Dal coronavirus si può guarire, dall’irrazionalità meno

Dobbiamo rispetto a chi è morto per il coronavirus, ma anche a tutte quelle persone che andando a fare la spesa oggi non trovano un pacco di pasta al supermercato. Di coronavirus si guarisce, di irrazionalità si soccombe.
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Simona Cardillo 26 Febbraio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Da Bugo al coronavirus il passo è corto. Individuato l'argomento caldo del momento, l'Italia non parla d'altro. Il copione è sempre lo stesso: i mezzi di comunicazione, il governo o i politici si focalizzano su un tema e l'agenda è fatta. Per giorni, settimane o mesi.

E se fino a una settimana fa il tormentone dell'Italia erano "le brutte intenzioni e la maleducazione", oggi tutti parlano di coronavirus. Al bar, in famiglia o al lavoro.

In ogni angolo d'Italia è partita la corsa ai supermercati, la psicosi da contagio e la paura di rimanere senza. Non si sa bene neanche di cosa. Forse di tutto. Senza mascherine, senza gel disinfettanti, senza acqua, senza pasta, senza tonno in scatola.

Ma forse l'unica cosa che serve davvero non c'è già più, e non se ne può far scorta. L'Italia è diventata un Paese senza lucidità. Non abbiamo più una misura. Ci siamo fatti prendere tutti dall'ansia da coronavirus, tanto da non andare più a lavoro senza coprirci naso e bocca con una sciarpa (ma solo perché le mascherine sono finite in tutte le farmacie).

Chi ha permesso tutto questo? A chi dobbiamo dire grazie se per settimane abbiamo guardato con diffidenza tutti i cinesi che camminavano accanto a noi (e poco importa se italiani, esattamente come noi) e se oggi dobbiamo quasi aver paura di fare uno starnuto fuori da casa nostra?

Il primo vero grande errore è stato commesso da chi ha posto la diffusione del virus come unica vera priorità del nostro Paese. Come se non ci fosse altro. Da chi ha tenuto altissima l'asticella della paura, ben prima che il primo caso di coronavirus fosse diagnosticato in Italia.

Prima di essere una nazione infettata dal coronavirus, l'Italia era una nazione infettata dal razzismo, dalla discriminazione, dalla paura. E questo per via di tutti quei medici, politici, opinionisti da bar (oggi opinionisti part-time, dato che alle 18 i bar del Nord Italia devono chiudere) che stigmatizzavano il virus, come se fosse la causa dell'estinzione del genere umano.

Poi, quando un giorno di febbraio quel virus è stato individuato proprio a casa nostra, ci siamo sentiti deboli, vulnerabili, feriti. E siamo diventati razzisti con noi stessi: per un assurdo gioco delle parti il Sud contro il Nord, politici contro medici, sani contro malati.

E proprio a causa di chi decide, e ancor più di chi comunica, il coronavirus non è un'influenza da cui guarire, ma un nemico da cui devi scappare. Rinchiudendoti in casa, in quarantena volontaria magari, perché un conoscente, amico di un vicino di casa che non incroci da settimane, ha un lontano parente che abita nel lodigiano.

Prima di essere una nazione infettata dal coronavirus, l'Italia era già una nazione infettata dalla paura

E dopo che ti sei chiuso in casa, le notizie che senti non fanno che terrorizzarti di più. Chiuse le scuole, rinviati eventi di portata nazionale o internazionale (come Fa' la cosa giusta o, addirittura, il Salone del Mobile), limitati gli orari di bar e luoghi di aggregazione, chiuse le palestre e niente più messe. Ovunque solo conte dei contagiati e dei morti ed elenchi quotidiani di tutte le città infettate.

Non voglio sminuire il coronavirus. Persone sono morte, altre sono in gravi condizioni negli ospedali italiani e a loro dobbiamo rispetto.

Rispetto si deve ai morti, ma si deve anche ai vivi. Alle persone che non trovano un pacco di pasta o una cassa d'acqua al supermercato, all'anziano che è morto per strada in provincia di Milano perché il 112 ha risposto al telefono dopo lunghissimi minuti di linea occupata, ai ristoratori costretti a chiudere le loro attività alle 18 non si sa ancora per quanto tempo.

Milioni di persone non contagiate, che vivono nell'ansia di entrare in contatto con il virus. E se da una parte non va assolutamente minimizzato un virus che sta facendo vittime reali, dall'altro bisogna pensare anche all'economia di un Paese che subirà un colpo durissimo.

Bisogna rientrare nei ranghi, ritrovare il senso della misura e la lucidità. Non siamo in guerra.

Dal coronavirus si può guarire, dal tunnel della psicosi la strada di ritorno è difficilissima.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.