una situazione di parità. Giuliana ci ha spiegato che “tra i laureati la componente femminile è anche superiore rispetto a quella maschile. Situazione che si protrae spesso fino al dottorato, quando poi però la carriera nel mondo della ricerca inizia ufficialmente, le donne diminuiscono sempre di più”.

I ruoli di comando, nella scienza come in molti altri ambiti professionali, sono quasi sempre affidati a uomini

Giuliana Galati, Ph.D e ricercatrice dell'Università di Bari

Molto è dovuto alla mentalità in cui troppo spesso incespica la nostra società. È chiaro che il parto così come l’allattamento al seno sono momenti che inevitabilmente spettano alle donne, ma oggi siamo comunque ancora convinti che sulla madre debba ricadere anche la maggior parte del lavoro dei figli: come se le diverse fasi della crescita di un bambino fossero automaticamente in gran parte responsabilità della donna.

Con Giuliana ci siamo sentiti telefonicamente un pomeriggio di fine febbraio, mentre la settimana sembrava poter volgere al termine per entrambi. Riascoltando la registrazione della chiacchierata un rumore in sottofondo dalla mia parte della linea aveva sovrastato alcune sue parole, nascondendole. Ho ripensato a cosa l’avesse causato, poi ho ricordato che erano le cinque e che qualcuno, dalla redazione, aveva chiamato l’ascensore. Lo sferragliare delle porte metalliche si era intromesso nella nostra conversazione.

Oltre all’attività di ricerca, da anni Giuliana è anche attiva come divulgatrice scientifica

Proprio mentre Giuliana mi raccontava degli orari a cui costringe spesso il lavoro di ricercatrice. “Vedo colleghe che hanno figli fare i salti mortali mentre i miei colleghi uomini, con figli, vivono una vita tale e quale a quando non li avevano. Alle cinque del pomeriggio alcuni uomini non hanno problemi a rimanere in ufficio perché c’è qualcun altro che va a prendere i bambini a scuola e fa fare loro i compiti. Ci sono sicuramente delle eccezioni, soprattutto tra le coppie più giovani. Per fortuna, piano piano, qualcosa sta cambiando.

È una caratteristica intrinseca della società, che la pervade nel profondo, fino al modo in cui la si costruisce. “Ci sono anche poche infrastrutture che vengono incontro alle esigenze dei genitori. Sto parlando per esempio di asili vicini o all’interno dell’ambiente universitario, strutture che all’estero ci sono”.

Giuliana ci ha raccontato che al Cern di Ginevra, l’Organizzazione europea che si occupa della ricerca nucleare e uno dei centri di ricerca più importanti al mondo, c’è un asilo che permette di lasciare i propri figli a un minuto a piedi dal proprio ufficio. Raggiungere in fretta il proprio bambino è facile per tutti e due i genitori. “Se invece bisogna barcamenarsi tra asili lontani che chiudono a una certa ora o l’aiuto di nonni e babysitter, le cose diventano difficili, specialmente se tutto ricade sempre di più sulla donna”.

Vedo colleghe mamme fare i salti mortali e colleghi uomini, con figli, che vivono come quando non li avevano

Giuliana Galati, Ph.D in Fisica e ricercatrice dell'Università di Bari

Nel mondo della scienza, un altro fattore che contribuisce a questa disparità di genere non poteva che essere lui, il tempo. Il tempo che la donna spende per badare alla famiglia e che l’uomo invece può dedicare al proprio lavoro.

“In moltissimi ambiti c’è un orario d’ufficio da rispettare. Se la regola dice che si finisce alle cinque del pomeriggio, che la donna vada dai figli e l’uomo a giocare a calcetto da un punto di vista lavorativo non crea nessuna differenza” ha spiegato Giuliana, secondo cui invece per i ricercatori non ci sono orari: si lavora sempre, a casa, nel weekend.

“È un mondo dove c’è molta competizione, sei precario e sai che se gli altri fanno 11 tu devi provare a fare 12. E in una situazione del genere, se in una coppia uno può non staccare mai e l’altro deve invece destreggiarsi tra lavoro e figli, si inizia a creare una disparità”.

Divario che viene rafforzato anche da alcuni meccanismi interni al mondo accademico. I periodi di congedo per maternità non vengono del tutto o a sufficienza tenuti in conto nella valutazione della carriera per un concorso o per ottenere l'abilitazione scientifica nazionale, necessaria per diventare professore associato e ordinario.

La comunicazione 

In questo circolo vizioso entra in gioco anche la comunicazione. Pensa ai titoli che subito dopo «scienziata» (o a volte al suo posto) scrivono «mamma di quattro figli», esasperando il ruolo sociale della donna.

Quando si racconta la scienza, a volte si pensa che quelle della sfera privata siano informazioni utili a umanizzare un mondo “alieno”, dettagli che avvicinano a un universo lontano e che non ci appartiene.

Il punto dovrebbero essere la scienza, le sue ripercussioni nel nostro mondo e le competenze di chi ha portato a termine quello studio o quell’articolo. Competenze professionali, non le doti da super mamma che, invece, non c’entrano nulla.

Pensa ai titoli di giornale che dopo «scienziata» scrivono «mamma di quattro figli»

Giuliana vive di ispirazioni, dicevo prima. Secondo lei per alimentare un processo di normalizzazione però l’omissione di questi particolari non è l’unica strada. “Se la scienziata dietro a una scoperta scientifica o a una ricerca è anche una mamma, rimarcarlo per me può essere fonte d’ispirazione, a patto però che lo stesso trattamento venga riservato agli uomini”.

Perché dovrebbe passare il messaggio che sono solo le donne a occuparsi dei figli? Anche gli uomini lo fanno. “Se cominciassimo a comportarci così, allora rimarcare l’aspetto sociale insieme a quello professionale non sarebbe più discriminatorio e suonerebbe normale”. 

Quando non vengono chiamate «mamme», spesso le donne sono comunque appellate al maschile come «Professore», «ricercatore», a volte per loro stessa richiesta perché l’equivalente femminile può risultare come sminuente. “In ambiti che sono stati dominati dagli uomini in passato non siamo abituati a sentire i sostantivi professionali declinati al femminile, anche se esistono nella lingua italiana. Emblematico il caso di “Professoressa”, che al femminile richiama la docente di scuola e perciò non viene usato da molte donne nell’ambito universitario”.

Quando si parla di donne, scienza e comunicazione gli scivoloni da citare sono tanti.

Pensa alle gaffe legate alla convinzione inconsapevole che «Andrea» sia un nome esclusivamente maschile, oppure ai paragoni con figure più “popolari” dietro cui però si nasconde il pericolo di uno stereotipo. Gli ultimi casi in ordine cronologico forse ti sono sfuggiti ma si sono consumati in occasione della narrazione giornalistica (italiana) attorno ai premi Nobel 2020.

Su questo, oltre che con Giuliana, ne abbiamo ragionato anche con Serena Fabbrini, storica della scienza e tra le curatrici di She Is A Scientist, un progetto editoriale che si è prefisso lo scopo di valorizzare le donne nella scienza svincolando le competenze dall’immagine che ogni donna vuole mostrare di sé.

I premi Nobel dicevo. Prima è toccato ad Andrea Ghez, astrofisica statunitense premio Nobel per la Fisica, inizialmente scambiata per un uomo e definita «mamma e nuotatrice».

Poi, quando la biochimica statunitense Jennifer Doudna e la microbiologa francese Emmanuelle Charpentier sono state premiate per Crispr/Cas-9, le forbici molecolari per l’editing genomico, qualcuno ha titolato così: “Le «Thelma e Louise» del Dna”. Che, come sai, fa riferimento al film cult su due casalinghe che per cambiare la propria vita mollano tutto e partono.

“Prima di cadere su stereotipi che nulla c’entrano con ciò che si sta raccontando, per celebrare due figure maschili c’è un'enorme e facile quantità di paragoni possibili con un’altra coppia di professionisti di qualsiasi professione” ci ha spiegato Serena Fabbrini, che poi ha aggiunto: “Qual è l’equivalente di una coppia di scienziate? Non credo che non ci fossero altre due professioniste con cui si poteva metterle a confronto in grado di solleticare l’immaginario comune”.  

Eppure la scienza è diventata grande anche grazie alle donne, nonostante il loro ruolo a volte sia passato in secondo piano. L’esempio classico è Lise Meitner. Te ne avevo parlato: Lise Meitner fu la fisica che di fatto scoprì la fissione nucleare, anche se notoriamente la si attribuisce a Enrico Fermi.

“Il punto è che queste storie, che popolano un un bacino da cui pescare esempi, molte volte non vengono raccontate. Altre volte non ci sono proprio, perché più si va in alto, nelle gerarchie della scienza e di molte altre professioni, e meno figure femminili si trovano”. 

Per celebrare due figure maschili c’è un'enorme quantità di paragoni possibili, perché non si trovano per le donne?

Serena Fabbrini, storica della scienza e membro di She Is A Scientist

Giuliana e Serena hanno collaborato insieme per il progetto She Is A Scientist e da tempo sono impegnate nella “battaglia” contro le discriminazioni di genere nella scienza. Entrambe concordano che uno dei suoi rischi è quella che, insieme, abbiamo ribattezzato una «discriminazione al contrario».

“Si possono creare delle situazioni che vanno poi a discapito delle donne anziché in loro aiuto, come quando nei vari salotti o dibattiti televisivi si cerca di ristabilire a tutti i costi la parità di genere dando spazio magari a personalità femminili famose ma poco qualificate” ha spiegato Giuliana, secondo cui poi non solo la scienza ne esce danneggiata ma anche la figura della donna e la sua battaglia per la parità.

Specificare che quella scienziata è una donna diventa anche il tentativo per provare a compensare e ristabilire un equilibrio, altre volte rivendicare l’orgoglio della “diversità” rischia, invece, di allargare sempre di più lo spazio che divide dalla normalità.

Per Serena “rivendicare la diversità per desiderio di una normalità è il fuoco che ha spinto alcune delle più grandi battaglie della nostra storia. Le voci fuori dal coro smuovono le masse e includono chi altrimenti resterebbe isolato anche se, come un boomerang, ciò che a volte può tornare indietro è il rischio di mettere i bastoni tra le ruote al processo di normalizzazione”. 

Questo capita, ha aggiunto, perché non abbiamo ancora raggiunto “un livello di educazione culturale che ci permetta di non correre più quel rischio. Quando si passerà oltre al fatto che la notizia è l’esistenza di una donna che raggiunge un qualche successo, allora le cose cambieranno, allora potremo dire «eureka»”.

Come puoi vedere, le donne nella scienza sono in un equilibrio precario. E allora una domanda la faccio a te, che mi hai seguito fin qui. Qual è il punto: impegnarsi per rimanere in piedi su un filo sottile e traballante o sforzarsi per farlo diventare un ponte robusto e stabile?

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