Dal Sudafrica arriva il primo identikit della variante Omicron

Secondo i primi dati raccolti dal Medical Research Council del Sudafrica, la variante Omicron provocherebbe sintomi lievi e anche forme attenuate di malattia. Il profilo dell’età sarebbe diverso dalle ondate precedenti, con una prevalenza per la fascia sotto i 50 anni, tra 0-9 anni e 30-39 anni e la mortalità sarebbe inferiore rispetto alle altre varianti Tutti questi dati però sono preliminari e vanno presi con cautela.
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Kevin Ben Alì Zinati 10 Dicembre 2021
* ultima modifica il 12/01/2023

La variante Omicron è sotto la lente d’ingrandimento della scienza.

Da quando ha fatto la sua apparizione in Sudafrica, ricercatori di tutto il mondo ne stanno analizzando l’andamento per capire se siamo di fronte a una variante più pericolosa delle altre, se è in grado di provocare una forma più grave di Covid-19 e se sfugge alla protezione dei vaccini.

Insomma, in queste settimane stiamo cercando di capire non se, ma quanto la variante Omicron deve preoccuparci.

I primi rapporti arrivano direttamente dal Medical Research Council del Sudafrica che ad inizio dicembre ha pubblicato la prima analisi della situazione di diversi ospedali della provincia di Gauteng, dove Omicron è stata osservata in principio.

Cautela

La parola d’ordine per poter affrontare e leggere questa analisi è cautela. Quelli su cui ci stiamo basando, infatti, sono dati preliminari, non esaustivi e che per di più si riferiscono a una piccola fotografia della situazione sudafricana (sono stati considerati 42 pazienti ospedalizzati e altri 166 ricoverati tra il 14 e il 29 novembre 2021 negli ospedali di Steve Biko e Tshwane District a Pretoria), tra l’altro aggiornata solo al 2 dicembre.

Serviranno dunque altri dati e tempo per avere un identikit più preciso e accurato della variante Omicron. Anche perché, come forse ti ricorderai, l’impatto del virus lo si percepisce nella sua interezza solo a distanza di settimane.

La situazione

I risultati offerti dai ricercatori sudafricani, ad oggi, dimostrerebbero che la variate Omicron provocherebbe sintomi e una malattia meno gravi rispetto ad altre forme del virus.

“La prima impressione all’esame dei 166 pazienti ricoverati da quando è comparsa la variante Omicron, insieme all’istantanea del profilo clinico di 42 pazienti attualmente ricoverati nei reparti COVID del complesso SBAH/TDH, è che nella maggior parte degli ospedali i ricoveri sono per diagnosi non correlate al Covid-19 ma per altri motivi medici, chirurgici o ostetrici si legge nel report.

In cui viene poi specificato che la positività a Sars-CoV-2 è un reperto accidentale in questi pazienti e che è “in gran parte guidata dalla politica ospedaliera che richiede il tampone di tutti i pazienti che richiedono il ricovero in ospedale”.

Con una buona dose di cautela, proviamo ad andare nello specifico.

Sintomi

Il report metterebbe in mostra una situazione che potremmo definire sostenibile. La maggior parte dei pazienti ospedalizzati, infatti, non avrebbe avuto bisogno di ossigeno supplementare, pochi hanno sviluppato la polmonite da Covid o sono stati ricoverati in terapia intensiva.

Nel primo gruppo di 42 pazienti analizzati, 13 hanno avuto bisogno dell'ossigeno supplementare e di questi solo 9 hanno riportato una diagnosi di polmonite da Covid-19: i restanti 4 pazienti erano attaccati all’ossigeno per altri motivi medici.

Solo 4 pazienti hanno avuto bisogno di cure più importanti e solo uno è finito in terapia intensiva. “Il numero di pazienti in terapia intensiva con doppio ossigeno, ossigeno nasale ad alto flusso o ventilazione non invasiva era notevolmente più alto nelle precedenti ondate”.

Nel report si legge poi che dei 38 adulti nei reparti Covid il 2 dicembre, 6 erano vaccinati, 24 non erano vaccinati e 8 avevano uno stato vaccinale sconosciuto.

Dei 9 pazienti con polmonite da Covid, 8 non erano vaccinati mentre 1 era un bambino. Solo una persona in ossigeno era stata completamente vaccinata ma la ragione per l’ossigeno, hanno specificato, era la broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Inoltre, secondo l’analisi dei 166 pazienti positivi nel complesso Steve Biko Academic and Tshwane District Hospitals, la durata media della degenza in ospedale è stata di 2,8 giorni: molto più breve quindi degli 8,5 giorni di media necessari negli ultimi 18 mesi quando avevamo a che fare con le altre varianti del virus.

Età

In questa situazione preliminare, ciò che secondo i ricercatori sudafricani è chiaro è che il profilo dell’età è diverso dalle ondate precedenti.

Analizzando l’altro gruppo, quello di 166 pazienti ricoverati nel complesso Steve Biko Academic and Tshwane District Hospitals non meno dell'80% dei ricoveri aveva meno di 50 anni, il 19% era rappresentato da bambini tra 0-9 anni e il numero più alto di ricoveri era nella fascia di età 30-39 anni, pari al 28% del totale.

Questa diversa età potrebbe essere un effetto della vaccinazione poiché il 57% delle persone di età superiore ai 50 anni è stato vaccinato rispetto al 34% nel gruppo di età compresa tra 18 e 49 anni.

Mortalità

Il miglior indicatore della gravità della malattia e per i ricercatori sudafricani è il tasso di mortalità intraospedaliera.

Nel gruppo di 166 pazienti ricoverati nel complesso SBAH/TDH nelle ultime due settimane ci sono stati 10 decessi, pari al 6,6% del totale. Quattro erano adulti tra i 26 e 36 anni e cinque avevano più di 60 anni. Un decesso è avvenuto in un bambino in cui la causa della morte, però, non era correlata al Covid-19.

A livello pediatrico, non ci sono stati decessi correlati al virus tra i 34 bambini ricoverati nelle ultime due settimane.

Per il momento, hanno scritto i ricercatori, i tassi di mortalità nelle ultime due settimane “sono inferiori al tasso di mortalità ospedaliero complessivo del 23% per il paese rispetto a tutte le ondate precedenti”.

Fonte | Medical Research Council del Sudafrica

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