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Il 20 aprile del 2010 un’esplosione sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon provocò la fuoriuscita di un’immensa onda nera che si espanse nelle acque del Golfo del Messico, a circa 70 km al largo delle coste tra Louisiana e Texas. Circa 500 milioni di litri di petrolio ricoprirono in pochissimo tempo una superficie di 149.000 km quadrati, uccidendo e facendo ammalare qualunque cosa raggiungessero. Ad oggi quello della Deepwater Horizon è considerato il peggiore disastro ambientale petrolifero della storia.
La piattaforma Deepwater Horizon era di proprietà della società svizzera Transocean, ma gestita dall’inglese BP, British Petroleum, azienda che si occupa di estrazione di petrolio e gas naturale. Al momento dell’esplosione la struttura stava completando la perforazione del Pozzo Macondo, a 1500 metri di profondità. In seguito al disastro, in cui morirono 11 persone e 17 rimasero ferite, il petrolio iniziò a uscire senza sosta al ritmo di mille barili al giorno e dopo due giorni la piattaforma affondò. La tragedia però non si esaurì in poco tempo, anzi. Gli effetti si vedono ancora oggi.
Lo sversamento di petrolio, che autorità locali, guardia costiera e la stessa BP cercarono di fermare in tutti i modi, molti dei quali fallimentari, terminò solo 87 giorni dopo. Nel frattempo però erano trascorsi tantissimi giorni in cui questa sostanza si era dispersa sopra e sotto la superficie del mare generando una vera e propria devastazione ambientale fino a essere, finalmente, bloccata da un tappo di cemento nell’operazione rinominata “static kill”.
In seguito, iniziarono le operazioni di pulizia e cleaning delle zone marine e dei litorali delle zone da cui vennero recuperate migliaia e migliaia di kg di residui di petrolio. In diversi casi la sostanza non venne rimossa adeguatamente e la sua presenza persistente provocò fenomeni di erosione della costa.
Come ho già ripetuto più volte, le conseguenze del disastro del Deepwater Horizon furono enormi e trascinate nel tempo. Anche fino a oggi.
Per quanto riguarda la salute umana, era impossibile che non ci fossero conseguenze. Infatti, recenti studi hanno comprovato scarse funzionalità polmonari e cardiache, oltre a respiro affannoso, negli organismi di chi si è occupato di pulizie o personale della guardia costiera.
La fauna marina, come è facile pensare, è stata quella più colpita, con le maggiori conseguenze. Infatti a seguito dell’incidente decine di migliaia di uccelli sono rimasti uccisi e la popolazione di numerose specie è stata decimata restando tuttora fortemente compromessa.
Appena dopo la fuoriuscita, infatti, almeno mille delfini sono morti per avere ingerito le tossine del petrolio, mentre altri sono stati e tuttora stanno male, affetti da infertilità, malattie polmonari, problemi cardiaci ecc. Oggi questi animali che abitano il Golfo del Messico riescono a portare a termine solo il 20% delle gravidanze.
Pessime anche le conseguenze per le tartarughe marine, di cui sono morti tra i 55mila e i 160mila esemplari e migliaia di uova in cova sulle coste sono andate perdute. Proprio le tartarughe erano tra le specie più fragili presenti in mare, e il loro declino rappresenta un rischio altissimo per il futuro.
Anni dopo il disastro, gli esemplari di balene di Bryde sono diminuite del 22% così come diversi altri animali classificati come a rischio dalla lista rossa IUCN. Inoltre la barriera corallina, casa di tantissimi altri animali marini, è stata pesantemente danneggiata.